Latina

Il progetto di Aratirí estrarrà ferro a cielo aperto

Uruguay: il Frente Amplio apre alle miniere

Le imprese straniere fiutano l'affare
9 dicembre 2011
David Lifodi

Il progetto minerario di Aratirí, in Uruguay, solleva un nuovo caso di "governo amico", in questo caso quello del frenteamplista ed ex tupamaro Pepe Mujica, favorevole ad una politica sviluppista ed estrattivista in campo ambientale.

La storia comincia nei primi mesi del 2011, quando la Comisión de Industria, Energía, Commercio Turismo y Servicios del Senato uruguayano si mette a lavoro per riformare il Codice Minerario, risalente al 1982. L'occasione è ghiotta, perché c'è la possibilità di dare impulso al progetto di Aratirí, sul quale punta da tempo la multinazionale Zamin Ferrous, impresa mineraria di cui si sa poco o niente, se non che opera in America Latina ed Asia e vanta una certa attenzione, almeno a parole, all'ethic business. Il Senato vota a favore delle "servitù minerarie" nelle sue tre fasi principali: prospezione, esplorazione ed estrazione. Resta inteso che gli abitanti del territorio sono obbligati dal Codice Minerario a lasciare il via libera alle attività della miniera, nonostante risiedano lì da tempo. La questione si complica poiché l'opposizione alla miniera non proviene solo dai tradizionali attori dell'opposizione sociale, ma anche dai proprietari di ampi appezzamenti di terreno, i quali si vedono soffiare da un giorno all'altro le loro proprietà. Tra questi c'è l'ex presidente del paese Lacalle (sostenitore accanito delle privatizzazioni nei primi anni '90), che vanta i suoi interessi privati certo non compatibili con l'ecologismo, ma non sbaglia quando parla di speculazione imprenditoriale dietro alla riforma del Codice Minerario. Lasciano comunque perplessi gli obiettivi del governo di Mujica in merito al megaprogetto minerario di Aratirí: la crescita dell'industria mineraria come volano per portare ricchezza al paese, unita ad uno sviluppo al tempo stesso produttivo e sostenibile, non convince. Una miniera dedicata all'estrazione del ferro a cielo aperto, con un'estensione di oltre quarantamila ettari, costringerebbe gran parte della popolazione ad emigrare, inquinerebbe le falde acquifere e creerebbe rifiuti speciali difficili da smaltire, tutti danni irreparabili che difficilmente potrebbero essere compensati da un'eventuale crescita economica del paese, peraltro sulla carta e tutta da verificare. Inoltre, se il progetto Aratirí andasse in porto, l'Uruguay aprirebbe agli investimenti stranieri con le conseguenze facilmente immaginabili e già sperimentate, in situazione simili, in paesi quali Cile, Perù, Brasile e Costarica, solo per nominare i casi più eclatanti. "Investimenti si, speculazione no" è il grido di battaglia degli oppositori alla miniera, convinti che l'estrazione a cielo aperto sia incompatibile con le tradizionali attività del paese, principalmente agricoltura e allevamento di bestiame. Solo per il trasporto di circa dieci milioni di tonnellate annuali di roccia, si parla della costruzione di un acquedotto che porterebbe ad un consumo di acqua equivalente a quello di una città di centomila abitanti. Alla questione ambientale si somma anche quella politica. In un articolo pubblicato da Adital, lo scrittore Bolívar Viana va giù duro e sostiene che se questo progetto provenisse dai blancos o dai colorados già si griderebbe al tradimento del paese e della sua sovranità territoriale, ma siccome l'apertura alla miniera proviene dal Frente Amplio, allora si parla di "sviluppismo progressista". Un altro pesante affondo viene riservato dallo scrittore ai militanti frenteamplistas, di solito presenti a tutte le manifestazioni, ma del tutto assenti nelle occasioni in cui si ragiona sulle modalità di opposizione al progetto Aratirí.

Frattanto l'ampia zona interessata dal progetto trema: Pueblo Valentines, Cerro Chato e Paraje Las Palmas, rispettivamente nei dipartimenti di Trenta y Tres, Florida, Durazno e Cerro Largo, saranno interessati dalle cave (ciascuna di circa duemila ettari con una profondità intorno ai 200 metri), da un minerodotto (che dovrà trasportare il ferro) e infine da una centrale a carbone per le necessità energetiche della Zamin Ferrous, con buona pace della sovranità dello stato e per la gioia delle multinazionali che si impadroniranno del sottosuolo uruguayano. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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