Repubblica Dominicana: Amnesty International denuncia gravi violazioni dei diritti umani da parte della polizia
“Con il calcio della pistola il tenente mi ha dato un colpo alla tempia e sono svenuto. Mi ha lasciato cadere ripetutamente sulla marmitta bollente della sua moto. Questo me lo ha raccontato un amico che era presente perché io avevo perso i sensi e non me ne rendevo conto. Il giorno dopo quando mi sono svegliato ero ammanettato in caserma con il corpo ricoperto di bruciature e il sangue che mi colava dall’orecchio e dal naso.” E’ quanto ha raccontato Eduardo Hernandez Portoreal, 33 anni, alla delegazione di Amnesty International che nei giorni scorsi si trovava in Repubblica Dominicana per la presentazione del rapporto sulle violazioni dei diritti umani da parte delle forze dell’ ordine nel paese. Il rapporto di 77 pagine è chiarissimo fin dal titolo “Callate si no quieres que te matemos” (Stai zitto se non vuoi che ti ammazziamo): in Repubblica Dominicana la Polizia Nazionale commette abusi di varia natura, tortura e uccide a sangue freddo e in almeno due casi si è resa responsabile di sparizione forzata di persone, un crimine contro l’umanità. Queste conclusioni sono il frutto delle tre visite che la ONG ha compiuto tra il 2009 e il 2011 analizzando violazioni dei diritti umani commesse tra il 2005 e il 2011. La lettura del rapporto mette i brividi. E dovrebbe indignare profondamente soprattutto i turisti che qui difficilmente lasciano andare i sensi oltre la vista delle spiagge dorate, delle piantagioni immense di canna da zucchero, dei sorrisi della gente e dei volti bellissimi delle donne, oltre il suono dei ritmi coinvolgenti di merengue e bachata e il sapore del ron. La Repubblica Dominicana è un paese bellissimo, di una bellezza inebriante, ma che rivela aspetti tragici e crudeli di una società sempre in bilico tra passato e futuro, tra neocolonialismo e forte nazionalismo, tra globalizzazione e tradizione, ma soprattutto tra la ricchezza di pochi, pochissimi, e la miseria di molti. La storia di Eduardo tutto sommato è una delle meno peggiori. A Bruveiker, il 7 ottobre scorso, la polizia ha sparato alle spalle mentre lui aveva le mani dietro la testa, il proiettile gli ha spappolato l’intestino fuoriuscendogli dai genitali. Ha diciannove anni. Ha già subito due operazioni tra cui la ricostruzione del pene ed è in attesa di un’altra che dovrà riposizionargli l’intestino nella pancia dopo la rimozione del catetere, che per il momento gli funziona da “gabinetto” portatile. Lui ed Eduardo sono soltanto due dei casi che, come filiale della Romana (Región Este) della Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH) abbiamo portato a conoscenza della delegazione di Amnesty International. Le loro storie sono recentissime, accadute tra settembre ed ottobre di quest’anno, e quindi non sono inserite nel rapporto. Fanno parte per ora della cronaca ordinaria. Tuttavia il rapporto di Amnesty ne racconta a decine di casi come questi. Anche ben peggiori. Bruveiker ed Eduardo possono considerarsi fortunati. Altri, giovani o meno giovani, uomini e donne, lo sono stati meno e quanto accaduto hanno dovuto raccontarlo i loro amici e familiari. Soprattutto a queste persone, la delegazione di Amnesty International composta da Javier Zuñiga, Chiara Liguori, Robin Guttard e Josefina Solomon, esprime un profondo ringraziamento per aver “dato testimonianza della loro ricerca determinata e incrollabile della giustizia”. Il rapporto si apre con la storia drammatica di Junior Tontón Santiago, detto Salivita, morto il 28 settembre del 2010 in ospedale a causa di uno sparo ricevuto dalla polizia in un hotel della capitale Santo Domingo. Era ricercato nell’ambito delle indagini dell’omicidio di un medico avvenuto un mese prima. Un amico di Junior che era con lui ha raccontato ad Amnesty International che il giovane venne portato ancora vivo in ospedale. Una volta lì, ascoltò il capitano della pattuglia ordinare ai suoi uomini di “mettere le dita nella ferita di Junior per spingere la pallottola e farlo soffrire”. Si rese conto della morte dell’ amico una volta fuori dall’ospedale perché gli agenti volevano essere accompagnati a trovare delle armi. Ascoltò uno di loro dire al telefono: “Ho ucciso Salvita”.