Latina

Otto Pérez Molina, ex-generale di estrema destra, è il nuovo presidente

Guatemala: un militare al potere

Le elezioni sono state caratterizzate da un alto tasso di astensionismo
8 novembre 2011
David Lifodi

La domenica appena trascorsa, in Guatemala, ha segnato il ritorno sulla scena di un incubo persistente, quello di Otto Pérez Molina, leader del Partido Patriota (Pp) e, purtroppo, nuovo presidente del piccolo paese centroamericano.

A dire il vero gli elettori non avevano molta scelta, costretti a dare la preferenza a due candidati di destra, quella estrema dell'ex-generale Molina e quella, solo in apparenza più presentabile, del miliardario Manuel Baldizón, in lizza per il Partido Lider (Libertad Democratica Renovada). Ha prevalso la destra dura e pura di Otto Pérez Molina, che ha raggiunto quasi il 55% dei voti, dieci punti in più rispetto a quelli di Baldizón, nonostante su quest'ultimo siano probabilmente confluiti i voti dei sostenitori dell'Unidad Nacional de la Esperanza (Une), il partito del presidente uscente Colom. In occasione del primo turno svoltosi alla fine di Ottobre, la debole sinistra guatemalteca aveva ottenuto un risultato disastroso, ma al ballottaggio del 6 Novembre ha fatto ancora peggio sfaldandosi su due candidati di destra. Al contrario, il rischio che vincesse Otto Pérez Molina si è fatto sempre più concreto con il passare del tempo. L'ex generale, che già quattro anni fa aveva cercato di giungere alla presidenza del paese prima di essere sconfitto da Colom, ha avuto gioco fin troppo facile in un paese in cui, secondo i dati delle Nazioni Unite, si registrano 48 omicidi ogni centomila abitanti. Lo slogan "urge mano dura", che già nelle precedenti presidenziali aveva invaso strade e piazze del Guatemala sotto forma di terrificanti murales con l'immagine di un pugno che sbatteva con forza su un tavolo, per quanto agghiacciante, ha fatto rapidamente breccia in un elettorato già confuso e terrorizzato. Otto Pérez Molina, primo candidato di provenienza militare a tornare al potere in seguito alla conclusione del devastante conflitto armato che per 30 anni ha insanguinato il paese, ha già rilasciato alcune dichiarazioni preoccupanti. Ha detto che dedicherà tra il 60 e il 65% del suo tempo al problema della sicurezza: tradotto, significa che proseguirà il lavoro di limpieza social per le strade del Guatemala, ma soprattutto della capitale, peraltro già portato avanti da Colom durante il suo mandato, caratterizzato da una vaga tinta di centrosinistra per via di programmi assistenzialisti, anche se utili in minima parte ad alleviare le sofferenze di una popolazione poverissima, quali Bolsa Solidaria e Mi Familia Progresa. Del resto, le operazioni di pulizia sociale Otto Pérez Molina le conosce bene. Lo scorso 5 Luglio l'ex-generale è stato denunciato di fronte all'Onu per violazione dei diritti umani quando dirigeva le forze speciali di sicurezza in operazioni di controguerriglia che spesso terminavano con esecuzioni sommarie di interi villaggi abitati da indigeni maya. Inoltre, il neopresidente, non appena ricevuta l'ufficialità della vittoria, ha già promesso un posto da ministro a Mauricio López Bonilla, stratega della sua campagna elettorale, ma soprattutto ex-militare e compagno di mille battaglie di Molina. Infine, particolare assai inquietante, la parabola del leader del Partido Patriota sembra assai simile a quella del maggiore Roberto D'Aubuisson, uno dei repressori più feroci del CentroAmerica: entrambi risultano essere coinvolti in prima persona nell'uccisione di due sacerdoti vicini alla Teologia della Liberazione e agli strati sociali più poveri. D'Aubuisson figura tra i mandanti morali dell'omicidio di Monsignor Romero in El Salvador, su Molina pesano forti sospetti per quanto riguarda l'eliminazione del vescovo Juan Gerardi, assassinato il 26 Aprile 1998, il giorno dopo la pubblicazione di "Guatemala Nunca Mas", un dettagliato rapporto sulle violenze perpetrate dall'esercito ai danni di indigeni, contadini, donne, sindacalisti, catechisti legati alla Pastorale Sociale e attivisti per i diritti umani. E' anche per questo che, nonostante un successo inequivocabile, Molina non può non tacere su un'altissima percentuale di astenuti. Solo il 54% degli elettori si è recato alle urne, sia nella capitale, Guatemala City, sia in alcuni dipartimenti. Chichicastenango e Ixcán (entrambi nel Quiché) sono stati tra i centri dove l'affluenza è stata molto bassa, ma ha colpito anche l'enorme numero di schede bianche o nulle: questo fenomeno, hanno dichiarato gli analisti, dell'Instituto Centroamericano de Estudios Políticos, di certo non aiuta il Guatemala nel suo percorso verso la democrazia. Astensionisti sicuri sono stati gli elettori del Frente Amplio, la coalizione di sinistra che aveva candidato al primo turno il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú e composta dalla ex guerriglia e dai movimenti sociali. Sulla figura e sulle pratiche politiche della Menchú erano già emerse perplessità e motivi di disaccordo al primo turno, ma è in occasione del ballottaggio che è emersa una spaccatura all'interno dei frenteamplistas. L'Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca (Urng), la più forte formazione guerrigliera del paese trasformatasi in partito politico, ha fatto campagna attiva per l'astensione, mentre sembra che una parte del Frente abbia optato per il male minore, il voto a Manuel Baldizón, leggermente più presentabile, tanto da cercare di essere accreditato come conservatore, ma sostenitore, al tempo stesso, del ritorno alla pena di morte. La campagna di entrambi i candidati, incentrata sulla tolleranza zero, ha allontanato dalle urne soprattutto gli indigeni, maggioranza nel paese, ma ancora oggi considerati alla stregua delle bestie.

Dal 14 Gennaio 2012, data in cui Otto Pérez Molina assumerà ufficialmente la presidenza del paese, il Guatemala vivrà una fase di ulteriore militarizzazione in un contesto in cui spadroneggiano i cartelli del narcotraffico (quelli messicani compresi) e la violenza delle pandillas (le gang giovanili) cresce quotidianamente in maniera esponenziale: l'incubo prosegue, mentre pace e giustizia sociale ancora una volta restano un miraggio. 

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