Guatemala: Condannato paramilitare responsabile dell'assassinio di sei contadini negli anni ottanta.
Arriva una sentenza storica dal Guatemala martoriato da 36 anni di guerra civile senza giustizia e dai quotidiani e impuniti soprusi ai danni di campesinos, indigeni, sindacalisti, attivisti sociali e militanti per i diritti umani.
Stavolta è un paramilitare a pagare per le sparizioni di stato ordinate tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, il periodo maggiormente drammatico nella storia di un paese dove il rispetto per i diritti umani continua ad essere considerato quasi in maniera fastidiosa. Lo scorso 31 Agosto finalmente i familiari di sei contadini fatti sparire tra il settembre del 1982 e l'ottobre del 1984 (sotto le presidenze Montt e Mejía Victores) hanno avuto giustizia, grazie anche alle informative contenute nel rapporto "Guatemala Nunca Más", uscito il 24 Aprile 1998 e curato da Monsignor Juan Gerardi, assassinato due giorni dopo la sua presentazione: Felipe Cusanero Coj, paramilitare responsabile della loro desaparición, è stato condannato a 150 anni di prigione, 25 per ognuno dei sei desaparecidos. Non solo Cusanero Coj fu il responsabile della loro uccisione e negò più volte informazioni ai familiari sul luogo di detenzione dei campesinos, ma tuttora ha continuato a mantenere un atteggiamento sprezzante che ha spinto la sua difesa a chiedere ed ottenere dal tribunale la sospensione per 15 mesi della sentenza per vizi di incostituzionalità. La difesa, al pari del suo assistito, era convinta di poterla spuntare ancora una volta, confidando sul fatto che mai prima d'ora una condanna per "desaparición forzada" era giunta a termine con la riconosciuta colpevolezza dell'imputato. La sospensione della sentenza si è protratta fino allo scorso marzo, contando sul vizio di incostituzionalità che intendeva sottrarre dal giudizio i paramilitari coinvolti nei crimini contro la popolazione civile commessi tra il 1982 e il 1984. La svolta c'è stata con la riapertura del caso da parte della Corte Costituzionale il 7 luglio e la conseguente ammissione a testimoniare dei familiari delle vittime, che hanno denunciato la presenza di un insediamento militare finalizzato ad esercitare attività repressive nel dipartimento di Chimaltenango (in particolare nella Aldea Choatalum, dove sono stati uccisi i sei contadini) nell'ambito del conflitto armato interno che ha insanguinato il paese tra il 1960 e il 1996. La condanna di Cusanero Coj, che ha aperto inoltre la strada all'incriminazione di altri due militari coinvolti nei fatti dell'Aldea Choatalum e nelle detenzioni illegali degli oppositori (il primo passo verso la successiva eliminazione), "accende una luce di speranza per tutti coloro che durante la guerra civile furono vittime delle violenze commesse dallo stato guatemalteco e dalle sue forze repressive", commenta il Centro de Acción Legal para los Derechos Humanos (Caldh).
Resta però la consapevolezza che la strada da percorrere è ancora molta. Quasi tutto l'apparato repressivo del periodo più feroce della dittatura, concentrato tra il 1979 e il 1983, (a partire dallo stesso Rios Montt che continua ad essere una figura di peso nel paese), per ora è riuscito a farla franca, nonostante l'obiettivo dichiarato e in buona parte raggiunto di distruggere e annientare il popolo maya.
Se i familiari dei contadini residenti nell'Aldea Choatalum hanno ottenuto giustizia, resta la realtà di un paese dove la sopraffazione e l’impunità continuano a farla da padrone: soltanto per rimanere agli ultimi giorni, l'avvocata Mónica Elena Fuentes Álvarez, appartenente alla Defensoría de la Mujer Indígena di Quetzaltenango, è stata aggredita da sconosciuti all’interno del suo ufficio, mentre una comunità di contadini appartenenti al Cuc (Comité Unidad Campesina) è stata sgomberata con violenza della polizia in Alta Verapaz.
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