Perù: accordo con il Brasile per la costruzione di cinque centrali idroelettriche
Cinque centrali idroelettriche saranno costruite nell'Amazzonia peruviana con finanziamenti brasiliani. Lo scenario che si prospetta prevede ricche commesse per le grandi imprese brasiliane, il probabile fenomeno degli sfollati ambientali, un ulteriore colpo al già disastrato ecosistema amazzonico. Di tutto questo però non sembrano curarsi né il governo peruviano di Alan García né quello brasiliano di Lula. Anzi, c'è di peggio. Il Brasile intende esportare il modello di Belo Monte, la diga sul Rio Xingu (stato del Pará) che ha sollevato le proteste non solo di ecologisti e movimenti indigeni, ma anche di intellettuali, artisti e personalità del mondo della cultura del paese verdeoro e all'estero.
Una recente riunione tenutasi a Brasilia tra il governo brasiliano da un lato e le organizzazioni non governative peruviane dall'altro (svoltosi più per evitare l'accusa di non aver previamente consultato la società civile che altro) è servito solo a ribadire che il progetto si farà.
La spesa per la costruzione delle dighe, che avrà un costo di circa 25 bilioni di real, sarà finanziata interamente dal Bndes (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social) e ne beneficeranno le imprese che lavoreranno alla costruzione delle centrali. Si tratta delle solite note, tutte brasiliane eccetto la peruviana Gtz: Eletrobras, Andrade Gutierrez, Oas, Engevix, Odebrecht. Basta questo per capire che la motivazione alla base del mega-progetto non consiste nel portare energia alla popolazione peruviana, quanto piuttosto a sostenere i vantaggi economici e commerciali del gigante sudamericano, non a caso l'accordo Lima-Brasilia è stato definito dagli oppositori del progetto "un esempio dell'imperialismo brasiliano in America Latina". Se l'incontro di Brasilia avvenuto ad Itamaraty (la sede del Ministero degli Esteri brasiliano) ha perlomeno finto di ascoltare le richieste delle ong peruviane, il governo peruviano ha fatto di peggio, rifiutando qualsiasi forma di previa consultazione con le popolazioni (in maggioranza indigene) che subiranno l'impatto devastante delle dighe. Rappresentante dell'organizzazione peruviana Derechos Ambientales y Recursos Naturales, Cesar Gamboa solleva anche un problema di ordine costituzionale. "Il trattato Brasile-Perù dovrebbe passare attraverso l'approvazione del Congresso", spiega, "ma le autorità peruviane sostengono che non ce n'è bisogno, violando così la Costituzione". Inoltre, entrambi i governi non intendono procedere con la dovuta verifica d'impatto socio-ambientale. La zona dove maggiore potrebbe essere il rischio che si verifichi il problema degli sfollati ambientali riguarda soprattutto la diga sul Rio Inambari (Perù), su cui ha ottenuto l'appalto per la costruzione Eletrobras. L'accordo tra Brasile e Perù sarà firmato il 15 Giugno a Manaus, e in quella circostanza la voce dei popoli indigeni tornerà a farsi sentire. Sotto accusa, ancora una volta, la politica sviluppista di due paesi che guardano soltanto alla crescita economica, ma che si mostrano miopi verso i mutamenti climatici, il rispetto della terra e dei diritti ambientali dei popoli. Ha ragione Alfredo Novoa-Pena, portavoce dell'Associazione Peruviana per le Energie Rinnovabili (Apeger), secondo il quale il Perù non ha alcun bisogno dell'energia prodotta dalle dighe: "è un progetto che serve solo al mercato brasiliano". In effetti il progetto Brasile-Perù prevede condizioni quantomeno diseguali a favore del gigante sudamericano. Il Perù si assumerà la maggior parte dei costi, dei rischi e delle incertezze sociali e ambientali di questa grande opera, senza che ci sia un chiaro beneficio per le popolazioni che abitano nella zona dove saranno costruite le centrali idroelettriche.
La flessibilità della legislazione peruviana, che non prevede studi e indagini preventivi prima di avviare un'opera di questo tipo, aiuta i sostenitori del progetto ad andare avanti, ma nemmeno l'esecutivo García ci fa una bella figura: vorrebbe basarsi su una valutazione d'impatto ambientale risalente a decenni fa per legittimare la costruzione delle dighe, il che la dice lunga sull'interesse e la considerazione di cui godono gli indigeni presso il governo.
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