Uruguay: elezioni presidenziali, Pepe Mujica costretto al ballottaggio
Un vero peccato. C'erano ben altre attese e speranze per le presidenziali svoltesi in Uruguay domenica 25 ottobre, che invece hanno solamente sancito l'obbligo di un pericoloso ballottaggio (il 29 Novembre) tra il candidato del Frente Amplio Pepe Mujica e quello della destra Luis Alberto Lacalle, già alla guida del paese tra il 1990 e il 1995 e tra i principali fautori del libero mercato. Ancora più deludente, e di gravità ben peggiore, è stata la sconfitta netta nel referendum sulla Ley de Caducidad, la legge che finora ha permesso di coprire i crimini del regime militare al potere tra il 1973 e il 1985.
I sondaggi precedenti alla sfida elettorale avevano autorizzato ad un certo ottimismo: la popolarità del presidente uscente Tabaré Vázquez, la destra divisa tra Partido Nacional e Colorado, la figura inossidabile di Pepe Mujica, ex guerrigliero tupamaro con una vita trascorsa nel movimento di liberazione nazionale contro la dittatura. E ancora: l'instancabile campagna dei familiari dei desaparecidos per l'annullamento della Ley de Caducidad, unita alla dichiarazione di incostituzionalità proveniente dalla Corte Suprema de Justicia pochi giorni prima del voto, lasciavano presagire una giornata storica, al pari di quella che anni fa aveva visto trionfare il "si" nel referendum per la difesa dell'acqua pubblica come diritto inalienabile. L'urna invece ha dato un risultato diverso: Mujica ha ottenuto il 47,5% dei voti, sfiorando soltanto quel 50% che lo avrebbe consacrato presidente del paese, mentre solo il 42% degli elettori si è espresso a favore dell'abrogazione della Ley de Caducidad. Il mancato quorum del 50% apre un pericoloso precedente non solo per l'Uruguay, ma per tutta l'America Latina, in un momento in cui le forze della destra stanno cercando di mostrarsi in una veste più presentabile e gettare al contempo nell'oblio gli anni delle dittature di cui sono state artefici. Solo per rimanere nel piccolo paese del Cono Sur, al ballottaggio di fine Novembre 2009, il candidato del Partido Nacional Lacalle sarà appoggiato da Pedro Bordaberry, alfiere del Partido Colorado e soprattutto figlio di Juan Maria Bordaberry, il primo presidente che spalancò le porte al regime militare. E' quasi superfluo dire che Bordaberry figlio si era già schierato contro l'annullamento della Ley de Caducidad fin dall'inizio della campagna referendaria, boicottata apertamente dalle tv private del paese. Se il canale di stato aveva più volte trasmesso gli spot che invitavano a votare per l'abrogazione della legge (per i quali si erano prestati i figli dei desaparecidos), i canali privati lo hanno fatto solo con grande ritardo e su ordine del presidente Tabaré Vázquez, dopo che avevano addotto come pretesto il mancato avvertimento da parte della Unidad Reguladora de los Servicios en Comunicaciones (Ursec). Approvata nel 1986 e ratificata mediante plebiscito nel 1989, la Ley de Caducidad aveva subìto due duri colpi la scorsa settimana. Prima la già citata dichiarazione di incostituzionalità della Corte Suprema de Justicia, riferita al processo per la morte sotto tortura della giovane insegnante Nibia Sabalsagaray avvenuta nel 1974, poi la condanna a 25 anni di carcere nei confronti di Gregorio Álvarez, responsabile di crimini commessi a cavallo tra il 1977 e il 1978 (quando era a capo dell'esercito) con l'accusa di "homicidio especialmente agravado" contro 37 oppositori politici. Álvarez, successore di Bordaberry a capo della dittatura militare tra il 1981 e il 1985, era già in prigione del 2007 per lo scambio e il traffico clandestino degli oppositori politici fatti prigionieri operato tra Argentina e Uruguay.
Quanto alle presidenziali, il successo di Mujica al ballottaggio diviene adesso incerto. Se è vero che il "blanco" Lacalle ha raccolto un misero 29,2% rispetto al 47,5% di Mujica, è altrettanto innegabile che tra un mese potrà contare sull'appoggio delle destre unite, Pedro Bordaberry compreso, e sarebbe una beffa veder tornare l'Uruguay nelle mani delle politiche clientelari di blancos e colorados, sconfitti cinque anni fa dalla sorprendente affermazione di Tabaré Vázquez. Al contrario, Mujica ha lasciato capire che non cederà a compromessi o ad unioni elettorali che suonerebbero come una "falsità politica". Già prima delle elezioni, i sondaggi dell'Instituto de Ciencia Politica di Montevideo erano pronti a scommettere su una vittoria di Mujica (già ministro di Tabaré Vázquez nella precedente legislatura) nel caso di un eventuale ballottaggio, dove però non riuscirà a fare il pieno di voti degli indecisi, al contrario di quanto sembrano pronosticate a fare le destre. In ogni caso Mujica potrebbe contare sul voto degli elettori di Asamblea Popular, partitino sorto da una scissione a sinistra del Frente Amplio ad opera del candidato alla presidenza Raúl Rodriguez, che però ha raccolto una percentuale di consensi minima, e sul Partido Independiente (vicino alle posizioni di centro-sinistra) che schierava Pablo Mieres, il cui risultato non è stato granchè soddisfacente.
Probabilmente la parte meno politicizzata della popolazione ha preferito non votare Mujica fin dal primo turno (nonostante corresse in coppia con Danilo Astori, il moderatissimo ministro dell'economia per quasi tutto il periodo di Tabaré Vázquez) a causa del suo passato mai rinnegato: la sua militanza come dirigente di spicco del Movimiento de Liberación Nacional Tupamaros (Mln-T) e 14 anni trascorsi in carcere per via delle sue attività guerrigliere sono bastati per incutere timore anche negli stessi elettori di Tabaré, il cui profilo era ed è ben diverso da quello radicale di Pepe.
Anche l'elezione contestuale dei 99 deputati per la Camera e i 30 per il Senato è andata meno bene di quanto si potesse immaginare. Al Senato il Frente Amplio ha ottenuto 15 seggi contro i 9 del Partido Nacional e i 5 del Colorado, che in pratica significano un pareggio. Stesso esito anche alla Camera: 49 seggi ai "frentistas", 47 alle destre (29 per i blancos e 18 per i colorados) più due al Partido Independiente, anche in questo caso una sostanziale parità.
Infine, è mancato il quorum anche per l'altro referendum, quello che avrebbe permesso il voto agli uruguayani residenti all'estero, il cui diritto è invece riconosciuto in ben tredici paesi dell'America Latina (Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Honduras, Repubblica Dominicana, Colombia, Venezuela, Ecuador, Messico, Panama, Perù).
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