[1] Il caso è emblematico anche per l’impunità di cui godono i membri della polizia coinvolti nella vicenda. Al momento di redarre il rapporto, Amnesty International non aveva ancora ricevuto risposta dalle autorità rispetto alle indagini e uno dei testimoni dell’ accaduto nel marzo del 2011 non era stato ascoltato da nessun giudice. In molti altri casi invece effettivamente i poliziotti che si macchiano di tali crimini sono stati sottomessi a giustizia e condannati a pene elevate. Sono stati condannati per esempio a 30 e 20 anni di carcere i due agenti che a Santiago de los Caballeros il 20 marzo del 2006 uccisero a sangue freddo Miguel Àngel Paulino Reyes dopo essersi avvicinati a lui con la macchina e avergli detto che era tutto il giorno che lo stavano cercando. Il primo poliziotto gli puntò la pistola alla gola ma questa si inceppò, il secondo allora passò al collega la sua arma e con questa fu ucciso il giovane con un colpo alla testa. Una giovane donna che si trovava nei pressi iniziò a correre gridando: ”lo hai ucciso, lo hai ucciso”. Il poliziotto le sparò, la giovane Yaneth Altagracia morì poche ore dopo in ospedale. Un amico di Miguel Anguel che era in motocicletta con lui tentò la fuga, il tenente aprì il fuoco e casualmente colpì una passante, uccidendola all’ istante. Una carneficina. La Polizia Nazionale e il rapporto con la popolazione. La Polizia Nazionale fu fondata nel 1936 durante la dittatura di Trujillo, sotto il cui regime, che durò trent’anni, morirono circa 50mila persone. In quegli anni la Polizia Nazionale e l’Esercito si macchiarono di gravi violazioni dei diritti umani. Oggi la polizia è un corpo civile, alle dipendenze del Ministero dell’ Interno e della Polizia e non più delle Forze Armate, e conta con circa di 30 mila uomini distribuiti su tutto il territorio nazionale. Comparte comunque ancora lo svolgimento di alcune funzioni con l’Esercito. Non ha perduto infatti la forte impronta castrense (a cominciare dalle cariche rivestite da suoi membri, il capo della polizia per esempio è il maggior generale José Armando Polanco Gómez) che aveva durante l’epoca di Trujillo e tra la popolazione è altissima la mancanza di fiducia in questa istituzione tanto che “continua ad essere percepita in gran misura come un organismo autoritario, repressivo, corrotto e inefficace che commette molte violazioni dei diritti umani”.[2] Questa percezione e il ripudio della popolazione di fronte a numerosi casi di morti per mano degli effettivi della Polizia Nazionale ha dato vita nel luglio dello scorso anno alla campagna “Policia no me mate que yo me paro” (Polizia non mi uccidere che io mi fermo) organizzata da associazioni della società civile e giovanili in risposta a casi in cui molte persone, soprattutto di giovane età, erano state uccise o ferite da poliziotti per non essersi fermate all’ordine di arresto. Accadeva (e accade) purtroppo (per questo la gente ha paura di fermarsi), che l’ordine di alt veniva dato in luoghi oscuri e isolati e al malcapitato il poliziotto di turno rubasse il motorino o quanto aveva nel portafoglio. L’elevato grado di corruzione tra le fila della polizia è visto come il peccato maggiore di questa istituzione, forse ancora più grave dell’ uso indiscriminato della forza pubblica. Che la polizia sia coinvolta in episodi delittuosi lo pensa il 59,2% della popolazione dominicana (dato del Barometro delle Americhe 2010). Una delle pratiche più frequenti, quella delle retate collettive preventive (definite illegali anche dal procuratore generale della Repubblica)[3], è spesso vista come una buona opportunità per estorcere denaro a giovani innocenti: qualche peso in cambio della libertà immediata. Non sono pochi i casi di membri della polizia, anche ad alto livello implicati in casi di traffico di droga. Nell’aprile di quest’anno un reportage del Miami Herald firmato da Frances Robles descriveva drammaticamente questa situazione, della quale sono responsabili anche le Forze Armate (forse anche in misura maggiore che la Polizia Nazionale per quello che riguarda i crimini legati alla criminalità organizzata).Secondo l’inchiesta sarebbero oltre 5mila gli agenti espulsi dall’istituzione negli ultimi tre anni. Con l’intensificarsi del traffico di droga dalla Colombia verso il Messico e gli Stati Uniti , la Repubblica Dominicana è diventata ormai un importante crocevia per questo tipo di traffico illecito e i narcotrafficanti, facilitati dagli stipendi da fame delle forze dell’ordine (un tenente a malapena arriva a 5mila pesos mensili, circa 140 dollari statunitensi) hanno campo libero. I numeri della violenza Secondo fonti della stessa Polizia Nazionale le persone uccise da agenti in servizio nel 2010 sono state 268 (il 10,5% di tutti gli omicidi commessi nel paese), contro le 443 