Honduras: il governo golpista chiude Radio Globo
E' trascorso oltre un mese dallo scorso 28 Giugno, quando Roberto Micheletti, appoggiato dall'esercito, dalle oligarchie locali e con la benedizione dei vertici della Chiesa cattolica hondureña, ha messo in atto un golpe che, contrariamente alle attese, non è durato lo spazio di un mattino come in molti pronosticavano. Tra coloro che già da tempo denunciavano i rischi che stava correndo l'Honduras verso una probabile dittatura, pur non arrivando ad immaginarsi un golpe, c'erano i giornalisti di Radio Globo. Aver offerto la possibilità ad alcuni attivisti per i diritti umani, poco più di un mese prima del rovesciamento del presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya, di denunciare quanto era in atto in Honduras, è valso a Radio Globo la denuncia da parte del governo golpista di incitamento alla "sovversione". In seguito, una volta ristabilito l'ordine, Micheletti ha mandato più di una volta l'esercito a far visita ai redattori di Radio Globo, fino ad ordinarne la chiusura tramite un decreto di Conatel (Comisión Nacional de Telecomunicaciones) con la fantomatica accusa di "cospirazione politica e associazione sovversiva".
Se la rapidità e per certi versi le modalità inaspettate con cui il golpe in Honduras ricorda quello del 2002 in Venezuela, a Caracas Chávez nel giro di breve tempo tornò al suo posto, mentre a Tegucigalpa Roberto Micheletti è ancora in sella grazie alla tiepida e blanda condanna Usa ed alla lezione tratta dall'effimero golpe anti-chavista di sette anni fa. Come avvenne in quella circostanza, anche in Honduras le principali televisioni del paese trasmettevano programmi musicali o di intrattenimento durante i primi giorni del golpe, poi sono arrivate le interruzioni di elettricità e l'enorme risalto alle manifestazioni filogovernative concesso da tv quali Televicentro. E' in questa situazione che è stato fin troppo facile ordinare la chiusura di Radio Globo, critica con il "gobierno de facto" fin dalle prime ore successive al golpe. La criminalizzazione di Radio Globo fa parte del più ampio disegno rivolto contro tutti i mezzi di comunicazione sociale che non sono allineati sulle posizioni dei media corporativi, di cui "El Heraldo" e "La Prensa" sono i principali alfieri, come spiega il direttore di "El Libertador de Honduras" Johny Lagos in un'intervista rilasciata ad Agencia Pulsar. Addirittura Lagos si spinge oltre, sostenendo che dietro al golpe si trova lo stesso proprietario di "El Heraldo", Jorge Canaguati, e che in generale "tutta la stampa tradizionale è controllata da potenti gruppi oligarchici che hanno finanziato il colpo di stato, condividono gli obiettivi dei golpisti ed impediscono la libertà di espressione in Honduras". Sempre il direttore di "El Libertador" sostiene che i golpisti avrebbero redatto una lista di persone da assassinare (tra le quali figura il suo nome), e questo non sorprende se consideriamo il pugno di ferro con cui Micheletti sta gestendo da oltre un mese le proteste dei movimenti sociali utilizzando inoltre i media a lui amici, che mostrano soltanto le marce a favore del governo e discreditano quelle delle reti popolari evidenziandone ad arte il loro carattere violento.
Fino a questo momento Radio Globo aveva proseguito nel suo lavoro di informazione indipendente nonostante al proprietario più di una volta sia stato chiesto dai militari di consegnare loro le apparecchiature di lavoro, finchè lo scorso 25 luglio l'esercito ha cercato di entrare in redazione con la forza. In ogni caso non era la prima volta che i militari avevano cercato di mettere a tacere Radio Globo: lo scorso 28 giugno, poche ore dopo il golpe, l'esercito era entrato in redazione con le armi in pugno imponendo l'immediata sospensione delle trasmissioni di carattere informativo. Un intero reparto militare composto da 60 persone aveva minacciato di morte i giornalisti presenti in quel momento in redazione ed aveva picchiato un giovane tecnico (minore d'età), oltre ad insultarlo con frasi ed epiteti razzisti per via della pelle nera ("negro hijo de… te vamos a matar si no nos dices desde donde estas trasmitiendo", che non ha bisogno di traduzione). Quel giorno Radio Globo aveva diffuso un'analisi secondo la quale il 95% dei mezzi di informazione del paese avevano deliberatamente evitato di dare notizie dettagliate sul golpe, in particolare Canal 6 aveva dedicato l'intera giornata a trasmissioni per bambini.
Il paradosso di questo attacco ai mezzi di controinformazione, che passa principalmente attraverso il controllo dei media, era stato per certi aspetti legittimato dallo stesso Zelaya nel gennaio 2007, quando aveva contribuito a dare un duro colpo all'informazione tramite la Ley de Transparencia y Acceso a la Información Pública, che i movimenti sociali stessi tra cui il Cofadeh (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras), avevano definito incostituzionale. Tra le norme più restrittive, la legge aveva fissato in dieci anni il periodo di tempo necessario affinché un documentato venga resa pubblico e la contemporanea creazione della cosiddetta "depuración de archivos", in base alla quale ogni cinque anni potranno essere distrutti, cancellati e fatti sparire una serie di atti sui quali l'opinione pubblica non potrà così mai venire a conoscenza. In seguito Zelaya, eletto grazie all'appoggio del Partito Liberale (che adesso lo ha disconosciuto), aveva virato in maniera dignitosa verso altri lidi, entrando nell'Alba e occupandosi di alcune tematiche (ad esempio la lotta per il diritto all'acqua) su cui storicamente lavorano i movimenti popolari hondureñi, che comunque in occasione delle prossime elezioni presidenziali avrebbero presentato un loro candidato.
Quanto a Radio Globo, l'ordine di chiusura di Conatel e le irruzioni violente dell'esercito non sono riuscite a fermare la redazione. Secondo le notizie riportate dal bollettino elettronico Narconews (che si occupata di Messico, Altra Campagna e non solo), la radio non trasmette più sulle frequenze della capitale Tegucigalpa, ma per il momento riesce a diffondere ugualmente la sua programmazione a San Pedro Sula e in altre 14 città del paese in aperta sfida al governo golpista di Micheletti.
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