Haiti: Sotto assedio
29 febbraio 2004
Paola Erba
“E’ una situazione terribile, quella di oggi. La capitale è nelle mani delle bande armate di Aristide. Saccheggiano, rubano, distruggono. Ci sono cadaveri per strada. Le vie sono deserte. Io mi sono barricato in casa”.
A parlare al telefono, venerdì sera, da Port-au Prince, è un nostro informatore. Come lui, chi ha deciso di restare nella capitale (o non ha potuto andarsene) passa le ultime ore chiuso in casa. Fuori, le strade sono vuote, le bande di saccheggiatori spadroneggiano e c’è un silenzio inquietante, di attesa. Si aspetta l’arrivo dei ribelli. Giovedì hanno conquistato Les Cayes (al sud) e venerdì Mirebalais, 48 chilometri a Nord di Port–au-Prince.
La capitale è vicina. Guy Philippe, capo dei ribelli, ha promesso di assaltarla domenica, il giorno del suo 36esimo compleanno. E così, Port-au-Prince, da sempre centro dei seguaci di Aristide, si prepara allo scontro. Da giorni, le Chimeres, le milizie private del presidente, hanno isolato le vie di comunicazione e costruito barricate ovunque. Nell’anarchia generale, è scomparsa la polizia ed è iniziato il saccheggio.
28 febbraio 2004 - “Girano con auto rubate – continua il nostro collaboratore - e svaligiano quello che trovano: case, imprese, negozi. Tutto è chiuso da una settimana. E’ impossibile trovare da mangiare. La gente si riunisce tra familiari e amici e resiste con quello che ha. Dove vivo io, su dieci appartamenti, solo due sono ancora abitati: il mio e quello di una famiglia accanto, che è appena venuta a chiedermi qualcosa da cucinare. Fra poco razioneremo l’elettricità. Ci viene fornita da un gruppo elettrogeno, perchè qui, anche in tempi normali, la corrente c’è solo per due ore al giorno.
Tutte le compagnie aeree hanno sospeso i voli. Giovedì, mia moglie e mio figlio sono usciti dal Paese insieme ad altre 150-200 persone, con voli messi a disposizione dall’Ambasciata di Spagna e dalle Nazioni Unite. Il convoglio che li portava all’aereoporto era scortato dai marines.
Sono stato per anni in Africa, ho vissuto l’embargo del Burundi, ma queste sono le giornate più dure che mi siano mai capitate. Ieri, alcuni colleghi francesi e un italiano sono rimasti bloccati a Jeremy, dove si erano recati per espatriare”.
E a Port-au-Prince c’è anche chi è rimasto bloccato sul luogo di lavoro. Dominique, infermiera all’ospedale di Canape-Vert, spiega preoccupata al telefono che l’auto dell’ospedale è stata rubata. “Non posso uscire – dice – e a casa ho due bambini di 4 e 2 anni che mi aspettano. Me li sta curando una vicina”.
Aristide continua a chiedere aiuti internazionali. Ma non vuole dimettersi. Qualche giorno fa gli Stati Uniti hanno inviato cinquanta marines per proteggere la loro ambasciata e venerdì il Pentagono ha annunciato l’invio di altre tre unità: 2200 uomini in tutto. Staranno in mare, per frenare l’esodo dei rifugiati. Nelle ultime 48 ore, infatti, la Guardia Costiera ha individuato oltre 500 persone a bordo di una decina di imbarcazioni.
Giovedì mattina, a New York, il consiglio di sicurezza dell' Onu ha discusso sulla crisi haitiana, ma non è arrivato ad alcuna soluzione. Nulla di fatto anche a Parigi, dove il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin ha ricevuto venerdì i rappresentanti di Aristide. L’opposizione politica, anch’essa attesa, non si è presentata. “Il governo francese – ha detto Villepin- continuerà a cercare una soluzione politica alla crisi”. E accusando Aristide di avere una forte responsabilità nella situazione, lo ha invitato a dimettersi.
Intanto, la frontiera tra Haiti e la Repubblica Dominicana è stata riaperta. Qui stanno per essere costituiti alcuni comitati dominicani di solidarietà con il popolo di Haiti, mentre una cinquantina di organizzazioni non governative, cattoliche e umanitarie si sono riunite per cercare una via d’uscita.
Paola Erba
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