del 2009. La gestione del precedente capo della polizia, il generale Rafael Guillermo Guzmán Fermín, dal 2007 al 2010 fu definita “sanguinaria”(344 morti nel 2007, 599 nel 2008 e 443 del 2009)[4]. Il dato del 2010 sicuramente indica una tendenza al ribasso rispetto alle statistiche degli anni precedenti, anche se i numeri dei primi sei mesi del 2011 riportano 175 casi contro i 148 dello stesso periodo del 2010. Il presidente della Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH), l’avvocato Manuel María Mercedes Medina, tuttavia ha denunciato, proprio in occasione della presentazione pubblica del rapporto di Amnesty International, che le cifre sono ben diverse da quelle ammesse dalla Polizia Nazionale e che sono molto superiori. Chiedendo le dimissioni dell’attuale capo della polizia, ha inoltre responsabilizzato il presidente della Repubblica (che ha pieni poteri sulla Polizia) per “il clima di violenza, insicurezza e corruzione che si genera dallo stesso Stato e del quale la Polizia è parte fondamentale”.[5] Questi numeri comunque vanno senza dubbio analizzati anche tenendo conto del quadro della criminalità generalizzata che imperversa in tutto il paese. Questa sì, in notevole e costante aumento negli ultimi anni. Se nel 1991 si registravano 13 omicidi ogni 100mila abitanti, nel 2010 questo numero è salito a 25. Il possesso delle armi legali o illegali (anche di fabbricazione “artigianale” o chilenas, come vengono chiamate) a mio avviso è forse una delle piaghe che affliggono maggiormente la società dominicana. Essendo le “leggi che controllano il possesso delle armi, inadeguate” come riportato anche da Amnesty international, le armi praticamente sono presenti in quasi tutte le case e capitano praticamente in mano a tutti: giovani, ragazzini, persone con disturbi psicologici, alcolizzati… senza nessun tipo di controllo. Purtroppo l’ attitudine degli agenti corrotti della polizia che si “beneficiano della delinquenza invece di combatterla” non aiuta a diminuire la tragicità di questi numeri, che sono alti ovviamente anche rispetto ai morti tra le stesse forze dell’ordine. Proprio questo è un dato molto spesso rilanciato dai comunicati ufficiali della Polizia Nazionale che accusano le ONG tra le quali la stessa Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani, di difendere soltanto i criminali. Questa stessa accusa viene assunta, via media, dalla popolazione civile, rendendo spesso difficile il lavoro delle associazioni per la difesa dei diritti umani nel paese. Nel 2010 sono stati 62 i membri della Polizia Nazionale rimasti uccisi. Tuttavia il quotidiano Listín Diario ha realizzato una ricerca tra i dati forniti dalla Polizia e risulta che di 52 agenti morti tra gennaio e novembre del 2010 soltanto 12 di questi sono caduti in servizio. Gli altri sono rimasti uccisi nel corso di aggressioni personali o furti o mentre essi stessi stavano compiendo dei crimini. [6] Esecuzioni extragiudiziali, torture, sparizioni forzate e impunità. La versione ufficiale,che viene fornita e ripetuta costantemente sui mezzi di comunicazione per giustificare l’alto numero di morti avvenute per mano delle forze dell’ordine è che si tratta di morti avvenute nel corso di “intercambio de disparos” cioè di conflitti a fuoco e che queste sono dovute all’intensa attività di pattugliamento realizzata dalla Polizia. Tuttavia i testimoni, le indagini di medicina legale e spesso le stesse aule giudiziarie hanno dimostrato che in realtà non si trattava di veri scontri a fuoco ma soltanto di uso illegittimo e spropositato della forza fino ad arrivare a casi di vere e proprie esecuzioni extragiudiziali (con questo termine si intende la privazione deliberata della vita di una o varie persone da parte di agenti dello Stato), condannate dai tribunali internazionali e dal Diritto Internazionale dei diritti umani. Emblematico è il caso di Miguel Àngel Paulino Reyes prima descritto o quello di Jesús de la Rosa Santana, freddato con un colpo alla testa il 28 giugno del 2010 quando una decina di poliziotti in borghese sono entrati in casa sua e lo hanno trascinato fuori dalla porta, uccidendolo davanti alla moglie e ai figli. Dopo avergli messo una pistola in mano e aver sparato con quella un paio di colpi a vuoto, gli hanno rubato 11mila pesos (300 dollari). La polizia nel rapporto ha dichiarato che Jesús era morto in uno scontro a fuoco. La giurista Rosalía Sosa Pérez, rispetto al fenomeno delle esecuzioni extragiudizali dichiara che sebbene la pena di morte nel paese non esista più da tempo, in questi casi si può parlare di “pena di morte dissimulata”[7], mentre l’analista in materia di sicurezza Daniel Pou parla di una “cultura dello sterminio, una cultura di applicare pene illegali, fuori dal contesto giuridico come la pena di morte a determinati gruppi, in modo tale che si esercita una sorte di effetto dimostrativo a scopo intimidatorio”.