Haiti. L’innocenza violata
1492. nel suo primo viaggio verso le Indie Colombo sbarca sull’isola di Hispaniola. L’isola viene subito rivendicata come territorio della Corona.
1697. La spagna cede la parte occidentale dell’isola alla Francia.
XVIII secolo. La Francia istalla nella futura Haiti una colonia produttiva di schiavi importati dall’Africa. Non esistono schiavi di seconda generazione; questi vengono fatti lavorare fino allo sfinimento. Quando muoiono se ne importano altri.
1791. Inizia la rivolta degli schiavi di Haiti.
1804, 1 gennaio. Proclamazione di indipendenza. Haiti è il primo paese “nero” indipendente del mondo.
1915-1934. L’isola è occupata militarmente dagli USA.
1934-2010. Il Paese vive una serie di colpi di stato, rivoluzioni, rivolte e spargimenti di sangue, spesso orchestrati all’estero. È una continua lotta per una vera indipendenza. I governi si alternano più in base al risultato delle elezioni americane che non sulla base di voti popolari.
2010, 12 gennaio. Un terremoto di magnitudo 7,3 sconquassa il Paese e lascia per le strade oltre 200.000 morti e quasi 2 milioni di sfollati.
2010, i giorni seguenti. 20.000 soldati USA e 9,9 miliardi di dollari sbarcano sull’isola. Finisce il sogno di una Haiti indipendente.
Questa è una breve e stringata cronologia della storia di Haiti. Un pezzetto di Africa incastonata tra le isole dei caraibi. Un Paese raccontato da Marco Bello e Alessandro Demarchi nel loro libro “Haiti. L’innocenza Violata” (Infinito Edizioni, 172 pagine, 13 €).
Marco Bello e Alessandro Demarchi sono due grandi conoscitori e “amanti” del paese caraibico ma il loro libro non è solo un canto per un paese dal fascino e dalla storia appassionante. Non è nemmeno un canto disperato di aiuto. Il loro libro è soprattutto un’analisi lucida della situazione di un popolo che ormai da troppi anni lotta contro se stesso e contro un concetto di sviluppo importato dall’estero. Le statistiche ci dicono che Haiti ha i tassi di disuguaglianza economica e sociale più elevati d’America e tra i più alti al mondo ma i grandi flussi di denaro della ricostruzione post-terremoto rischiano di alimentare ancora di più questa disuguaglianza e di mantenere una struttura “umanitaria” fine a se stessa. Tra le pagine del libro, volti haitiani raccontano di un’emergenza umanitaria perversa: ONG che sono lì più per mantenere una loro struttura e dinamica interna che non per la ricostruzione del Paese, agenzie che lanciano faraonici programmi agricoli in partnership con grandi industrie farmaceutiche garantendo una futura dipendenza dalle sementi OGM, o altre agenzie che distribuiscono cibo importato dalle agricolture sovvenzionate del nord; o che distribuiscono cibo che comporta lunghi tempi di cottura e alimenta così la deforestazione del Paese con meno alberi del mondo.
Alternando una parte storica a altre parti più sociologiche e poi ai racconti degli haitiani stessi il libro non pecca della tipica presunzione di voler raccontare un Paese dall’esterno. Chi racconta Haiti in questo libro sono gli haitiani stessi. Sono haitiani di Haiti e haitiani “d’Italia”, rivoluzionari o contadini, preti o sacerdoti vudù.
Un’immancabile prospettiva su una delle tragedie più grandi degli ultimi anni. E non stiamo parlando solo del terremoto…
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