Venezuela: a Chávez il referendum sulla rieleggibilità di presidente, governatori e sindaci
Con il voto positivo espresso da sei milioni di elettori il 15 Febbraio, Hugo Chávez ha vinto il referendum che gli permetterà di ricandidarsi all'infinito come presidente del Venezuela. In un paese abituato a votare con scadenze che oscillano tra un anno e pochi mesi, questo risultato è in se stesso significativo: nonostante una certa stanchezza dell'elettorato, un tasso di astensione stavolta piuttosto alto, la solita campagna anti-Chávez orchestrata da buona parte dei mezzi d'informazione (comunque meno virulenta rispetto ad altre circostanze), il presidente bolivariano è riuscito ancora una volta a confermarsi a Miraflores. Di più: addirittura si è già ricandidato per il periodo 2013-2019.
Aldilà del semplice dato elettorale dei votanti pro Chávez, la realtà è più complessa e merita un'analisi approfondita. Oltre alla possibilità di presentarsi di nuovo alle elezioni del 2012, il presidente intendeva dare una prova di forza all'opposizione dopo aver dovuto ingoiare la sconfitta nel 2007, quando il referendum sulle modifiche alla Costituzione lo avevano visto uscire perdente, seppure per soli due punti percentuali, 51% contro 49%. Le stesse amministrative dello scorso novembre, pur avendo dato un risultato ampiamente positivo, avevano segnato anche una certa ripresa da parte dell'opposizione, che era riuscita a conquistare alcuni importanti bastioni in mano chavista. Dal punto di vista numerico, i 5 milioni di votanti che si sono espressi contro la possibilità di rielezione infinita di Chávez, uniti a quasi il 33% di astenuti su un totale di 16,8 milioni di votanti, per il Psuv (Partito Socialista Unito del Venezuela) sono dati da non sottovalutare. L'opposizione sostiene inoltre che si trattava di una sfida impari: la mobilitazione governativa è stata imponente, una vera e propria macchina da guerra elettorale che ha raggiunto anche i paesi più sperduti per convincere la popolazione a votare. Colossi statali come Pdvsa e Metro de Caracas (la municipalizzata operante nel campo dei trasporti) hanno fatto campagna per il "si". In realtà, per quanto la stessa campagna di opposizione anti-Chávez fosse ampiamente finanziata dall'esterno (come in tutti gli altri appuntamenti elettorali), a favore del presidente hanno giocato i positivi risultati ottenuti grazie alle varie misiones (i programmi di sviluppo sanitario, educativo, alimentare), che hanno consentito al Venezuela di passare da una forbice di popolazione denutrita tra il 10 e il 19% ad una molto più contenuta, tra il 5 e il 9%.
Chávez è riuscito anche a giocare d'astuzia, lanciando il referendum in un momento in cui la crisi economica non è ancora arrivata a deflagrare nella sua massima espansione in Venezuela e disorientando così l'opposizione, che sperava ardentemente nel veloce propagarsi della crisi per dare la spallata al presidente: secondo il ministro delle finanze Rodriguez le rendite petrolifere sembrano garantire al Venezuela una temporanea via d'uscita nel medio periodo rispetto all’incombente crisi.
I detrattori di Chávez, pur non mettendo in discussione la legittimità del risultato uscito dalle urne, definiscono il suo successo una vergogna e temono il consolidarsi di una democrazia formale a partito unico. Dipinta come consultazione elettorale organizzata da Chávez su misura per se stesso e la sua rielezione, bisogna sottolineare che la possibilità di ricandidatura non vale soltanto per il presidente venezuelano, ma anche per i governatori di stati e città, compresi quelli nelle mani dell'opposizione, i quali probabilmente non si faranno troppi scrupoli nel trarne beneficio. Allo stesso modo, è bene sottolineare una volta di più che la costituzione venezuelana permette in qualsiasi momento alla popolazione di non rieleggere il presidente, contrariamente a quanto accade oggi in buona parte dei paesi europei, dove ogni classe politica riesce a perpetuarsi al potere sotto molteplici forme, come avveniva del resto nello stesso Venezuela e in tanti altri paesi sudamericani prima che cominciasse a spirare un vento nuovo. Detto questo, e sgomberato il campo dai pregiudizi con cui molti analisti politici europei e anche sudamericani guardano con disprezzo in direzione di Caracas, non si può fare a meno di notare come la società venezuelana resti profondamente divisa al suo interno tra un progetto chavista ed uno antichavista e che ognuna delle due parti non desideri assolutamente inglobare o quantomeno provare ad includere l'altra. Sicuramente la popolazione dei barrios di Caracas ha visto in Chávez un sostenitore della propria causa, tanto da riportarlo al potere dopo il grottesco colpo di stato che imposero gli Stati Uniti con il beneplacito dello spagnolo Aznar, però è altrettanto forte il rischio di un uomo solo al comando, soprattutto in relazione alla debolezza che potrebbe tarpare le ali ad un movimento sociale dal basso autonomo, spontaneo e indipendente. Senza dare troppo spazio agli insulti quotidiani di oppositori del tipo di Teodoro Petkoff (che continua a parlare di assenza della democrazia), è però significativo il parere del sociologo Edgardo Lander, docente alla Universidad Central di Caracas che quasi due anni fa parlò delle prospettive del movimento bolivariano e del governo di Chávez in un apprezzato intervento al Convegno Europeo sull’America Latina tenutosi a Pistoia (organizzato da Rete Radié Resch e Comitato Italiano di Appoggio ai Sem Terra) e intitolato "Progetti di integrazione a confronto: Alca e trattati di libero commercio, Mercosur e Can, Comunità Sudamericana delle Nazioni, Iirsa e Alba".
Rilasciando una breve dichiarazione all'agenzia ipsnoticias.net, Lander ha sostenuto che "un processo di trasformazione non può dipendere da una sola persona" e che Chávez "è riuscito si a dar voce e direzione allo scontento che regnava in Venezuela prima del suo avvento a Miraflores, ma che per la costruzione di una società più democratica c'è ancora molta strada da percorrere".
Si può concordare una volta tanto con l'opposizione (quando non propone alla stampa le solite pesanti e ripetitive accuse di regime totalitario): tra loro e il movimento bolivariano è in corso una vera e propria maratona per la vittoria. L'importante, però, è che alla fine la spunti la parte migliore di quel chavismo sociale che ha restituito dignità e sovranità alla popolazione venezuelana.
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