[8] Questi determinati gruppi sono i settori sociali più emarginati e più vulnerabili, marcati da una sorta di pregiudizio collettivo secondo il quale “sei delinquente perché sei povero” (o viceversa). La tortura è una pratica ampiamente diffusa ed è utilizzata spesso come “strumento” di indagine o per estorcere una confessione. Avviene tanto nelle caserme di polizia come in carcere. I metodi più utilizzati sono le percosse in varie parti del corpo, soprattutto ai genitali,il far rimanere i detenuti in ginocchio o in posizioni scomode per moltissimo tempo, tenerli appesi per le manette dalle porte o da chiodi nelle pareti senza che possano poggiare i piedi per terra. In almeno un caso riferito, è stato usato uno strumento elettrico. Quanto accaduto al giovane Eduardo, le bruciature ripetute sul corpo con la marmitta bollente del motorino, cosa sono se non torture aggravate dal sadismo? Tra il 2009 e il 2011 si sono registrati inoltre due casi di sparizioni forzate. La sparizione forzata viene considerata come crimine contro l’umanità da tutti i trattati internazionali ratificati anche dalla Repubblica Dominicana, la quale ad oggi però non ha ancora firmato e nemmeno ratificato la Convenzione Internazionale per la Protezione di Tutte le Persone contro la Sparizione Forzata. Le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni forzate vengono considerate generalmente il limite dell’eccesso dell’uso della forza, oltre il quale parlare di Democrazia e Stato di Diritto risulta eufemistico. Il caso di Juan Almonte Herrera[9]: “Il 28 settembre del 2009, Juan Almonte Herrera, membro del Comité Dominicano de los Derechos Humanos, mentre si dirigeva a piedi verso l’ufficio dove lavorava come contabile, fu fermato da quattro uomini armati che lo obbligarono a salire su di un’automobile. Secondo il rapporto, vari testimoni identificarono i quattro uomini armati come agenti del Dipartimento Antisequestro della Polizia Nazionale. Due ore dopo l’arresto, la polizia annunciò per televisione che stava cercando Juan Almonte Herrera perchè era indagato per il sequestro di Eduardo Baldera Gomez. Il 2 ottobre del 2009, dopo che gli avvocati designati dalla famiglia di Juan Almonte Herrera avevano presentato un ricorso di Habeas Corpus mettendo in dubbio la legalità della detenzione, il Tribunale di Prima Istanza di Santo Domingo, ordinò alle autorità la sua immediata liberazione. La polizia disse che l’uomo non era detenuto e lo dichiarò latitante. Alla fine del 2009, due cadaveri carbonizzati non identificati furono trovati in un automobile a Santo Domingo e portati all’Istituto Nazionale di Patologia Forense. Uno dei cadaveri fu identificato come quello di Jean Almonte da sua sorella. Ciò nonostante, le prove del DNA dettero risultato negativo, anche se la famiglia ha espresso motivo di preoccupazione per la forma in cui sono state realizzate le analisi. Nel dicembre del 2009, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha chiesto alla Repubblica Dominicana di rendere noto il luogo in cui si trova detenuto Juan Almonte, di garantire la sua sicurezza e quella dei familiari e avvocati, e di informare la Commissione sulle misure adottate per far luce sulla sua scomparsa. Le autorità dominicane ribadendo che Juan Almonte è latitante, non hanno preso nessun provvedimento per fare chiarezza su dove si trovi, tranne controllare i registri delle persone in entrata o in uscita dal paese e i registri carcerari. La famiglia e gli avvocati di Juan Almonte non hanno ricevuto nessuna comunicazione ufficiale sullo stato delle indagini della sua scomparsa, nonostante abbiano presentato tre denunce alle autorità competenti. Nel marzo del 2010 la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha stabilito che la risposta delle autorità dominicane è insufficiente e ha sollecitato la Corte Interamericana dei Diritti Umani a dettare misure provvisorie. Nel maggio del 2010 la Corte ha sollecitato le autorità dominicane a intraprendere tutte le azioni necessarie per proteggere la vita, la libertà e l’integrità di Jean Almonte e pianificare misure di protezione effettive per i suoi familiari e avvocati, rispettando