Brasile: Dilma Rousseff (Pt) favorita nella corsa al Planalto
A poco meno di una settimana dal voto, tutti i sondaggi indicano già quale sarà il nuovo presidente del Brasile. Il 3 Ottobre molto probabilmente salirà al Planalto la petista Dilma Rousseff, data per sicura vincente con percentuali oltre il 50%, mentre il tucano José Serra, in lizza per il Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira) non andrebbe oltre il 28%. Sarà invece più combattuta la sfida per conquistare un posto al Congresso, le cui elezioni affiancheranno quelle presidenziali domenica prossima.
Sulla vittoria quasi certa di Dilma Rousseff però la sinistra si interroga. Di certo è preferibile la successione a Lula della ex-guerrigliera, pur con un programma assai moderato. Lo fa capire bene Gilmar Mauro, componente della direzione nazionale del Movimento Sem Terra, quando spiega che una eventuale vittoria di Serra rappresenterebbe il ritorno sulla scena del grande capitale. Serra si è distinto per un'opera di criminalizzazione dei movimenti sociali sull'esempio della presidenza Cardoso. Inoltre, il candidato tucano procederebbe con la privatizzazione di tutti i servizi pubblici, per non parlare dei grandi passi indietro nel campo della questione agraria, che già sotto i due mandati di Lula non ha compiuto particolari balzi in avanti. Se tutti concordano che l'eventuale affermazione di Serra sarebbe una vera e propria sciagura, su Dilma Rousseff e più in generale sul futuro dello storico Partido dos Trabalhadores, ormai legato a politiche vicine ad un neoliberismo temperato o compassionevole, i pareri divergono. Ne è prova il dibattito avviato da Brasil de Fato, quotidiano da sempre a fianco dei movimenti sociali che ospita spesso le opinioni degli intellettuali della sinistra brasiliana. Dagli interventi registrati da Brasil de Fato emergono due correnti principali: una ritiene che la disputa elettorale tra programmi e candidati del Pt e del Psdb sia comunque antagonista, l'altra sostiene invece che tra Serra e Rousseff non ci sia invece alcuna differenza sostanziale. Ce n'è anche per Marina Silva, candidata per il Partido Verde e uscita dal governo petista con le dimissioni da ministro presentate a Lula in seguito alle divergenze insanabili sulla politica ambientale. Compagna di Chico Mendes nelle dure battaglie per i diritti dei seringueiros, Marina Silva è accreditata di un consenso che si attesterebbe al massimo intorno al 12%.
Secondo l'analista politico Wladimir Pomar alcune differenze tra i due contendenti ci sono, se non altro perché Dilma ha subìto un'offensiva senza precedenti ad opera della grande stampa. L'intenzione di Serra, spiega, era quella di lavorare sull'annullamento delle differenze tra il suo programma e quello della Rousseff per rubare voti alla rivale puntando al centro, ma gli editoriali di numerosi quotidiani, tra cui la Folha de S.Paulo, che lo hanno accusato di populismo, hanno spinto il candidato tucano ad optare per una decisa sterzata a destra. Rousseff sembrerebbe dunque il male minore, come ha confermato anche Emir Sader, sociologo e tra i fondatori del Forum Sociale di Porto Alegre. Per lui Serra aprirebbe ai trattati di libero commercio e taglierebbe i fondi stanziati per le politiche sociali, mentre Dilma cercherebbe di lavorare sull'integrazione regionale (in cui, è bene ricordarlo, il Brasile ha storicamente giocato la carta di potenza regionale egemonica) e su uno sviluppo economico che eviti di passare apertamente all'apertura al grande capitale. Tutto ciò di fatto è già avvenuto sotto Lula, si pensi solo all'agrobusiness, all'Iirsa (Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Sudamericana), o al più recente Pac (il Programa de Aceleração do Crescimento), che hanno ricevuto ampio consenso nella bancada petista ed hanno sistematicamente calpestato i diritti di ribeirinhos, popoli indigeni e movimenti contadini. E' per questo che Luis Fernando Novoa, anche lui sociologo (presso la Universidade Federal de Rondônia), parla di "convergenza programmatica" tra Serra e Rousseff: entrambi non andranno mai a contestare gli interessi delle transnazionali e delle grandi corporazioni finanziarie. Il capitalismo compassionevole di Dilma si espliciterebbe nell'impegno per l'aumento di un determinato potere d'acquisto di tutti gli strati sociali senza però andare ad incidere realmente sugli elevati livelli di disuguaglianza e sull'intoccabile concentrazione della terra nelle mani dei soliti noti. Il programma di Marina Silva sarebbe poco diverso da quello dei due principali sfidanti per Roberto Malvezzi, rappresentante della Commissione Pastorale della Terra (Cpt), che parla di differenze impercettibili tra i candidati. Tutti concordano sulla mancanza di dibattiti politici reali tra i pretendenti al Planalto, che invece stanno lavorando molto per vendere al meglio la loro immagine.Le probabilità di vittoria di Dilma Rousseff non sembrano essere scalfite nemmeno dallo scandalo che a pochi giorni dal voto ha colpito il Pt. Erenice Guerra, collaboratrice petista della stessa Dilma, che ha sostituito al Ministero della Casa Civile dopo l'annuncio della sua candidatura, è stata costretta alle dimissioni immediate da Lula in seguito alla scoperta che il figlio, Israel Guerra, avrebbe richiesto tangenti per perorare la causa di alcuni progetti presso il governo, tra cui l'Agenzia Nazione di Aviazione Civile (Anac).
Anche la folta pattuglia di candidati in corsa per il Planalto a sinistra di Rousseff e Marina Silva, non sembra in grado di catturare l'attenzione degli elettori brasiliani. Poco comprensibili le differenze tra i quattro rappresentanti della sinistra sociale brasiliana, che pure hanno ricoperto un ruolo di primo piano a fianco dei movimenti popolari. Ivan Pinhero (Partido Comunista Brasileiro), Plinio de Arruda Sampaio (Partido Socialismo e Libertade), Rui Costa Pimenta (Partido da Causa Operária) e José Maria de Almeida (Partido Socialista dos Trabalhadores Unificados) hanno in comune l'uscita dal Pt e dalla Cut (Central Única dos Trabalhadores) per militare nel sindacato Conlutas (Coordenação Nacional de Lutas) e la militanza clandestina sotto la dittatura, ma difficilmente otterranno un risultato soddisfacente, anche perchè non è stata ripetuta l'esperienza del 2006, quando il Frente de Esquerda si presentò compatto sostenendo la candidatura di Heloisa Helena con il coordinamento del Psol. Il risultato non fu del tutto soddisfacente, ma nemmeno da buttar via, un onorevole 7% che stavolta sarà difficile riconquistare.
Il candidato ideale resta dunque un miraggio. Non lo ha trovato Frei Betto (teologo della liberazione, scrittore e militante sociale) che ha dichiarato il suo voto per chi avrebbe mostrato interesse alla causa dei movimenti popolari, ma alla fine Dilma potrebbe risultare una presidente accettabile. Non entusiasma, ma se pensiamo al già immenso potere dell'oligarchia economica, politica, mediatica e terrateniente che tiene comunque in scacco il paese (il teologo Leonardo Boff, silenziato dal Vaticano, la definisce una grande famiglia mafiosa), forse sarebbe la soluzione auspicabile.
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