Brasile: Finalmente terra! la storia di 13 famiglie di semtierra a cui finalmente viene riconosciuto il diritto alla proprieta' della terra
25 febbraio 2004 - In Brasile, precisamente nel paese di Alto Rio Novo, nello stato dello Espirito Santo, si è verificato un esempio di democrazia diretta.
Attraverso qualche chilometro di strada sterrata, sorge una piccola casa immersa nel verde. La proprietà si chiama Beija flor, bacia fiore, e prende il nome da un uccello chiamato così.
Si trova fra le colline che circondano la città, in una vallata che incanta per la ricchezza della vegetazione, e induce a pensare ai grandi contrasti che affliggono questa terra.
E’ qui che tredici famiglie di contadini senza terra andranno a vivere da oggi. E’ il giorno dell’occupazione formale della terra, della firma del contratto. Ad aiutarli nel percorso burocratico che porta all’esproprio è un’associazione di volontari che non fa parte del più noto Movimento dei Sem Terra (Mst), né del Feates – equivalente sindacale del Mst nello Espirito Santo. Questa associazione si occupa di individuare la terra, di cercare le famiglie e di curare i rapporti con il governo brasiliano. In questo modo i senza terra non devono entrare in contatto diretto con il proprietario delle aree espropriate. E’ lo stato a parlare con il proprietario terriero mentre l’associazione fa da tramite.
Al nostro arrivo alcune delle famiglie sono già sul posto. I bambini, in tutto trentatre, giocano e si rincorrono nel terreno che circonda la casa. Fra gli adulti alcuni volti sono tesi ma sereni, altri molto rilassati.
Nel piazzale si stanno riunendo gli interessati. Alcuni uomini disposti in cerchio osservano quello che sarà il pozzo per l’acqua. Nel piazzale, riparate all'ombra di un grande albero, si trovano alcune tavole di legno adattate a panchine. E’ qui che si terrà la riunione per la firma del contratto.
Manca ancora qualcuno all’appello. Arriva con un po’ di ritardo, sul retro di un grande camion azzurro.
Ora l’attesa è concentrata sull’arrivo del rappresentante dell’Istituto nazionale per la colonizzazione e la riforma agraria (Incra). Arriva da una strada secondaria, su una grossa jeep. A bordo, due uomini e l’autista.
Quello che sembra essere il capo, inizia a fare un lunga serie di domande al rappresentante delle famiglie che gli si è avvicinato. L’uomo sul retro è armato di pistola e fucile.
La preoccupazione torna per qualche istante fra questa gente che ha dovuto superare la paura dell’esproprio di una delle terre del prefetto della città. Finito il dettagliato interrogatorio, gli uomini vanno via senza nemmeno identificarsi. "Forse una pattuglia inviata da qualche curioso per raccogliere informazioni", commentano.
Pochi minuti dopo, la riunione ha inizio. Il coordinatore delle famiglie insieme a Jasy, che rappresenta l’associazione, e la persona inviata dall’Incra, spiegano cosa comporta quella firma.
C’è grande attenzione durante la lettura del contratto. Ogni famiglia riceverà sette ettari di terreno, i lotti saranno divisi e sorteggiati. Il governo fornirà loro un prestito a fondo perduto per la costruzione della casa. Il contratto prevede l’impossibilità di cedere il terreno a terzi per un certo numero di anni, l’impegno a rispettare le dimensioni minime per la costruzione della casa e l’impegno degli insedianti a produrre e lavorare personalmente la terra per almeno tre mesi. Finita la lettura del contratto si inizia con le firme. E’ il rappresentante dell’Incra a chiamare i capi famiglia uno per uno. Questi andranno a firmare il contratto usando come appoggio una piccola sedia di legno. Il momento è di grande importanza per queste persone, finalmente la possibilità di iniziare una vita diversa diventa concreta. Mentre si procede nelle operazioni burocratiche, uno degli uomini, assistito dal figlio, inizia a pensare ai festeggiamenti sistemando i mattoni e il carbone per il churrasco.
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