le loro volontà. In risposta alle relazioni periodiche presentate dalla Repubblica Dominicana, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha criticato che le autorità non abbiano adottato misure concrete per localizzare dove si trovi Jean Almonte”. Al di là dell’estrema gravità dei due casi di sparizione forzata, in linea generale si può dire che sono stati fatti dei passi in avanti in Repubblica Dominicana per combattere l’impunità nelle violenze di Stato. Dal 2004 ogni tipo di crimine commesso da membri delle forze dell’ordine viene giudicato da tribunali civili. Sono numerosi i casi in cui membri della Polizia Nazionale o dell’Esercito vengono assicurati alla giustizia. Nel caso di Eduardo Hernandez Portoreal, raccontato in apertura di articolo, per esempio il tenente è stato arrestato immediatamente. Tuttavia come abbiamo visto molta strada resta ancora da fare. Rispetto alle modalità di investigazione di crimini commessi dalla polizia, sono differenti le versioni fornite dalla Procura della Repubblica, dalla stessa Polizia e dai procuratori locali, lasciando immaginare un contesto confuso e poco chiaro nel quale non è difficile aggirare le indagini e le procedure di legge e quindi evadere le condanne. Tutto inoltre dipende da se e come viene sporta la denuncia da parte della parte offesa o dai suoi familiari. Questo non sempre avviene, sia per ignoranza sulla procedura da seguire, sia anche, per timore di rappresaglie. Speso, spessissimo, si giunge ad un accordo monetario extragiudiziale tra la parte offesa e il militare o il poliziotto che ha commesso l’abuso. Quando il risarcimento economico è imposto dal tribunale quasi mai viene onorato. La prontezza e l’esito delle indagini dipendono inoltre in larga misura dall’attenzione mediatica che riceve il caso e dal profilo della vittima. Più basso e’ il livello sociale della vittima, con legami nel mondo della criminalità, meno attenzione riceve dai mezzi di comunicazione. E quindi meno giustizia nei tribunali. Spesso l’esposizione mediatica immediata e massiccia fa la differenza. Rispetto alle indagini, sebbene il diritto internazionale stabilisca che queste non possono essere svolte dalle istituzioni coinvolte negli abusi, in Repubblica Dominicana questa sembra essere la regola. “Secondo avvocati ed organizzazioni dei diritti umani, nei casi di omicidi commessi dalla polizia dove non ci siano testimoni o denuncia formale della famiglia , molti giudici si limitano a dare l’ok alle indagini della polizia che dichiarano che la morte della persona è avvenuta nel corso di un conflitto a fuoco”.[10] Pratica inoltre ampiamente applicata che dimostra proprio la discrezionalità con cui la stessa Polizia Nazionale compie le indagini è quella dei trasferimenti. Un tenente accusato di aver compiuto un abuso viene semplicemente trasferito da una città ad un altra il tempo necessario per “refriarse”, raffreddarsi. E’ ovvio che questa non rappresenta una soluzione e contribuisce a mantenere alto il livello di impunità. Le cause e le soluzioni possibili — Suggerimenti e raccomandazioni di Amnesty International Quello che risalta maggiormente dall’ analisi di questi ed altri casi ampiamente descritti nel rapporto di Amnesty International è che la violenza di Stato sembra essere utilizzata come strumento di deterrenza per la popolazione che delinque o per eliminare fisicamente i delinquenti recidivi. Alcuni casi di violenza sicuramente sono da mettere in relazione a regolamenti di conti tra criminali e gli stessi agenti di polizia. Traffico di droga, estorsione, sicariato, sono le pratiche criminali che maggiormente vedono coinvolte le forze dell’ordine. Il sicariato è un fenomeno sotto osservazione in quanto relativamente recente, si tratta di una pratica criminale proveniente dal Sud America che da qualche anno ha preso molto piede nel paese e che vede coinvolti sempre più agenti, spesso con il ruolo di veri e propri intermediari.