Perù: Chiusa Radio La Voz de Utcubamba
Va assumendo sempre i più i caratteri di un regime autoritario la presidenza di Alan García in Perù. Dopo la mattanza della scorsa settimana, in cui decine di indigeni sono morti in seguito al levantamiento delle comunità per protestare contro il pacchetto di leggi governative volte a concedere lo sfruttamento indiscriminato del territorio alle compagnie petrolifere (in particolare Repsol, PlusPetrol, Perenco e il colosso brasiliano Petrobras), è arrivata pochi giorni fa la decisione del Ministero delle Telecomunicazioni peruviano (Mtc) di togliere la licenza di autorizzazione a trasmettere per Radio La Voz de Utcubamba, che si trova nella zona di Amazonas. La spiegazione ufficiale è che la radio non ha inviato nei tempi dovuti la documentazione richiesta per ottenere l’autorizzazione a trasmettere. In realtà, spiega uno dei responsabili di Radio La Voz, Carlos Flores, la decisione di mettere a tacere la radio è arrivata in seguito alla presenza e al costante lavoro di informazione dei corrispondenti che si trovavano a Bagua quando la polizia ha ricevuto l'ordine di reprimere con violenza le manifestazioni indigene. Sempre Radio La Voz fin dal 9 aprile scorso, quando cominciarono le prime proteste degli indios contro García, ha dato conto del mancato rispetto delle compagnie petrolifere verso i territori abitati delle comunità, più volte violati con estrazioni di petrolio non autorizzate dagli indigeni stesse, ma avallate dal presidente García, impegnato ad inserire l'autorizzazione allo sfruttamento del territorio nel pacchetto di leggi comprese nella firma del trattato di libero commercio (Tlc) con gli Stati Uniti. Inoltre, sulla fine delle trasmissioni di Radio la Voz imposta dal governo pesa il comportamento contraddittorio dello stesso Ministero delle Telecomunicazioni, che non solo avrebbe mancato di rispondere alla documentazione inviata dallo radio stessa, ma alla richiesta del dovuto controllo dei funzionari governativi sul funzionamento e la regolarità degli strumenti di lavoro utilizzati dalla redazione, dall'Mtc non sarebbe stato inviata nessuna persona ad effettuare i sopralluoghi di rito. Due giorni fa infine al Ministero è emerso anche il certificato di omologazione, emesso il 2 marzo 2009, che autorizzava la radio a trasmettere regolarmente i suoi programmi, quindi una volta di più non è sbagliato pensare che si tratti di una vera e propria censura. Del resto le notizie provenienti dal paese andino non sono delle più confortanti: il presidente García ha più volte accusato i manifestanti di essere degli "ignoranti manovrati da potenze straniere" (leggi Bolivia e Venezuela), una dichiarazione che ha spinto l'attrice di origine peruviana Q'orianka Kilcher (ospitata nella sede dell'Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana - Aidesep) a rispondere al governo sostenendo che "tutti i cittadini peruviani sono di prima classe, mentre il presidente del paese ha preferito scegliere la strada della violenza invece di dialogare con i popoli indigeni".
Ad oggi si parla desaparecidos tra gli indiani amazzonici (comprendendo sia quelli che sono nelle mani dell'esercito sia i tanti abitanti delle comunità indigene che hanno cercato di scappare in luoghi più tranquilli della selva, ma di cui ad oggi non si hanno notizie) e di numerosi corpi gettati nel fiume Marañon dalla polizia per nasconderli ed evitare così ulteriore discredito internazionale sull'immagine, già notevolmente screditata a livello mondiale, del Perù. Nonostante questa violentissima repressione, che ha spinto il leader indigeno di Aidesep Pizango a chiedere asilo (accordato) all'ambasciata del Nicaragua a Lima, i popoli dell'Amazzonia peruviana non mollano. Nel vertice svoltosi tra il 6 e il 7 Giugno la Cumbre dei popoli indigeni ha dichiarato uno sciopero generale a tempo indefinito invitando al tempo stesso i movimenti sociali a costituire vari fronti di difesa in tutto il paese e convocando un'assemblea democratica e partecipata che permetta di difendere il territorio amazzonico dalle multinazionali. Sempre la neocostituita Piattaforma Unitaria Amazzonica ha chiesto la denuncia immediata del presidente García di fronte alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, l'approvazione di una Legge di Sviluppo Sostenibile per l'Amazzonia, la fine della criminalizzazione dei movimenti sociali, la libertà per gli indigeni arrestati durante gli scontri di Bagua e infine verità e giustizia per gli indios uccisi dalla polizia, oltre che la loro proclamazione di eroi nella difesa della selva amazzonica.
Questa vera e propria chiamata alla mobilitazione è stata raccolta dai popoli indigeni della Selva centrale amazzonica (ashaninkas, machiguengas, yáneshas), che hanno deciso di mettere in atto dei blocchi stradali, e dal mondo sindacale. La Cgtp (Confederación General de Trabajadores del Perù) ha definito il governo García come "autoritario" e ha promesso di unirsi alla protesta convocando a sua volta altre iniziative a partire dal prossimo 7 luglio insieme alle organizzazioni studentesche e delle reti dei docenti raccolte nel Sutep (Sindicato Único de Trabajadores en la Educación), che hanno messo sotto accusa soprattutto la ministra dell'Interno Mercedes Cabanillas (tra i falchi del governo) e il primo ministro Yehuda Simon, che un tempo era di sinistra e ora è diventato il paladino delle politiche più reazionarie e filo-Tlc espresse dal presidente García.
"Nessuna resa" è lo slogan più ripetuto nelle proteste: forse anche il Perù potrebbe essere sul punto di voltare pagina e seguire l’esempio di altri paesi latinoamericani, dove la cacciata di presidenti corrotti da parte dei movimenti indigeni sta consolidandosi come una piacevole realtà
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