Ecuador: Ley de Aguas, il Parlamento verso l'approvazione
Ce l'aveva quasi fatta Ferdinando Cordero, presidente dell'Asemblea Nacional dell'Ecuador, a convincere tutti sulla necessità di un rinvio, di almeno cinque mesi, del dibattito relativo alla Ley de Aguas, la cui stesura e successiva probabile approvazione aveva sancito un ulteriore dissidio tra movimenti indigeni ed il presidente Correa, che pure si riconosce nel socialismo del XXI secolo. E' bastato, però, un colpo di scena dell'ultimo minuto, leggasi il rifiuto del Parlamento di approvare la mozione di Cordero a favore del rinvio, per alzare ancor di più la tensione.
Cordero aveva preparato la sua mozione basandosi sull'articolo 57 della stessa costituzione ecuadoriana, che riconosce il diritto delle comunità indigene ad essere consultate nel caso in cui il Parlamento e il governo votino una qualsiasi misura che possa danneggiare i loro diritti. Nonostante la consultazione delle comunità non abbia l'obbligo di essere vincolante per gli organismi politici, come aveva ammesso lo stesso Cordero, e la diffidenza degli indigeni, che avevano intravisto nel suo disegno solo il tentativo di guadagnare tempo, far smobilitare le proteste e giungere ad una rapida approvazione della Ley de Aguas (è l'opinione del portavoce della Conaie Marlon Santi), il rinvio del dibattito e l'accoglimento di alcune modifiche alla legge avrebbero rappresentato un significativo successo politico per Conaie, Ecuarunari e tutte le altre confederazioni indigene. Invece il Parlamento ha respinto anche la proposta del Pachakutik - Movimiento Popular Democratico, che, al contrario di Cordero, intendeva rendere vincolante l'eventuale consultazione delle comunità indigene. Come già risulta evidente, il principale contrasto tra governo e movimenti riguarda l'Autoridad Única del Agua: l'esecutivo pretende che sia gestita da un suo rappresentante che abbia l'ultima parola nel consesso, la Conaie propone una gestione allargata ad un consiglio plurinazionale in cui sia presente anche una rappresentanza governativa, però minoritaria. Proprio su questo punto è intervenuto il presidente Correa, le cui dichiarazioni sono risultate però quantomeno inopportune dopo che negli ultimi giorni le manifestazioni indigene di fronte al Parlamento sono terminate con la Polizia che ha fatto ampio uso di lacrimogeni per disperdere i dimostranti. In sintesi, sono tre le affermazioni di Correa che hanno lasciato di stucco in quanto pronunciate da un presidente che pure si identifica nell'Alternativa Bolivariana per le Americhe: "L'acqua non è della Conaie, ma di tutti", ha spiegato il presidente, dimenticando che l'approvazione della Ley de Aguas farebbe tornare l'oro blu nelle mani di quei pochi che prima del suo arrivo alla presidenza avevano spadroneggiato (e continuano a farlo tuttora) nel paese, cioè le lobbies economico-finanziarie. E ancora: non è stata la Conaie a vincere le elezioni, per cui non può pretendere di imporre la gestione dell'acqua". Infine: "si tratta solo di 1500 persone il cui scopo è gettare il paese nel caos". Se è vero che le elezioni non sono state vinte dalla Conaie, è un fatto altrettanto incontestabile che senza l'appoggio del movimento indigeno Correa non siederebbe al palazzo presidenziale di Quito. Di più: dopo queste ultime uscite hanno revocato il loro appoggio al governo anche la Federación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras (Fenocin) e il Consejo de Pueblos y Organizaciones Indígenas Evangélicas del Ecuador (Feine), che fino a pochi mesi fa, al contrario della Conaie e di Ecuarunari, avevano proseguito nel loro appoggio al governo, sospeso proprio in seguito al tentativo di far passare la Ley de Aguas da parte di Correa.
Il ruolo dell'Autoridad Única del Agua non è però l'unico punto controverso della legge. Gli indigeni chiedono garanzie precise affinché nessuna attività produttiva finisca con il provocare l'inquinamento dell'acqua e delle sue fonti, in una parola non si accetta che venga alterato il ciclo vitale acqua-natura. Il principio dell'acqua come fonte di vita non può non collegarsi a quello della sovranità alimentare ed energetica, temi tutti interconnessi su cui Correa però sembra non sentirci, come dimostra la sua apertura, e non da ora, allo sfruttamento minerario selvaggio. La gestione dell'acqua, chiedono ancora gli indigeni, dovrebbe avvenire nel segno di un reale servizio pubblico che non danneggi il diritto umano all'oro blu e che permetta un regolare percorso del ciclo ideologico. Il rischio principale che avvertono gli indigeni è quello di una privatizzazione di fatto, nonostante la costituzione ecuadoriana, una delle più avanzate non solo del continente latinoamericano, ma del mondo, già sancisca il principio del diritto umano all'acqua e lo stesso Ministro degli Esteri Ricardo Patiño abbia garantito che il governo non intende assolutamente seguire la strada della privatizzazione. Proprio su questo tema gli indigeni intendono inserire nella Ley de Aguas una clausola che revochi la gestione dell'acqua nelle mani di società che provoquen concentración o acaparamiento.
L'unica cosa certa è che al rifiuto di rinviare il dibattito sulla Ley de Aguas gli indigeni hanno già annunciato una radicalizzazione della protesta, mentre il paese si appresta a diventare, dopo la Bolivia, un nuovo laboratorio dei movimenti per l'acqua.
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