[11] Non sono molti i casi di violenza usata come sistema di repressione politica. Questa era una pratica più frequentemente usata sotto la dittatura di Trujillo e successivamente sotto il governo di Joaquín Balaguer (1986–1996). Tuttavia, in alcuni casi,soprattutto come forma di “controllo dell’ordine pubblico”, sembra che siano state compiute delle vere e proprie esecuzioni extragiudiziali contro determinate persone la sera prima di una manifestazione annunciata. Altre volte, agenti del gruppo SWAT (un corpo speciale antisommossa della polizia) si sono appostati sui tetti delle case sparando a chiunque si apprestasse a disporre barricate o bruciare pneumatici per strada. Il 16 giugno del 2009 un giovane ricevette vari colpi di arma da fuoco solamente perché si trovava a passare nei pressi di una manifestazione alla quale era completamente estraneo. Morì in ospedale poco dopo. Un testimone ha raccontato che questo omicidio è avvenuto come regolamento di conti per pareggiare con la morte di un poliziotto avvenuta nel corso di una manifestazione precedente. Un caso a mio avviso estremamente grave e che però nessun mezzo di comunicazione internazionale ha rilevato (come avviene spesso per quello che riguarda questo paese) è stato l’omicidio a sangue freddo di Anderson Parra Cruceta, 33 anni, che per le modalità e il contesto in cui è avvenuto potrebbe benissimo essere paragonato a quello di Brad Will, il reporter di Indymedia ucciso a Oaxaca in Messico nel 2006. L’11 luglio scorso, nel corso di uno sciopero generale, Anderson Parra Cruceta stava filmando [12]i disordini per strada e gli abusi che un tenete di polizia stava commettendo su un ragazzo. Sembra che questi si sia rivolto al giovane e dicendogli: “tieni, filma anche questo”, gli abbia sparato in bocca, uccidendolo all’istante. Nel corso della protesta quel giorno, anche un ragazzino haitiano di 13 anni, risultò ferito con arma da fuoco ad entrambe le ginocchia. Tra le cause della corruzione e della violenza, va ricordata e ne accennavamo prima, la questione del salario. Quello che guadagna un tenente, circa 140 dollari al mese è veramente una miseria e sicuramente non è un salario che permetta una vita dignitosa in questo paese. Un giardiniere o una donna delle pulizie guadagnano il doppio in Repubblica Dominicana. Alla base di questo fattore si crea un corpo di Polizia Nazionale non responsabile del valore del suo lavoro ma anche psicologicamente poco adatto a svolgerlo. Soprattutto su questo fa affidamento la criminalità organizzata. Con ottimi risultati. Va segnalato inoltre che è ancora vigente la proibizione del diritto di voto per i membri della Polizia Nazionale e delle Forze Armate, diritto revocato nel 1924[13], e che queste istituzioni non hanno diritto di associazione e di sindacalizzazione. Sono questi i punti principali dai quali dovrebbe partire una riforma seria della Polizia Nazionale. Tuttavia, vari tentativi di riformare l’istituzione a partire dal 1999 fino al 2005, quando si implementò nel paese il piano di Sicurezza Democratica con “l’obiettivo di di affrontare le cause della violenza e della delinquenza in maniera integrale e di migliorare le relazioni tra la polizia e le comunità emarginate”[14] , non hanno dato grandi risultati. All’interno di questo piano era previsto un Programma di Riforma e Modernizzazione della Polizia, criticato tuttavia da molte ONG per la difesa dei diritti umani e da associazioni della società civile per la superficialità con cui sono stati affrontati alcuni nodi cruciali del problema. Soprattutto è stato criticato duramente il fatto che tali riforme siano state portate avanti senza nessun dialogo con le associazioni civili. Un ultimo progetto di legge, nel giugno del 2011 è stato consegnato dal presidente della Repubblica al Congresso, dopo l’approvazione del Senato, tuttavia senza tenere in conto i suggerimenti che indicava un equipe di esperti contattatti dallo stesso presidente. Tra i meccanismi che potrebbero agevolare il lavoro di riforma della Polizia Nazionale c’è il Difensore del Popolo, figura prevista da una legge del 2001 per investigare denunce del pubblico contro istituzioni dello Stato. Ad oggi ancora si deve nominare il primo Difensore del Popolo, nonostante siano già state presentate tutte le candidature. Nel paese inoltre manca una istituzione nazionale dei diritti umani. Esistono due ONG di diritti umani, la CNDH (affiliata alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani, FIDH) e il Comité Dominicano dei Diritti Umani che operano con assoluta scarsità di fondi, con personale volontario e con mezzi del tutto insufficienti a dare una risposta concreta alla popolazione per le numerose denunce di violazioni dei diritti umani che ricevono. Tuttavia rappresentano l’unico argine alla violenza di Stato e svolgono un lavoro encomiabile. Le raccomandazioni generali allo Stato dominicano di Amnesty International sono state: L’applicazione immediata di misure destinate a ridurre gli omicidi della polizia e sradicare la tortura, i maltrattamenti e altre pratiche violatorie. Garantire che le indagini su