Panama: indigeni contro le dighe
Incapaci di comprendere i progressi della modernità, selvaggi, ignoranti e manovrati da forze esterne al paese. Questo è solo un piccolo campionario degli insulti quotidiani che devono sopportare gli indigeni Ngäbé Büglé, abitanti della piccola provincia panameña di Chiriquí. In effetti si sono macchiati di una colpa grave: bloccare la Via Panamericana per impedire la costruzione di una centrale idroelettrica che avrebbe effetti devastanti sulle loro vite e sull'ecosistema circostante.
Opporsi alle dighe in tutto il Latinoamerica è diventato rischioso: rappresentano un grande affare per le imprese costruttrici e appaltatrici e al tempo stesso sono fonte di investimenti assai redditizi per le poche famiglie legate a doppio filo con il mondo delle imprese e della grande finanza. Anche a Panama succede così. Uno dei beneficiari dai proventi della diga sarà proprio il presidente Martinelli, le cui belle parole sul suo presunto impegno a vietare l'estrazione mineraria a cielo aperto e bloccare la costruzione delle represas suonano quantomeno come poco credibili. Il progetto idroelettrico della discordia, Barro Blanco, dovrebbe sorgere sul Río Tabasará. E' dalla fine degli anni '70 che stanno provando a costruirlo con le stesse motivazioni propagandate oggi: dovrebbe servire a soddisfare la smisurata richiesta di energia per il progetto di sfruttamento minerario del Cerro Colorado, ricco di rame e oro. Note in passato con i nomi di Tabasará 1 e Tabasará 2, le dighe dovrebbero andare a costituire un'unica megacentrale a cui gli indigeni Ngäbé Büglé si erano opposti fin dall'inizio riuscendo ad ottenere dall'allora presidente Omar Torrijos lo stop dei lavori: era il 1980. Fin qui la Coordinadora por la Defensa de los Recursos Naturales y Derechos del Pueblo Ngäbé Büglé y Campesino è riuscita a bloccare in maniera pacifica e non violenta lo svolgimento dei lavori ed ha ottenuto l'allontanamento degli operai delle imprese dalla zona, ma chiedono un incontro urgente al governo ricordando che l'avvio dei lavori dovrà essere inevitabilmente sottoposto ad una consultazione delle comunità, il cui pronunciamento per mandare a monte il progetto appare scontato. Difficile, al tempo stesso, che il presidente Martinelli ed il suo esecutivo diano ascolto agli Ngäbé Büglé: da gente che negli ultimi anni si è schierata con i golpisti in Honduras, ha varato una legge che vieta il diritto di sciopero e ha sostenuto di "voler gestire il paese come un supermercato" è pura utopia aspettarsi qualcosa di positivo. Eppure Panama non avrebbe bisogno di enormi riserve energetiche. Lo racconta Òscar Sogandares, dell'Asociación Ambientalista de Chiriquí, in un lungo articolo in cui spiega che la situazione per il paese si è fatta critica a partire dal 1995, anno in cui è partito un programma di privatizzazioni in grande stile culminato nel 2001 con la visita dell'allora presidente messicano Fox: la stipula del Plan Puebla-Panamá, spacciato come un accordo che avrebbe dovuto garantire l'approvvigionamento di energia a tutta l'America Centrale, serviva in realtà al Messico per compensare il suo deficit di energia dovuto alla ratifica del Nafta con Stati Uniti e Canada.
Se il progetto Barro Blanco andasse in porto sarebbe un altro duro colpo alla già precaria situazione ambientale della provincia di Chiriquí, a rischio desertificazione per via dell'agronegozio che ha preso sempre più piede grazie agli stessi potentati economici locali schierati per la costruzione delle dighe a qualsiasi costo.
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