Latina

Martinelli svende il paese alle multinazionali minerarie

Panama: modificato il Código de Recursos Mineros

Indigeni e movimenti rispondono con cortei e proteste

19 febbraio 2011
David Lifodi

L’offensiva minera prosegue in tutto il continente sudamericano. Dopo Honduras, Guatemala, Perù, Messico (e potremmo andare avanti a lungo), adesso tocca a Panama per volere del suo presidente Martinelli, ribattezzato ironicamente dai movimenti sociali Minerelli per la sua ferma volontà di riformare a qualsiasi costo il Código de Recursos Mineros. L’obiettivo è quello di sempre: favorire gli investimenti delle multinazionali straniere di settore nel paese.

Dieci giorni fa il Congresso panameño ha approvato le riforme da apportare al Código Minero a maggioranza schiacciante. Quarantadue voti favorevoli (quindici i contrari) hanno sancito quello che le imprese minerarie da tempo aspettavano: libertà di sfruttare a piacimento i territori da sempre abitati dalle comunità indigene e contadine. Il Cerro Colorado rappresentava il sogno proibito degli investitori stranieri almeno dal 2010 e proprio sul quel territorio, abitato dai popoli indigeni Ngóbe e Buglé, il presidente Martinelli aveva deciso di fare cassa e svendere le risorse naturali (insieme alla sovranità) del paese: conosciuto come la seconda riserva mondiale di rame, il Cerro difficilmente avrebbe resistito  a lungo agli appetiti delle multinazionali. Inoltre, la mossa di Martinelli si colloca nel solco di un ventennio di politiche orientate verso le privatizzazioni di stampo neoliberale, ulteriormente accelerate quando il presidente di origine italiana è entrato in politica fino a vincere le elezioni che nel 2009 lo hanno consacrato alla guida del paese. A lui si deve la cosiddetta Ley Chorizo, una serie di norme capestro che, tra le altre cose, riducono fortemente i diritti dei lavoratori e diminuiscono, non casualmente, il potere di controllo dell'esecutivo in materia ambientale. I risultati della presidenza Martinelli sono pessimi secondo gli studi del professor Gandásegui (docente presso l’Università di Panama), pubblicati in un suo articolo per l’agenzia di notizie latinoamericane Adital: “A Panama la povertà estrema non esisteva, mentre dal suo insediamento il 20% dei panamensi vive in uno stato di miseria e quasi il 50% in condizioni di povertà”. Alle contestazioni rivolte verso la Ley Chorizo si sono aggiunte quelle contro l’approvazione del nuovo codice minerario, che hanno raccolto tutti i settori dell’opposizione sociale, dagli indigeni ai contadini passando per gli studenti, i docenti e le organizzazioni popolari quali il Frente Nacional por la Defensa de los Derechos Economicos y Sociales (Frenadeso, un fronte plurale che raggruppa sindacati, movimenti e realtà di base del paese) e Unidad de Lucha Integral del Pueblo (Ulip). Come già successo in occasione delle proteste contro la Ley Chorizo, anche in questa circostanza Martinelli ha mandato per le strade i battaglioni antisommossa della polizia che hanno causato numerosi feriti. Il Governo sostiene che dietro la protesta (a maggioranza indigena) si trovano non meglio precisati agenti stranieri secondo uno schema già visto decine di volte in passato. I popoli indigeni rifiutano la svendita del paese all’industria mineraria, da loro denominata “industria della morte”, in quanto lesiva dei diritti all’istruzione, all’alimentazione, alla storia e alla cultura di cui, su quei territori, sono da sempre portatori. I danni ambientali trasformeranno infatti le terre abitate dai popoli ancestrali in un deserto dove sarà impossibile abitare poiché l’estrazione mineraria causerà l’avvelenamento dei fiumi, l’inquinamento delle foreste e modificherà fortemente l’urbanizzazione del territorio, fino a trasformarsi in una grande maquiladora a cielo aperto senza alcun controllo, come già sta accadendo in molti altri paesi latinoamericani. La mobilitazione della società civile panamense è diretta quindi contro la costruzione delle miniere nel particolare, ma più in generale contro il modello di desarrollo depredator che Martinelli sta imponendo al paese grazie ad un ampio appoggio. Il Congresso indigeno Ngóbe-Buglé, riunito in assemblea, ha denunciato la mancate attenzioni e cure prestate ai pazienti feriti in occasione degli scontri con la polizia del 7 Febbraio scorso, quando un corteo pacifico svoltosi nella Comarca Indigena per chiedere una moratoria alla legge di riforma del Código Minero è stata attaccata dalla polizia con gas lacrimogeni. Stato di diritto assente, ecosistema a rischio, violazione dei diritti umani rappresentano la faccia dura di Martinelli, ma si fa largo anche una politica di guerra a bassa intensità, in certi casi invisibile, volta a dividere le comunità con promesse fasulle. Una su tutte: la garanzia che mai il Cerro Colorado sarà sfruttato sotto la presidenza Martinelli nonostante la riforma del Código Minero.

Le ultime notizie provenienti dalla Comarca indigena segnalano la presenza di infiltrati al solo scopo di provocare una situazione di caos: difficile pensare che ancora una volta non ci sia lo zampino di Minerelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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