tutti i casi di presunte violazioni dei diritti umani commesse dalla Polizia Nazionale vengano svolte in forma indipendente, immediata, esauriente ed imparziale. Proteggere le vittime e i testimoni. Garantire il completo risarcimento a tutte le vittime delle violazioni dei diritti umani. Concepire e implemnetare una riforma effettiva della Polizia basata sul rispetto dei diritti umani. Migliorare il sistema di controllo sull’operato della Polizia. Ratificare ed applicare i tratati internazionali dei diritti umani. Ognuno di questi punti generici vede lo sviluppo di raccomandazioni particolari per la cui lettura si rimanda al testo integrale del rapporto di Amnesty International. Le reazioni Il primo passo nella soluzione di un problema consiste nell’accettarlo. La Polizia Nazionale non accetta e non ammette che nel paese ci sia un problema di violenza di Stato e di mala gestione della forza pubblica. La delegazione di Amnesty International ha tenuto riunioni con tutte le istituzioni, con la Procura, con il Ministero dell’Interno e della Polizia, con la Camera dei Deputati, e tutti, chi più chi meno, si sono mostrati concordi rispetto al fatto che ci sono passi in avanti da compiere e che a volte la situazione sfugge al controllo. La versione ufficiale della Polizia Nazionale e alcune volte delle stesse istituzioni, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, è che invece si tratta della conseguenza dell’operato di alcune mele marce che agiscono fuori dal contesto istituzionale nel quale i diritti umani e civili vengono sempre rispettati e che tali azioni isolate vengono pertanto sempre perseguite nei termini di legge. Il rapporto di Amnesty International ha scatenato, come era prevedibile una serie di reazioni, anche abbastanza dure, sia tra gli stessi vertici della Polizia Nazionale che tra altre istituzioni, Chiesa Cattolica compresa. Alcuni settori sociali permeati di forte nazionalismo non hanno visto di buon occhio il rapporto di Amnesty International che vedono come una intromissione negli affari interni del paese. Tra questi, il senatore José Rafael Vargas ha parlato di un piano contro la Repubblica Dominicana del quale il rapporto di Amnesty International ne sarebbe uno strumento.[15] Il portavoce della Polizia, colonnello Máximo Báez Aybar, nel corso di un’intervista concessa ad un programma televisivo ha criticato perfino la copertina e il titolo del rapporto di Amnesty International (Callate si no quieres que te matemos-Stai zitto se non vuoi che ti ammazziamo), asserendo che “condizionano” l’opinione pubblica, dando una immagina negativa della Polizia Nazionale, ancor prima di leggerlo. Ha definito i numeri denunciati dalla ONG un “margine di errore” possibile nell’ambito dell’agire dei 30mila uomini di cui è composta la polizia. Il cardinale di Santo Domingo Nicolás de Jesús López Rodríguez ha dichiarato invece di non avere fiducia nell’informe di Amnesty International ma ammette che nel paese la Polizia Nazionale ha commesso molti abusi, da riferire però soltanto ad alcuni elementi. Il Vicepresidente della Repubblica Dominicana, Rafael Albuquerque ha dichiarato che “Amnesty esagera”. Il presidente della CNDH, l’avvocato Manuel María Mercedes che all’indomani della presentazione del rapporto aveva sollecitato le opportune dimissioni del capo della polizia si è visto dare per questo dell’ “ignorante” da un anonimo giornalista sulle colonne di un noto quotidiano del paese. Addirittura secondo il giornalista “usare una ricerca incompleta e discriminatoria per suggerire le dimissioni o la sospensione del capo della Polizia costituisce un cretinismo maggiore”.[16] La cosa più importante invece è che la società civile nel suo insieme ha accolto positivamente il rapporto, concordando su tutte le raccomandazioni emesse. Ciò non desta meraviglia dal momento che il rapporto è stato redatto cercando di riflettere le aspirazioni della società dominicana, che vuole una polizia degna di uno stato democratico. Soprattutto i giovani hanno dimostrato interesse e preoccupazione per la situazione attuale, dimostrata dalla grande partecipazione che ha avuto la presentazione del rapporto all’Università Autonoma di Santo Domingo (UASD). Concludendo, credo che sia importante richiamare l’attenzione dei mezzi di comunicazione internazionali rispetto a quanto accade nel paese. Troppo spesso interessi economici e commerciali impongono una sorta di censura per cui la Repubblica Dominicana deve rimanere solo e soltanto il paese delle spiagge, delle palme e delle belle donne. I turisti vengono ospitati e “imprigionati” dentro i “resort all inclusive” senza nessuna possibilità di interagire spontaneamente e liberamente con l’ambiente e la società circostanti. Agenzie specializzate si occupano di ogni loro minima necessità riducendo a zero il contatto con la realtà del paese. In questo modo si costruisce una sorta di mondo parallelo che esclude ed emargina drammaticamente il popolo dominicano da uno dei più potenti strumenti di deterrenza dei crimini di Stato: la comunità internazionale, fatta non solo di istituzioni e ONG ma anche e soprattutto di uomini e donne che creano reti e vincoli, che si cercano, si osservano e solidarizzano, sviluppano percorsi comuni di lotta e di resistenza, scambiano informazioni e si aiutano reciprocamente nel crescere. Al momento di chiudere la presente nota, oggi 3 novembre, il presidente Leonel Fernández a una settimana esatta dalla consegna del rapporto di Amnesty International ha avuto una riunione con i più alti vertici della Polizia Nazionale proprio sul tema degli abusi. Ha chiesto che gli agenti agiscano nel rispetto dei diritti umani dei cittadini e si è impegnato a velocizzare il progetto di riforma della Polizia fermo in Congresso. Ricordiamo tuttavia che il testo presentato è stato considerato insufficiente e inadeguato sia dalla stessa Amnesty International che dalla associazioni di difesa dei diritti umani del paese. P.S. 10/11/2011 In un articolo del 9 novembre viene riportato quanto segue: “Il ministro dell’ Interno e della Polizia ha dichiarato oggi che il rapporto di Amnesty International e’ viziato e manca di obiettività” e che “questo fu preparato da un messicano con lo scopo di allontanare il turismo dal paese e presentare la nazione con alti livelli di violenza simili a quelli del Messico”. Intervistato in una trasmissione televisiva ha dichiarato che “anche se il rapporto ha avuto poca pubblicità’, questi documenti quasi sempre vengono messi negli aereoporti e consegnati alle guide turistiche con lo scopo di far danno alla nazione” (sic) * Annalisa Melandri è giornalista, attivista per la difesa dei diritti umani, membro della Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH) della Repubblica Dominicana, incaricata delle relazioni internazionali della filiale de La Romana della CNDH. Comunicato stampa di Amnesty International in Repubblica Dominicana Articolo di Chiara Liguori: La historia de algunos supervivientes de abusos policiales en República Dominicana Articolo di Chiara Liguori: ¿QUIÉN CONTROLA A LA POLICÍA? (pag.32) Video Amnesty International: Callate si no quieres que te matemos [1] Rapporto Amnesty International “Cállate si no quieres que te matemos” . Pag. 5 [2] Ibid. Pag. 9 [3] Ibid. Pag. 34 il procuratore generale della Repubblica nel giugno del 2010 affermò: “Questo (delle retate) è completamente irregolare e illegale, viola tutto il procedimento che stabilisce il nostro Codice di Procedura Penale”. [4] http://www.acento.com.do/index.php/news/4632/56/La-Policia-mata-a-civiles-policias-y-militares-amparada-en-la-mano-dura-y-los-intercambios-de-disparos.html [5] http://lanaciondominicana.com/ver_noticia.php?id_noticia=31553&sesion_periodico=30 [6] Rapporto Amnesty International “Cállate si no quieres que te matemospag. 17 [7] http://www.gacetajudicial.com.do/derechos-humanos/ejecuciones-extrajudiciales.html [8] http://www.acento.com.do/index.php/news/4632/56/La-Policia-mata-a-civiles-policias-y-militares-amparada-en-la-mano-dura-y-los-intercambios-de-disparos.html [9] Rapporto Amnesty International “Cállate si no quieres que te matemos”. Pag. 31 [10] Rapporto Amnesty International “Cállate si no quieres que te matemos” Pag.. 39 [11] http://noticiastelemicro.com/index.php?option=com_content&view=article&id=29050:expertos-afirman-contactos-del-sicariato-son-poicias-y-presos&catid=1:principal&Itemid=4 [12] http://www.noticiassin.com/2011/07/matan-hombre-filmaba-huelga-e-hieren-menor-en-protesta-en-villa-faro/ [13] http://www.hoy.com.do/opiniones/2007/10/2/120206/El-derecho-al-voto-para-los-militares-y-policias [14] Rapporto Amnesty International “Cállate si no quieres que te matemos”. Pag. 51 [15] http://www.senado.gob.do/senado/Inicio/tabid/40/ctl/ArticleView/mid/439/articleId/534/Senador-atribuye-denuncia-de-Amnistia-a-plan.aspx [16]http://www.elnacional.com.do/editorial/2011/10/28/99732/Ignorante Firma qui la petizione di Amnesty International al presidente della Repubblica Dominicana
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