Latina

Colombia: Ingrid Betancourt, spina nel fianco di Uribe

Il movimento per la liberazione dell'ex candidata, prigioniera da due anni insiste per il dialogo con le Farc.Ma il presidente è per la linea dura.
Mobilitazione internazionale per la franco-colombiana, cittadina onoraria di mille città del mondo.
6 marzo 2004
Guido Piccoli

COLOMBIA
Ingrid Betancourt, spina nel fianco di Uribe
Il movimento per la liberazione dell'ex candidata insiste per il dialogo con le Farc
Prigioniera da due anni Mobilitazione internazionale per la franco-colombiana, cittadina onoraria di mille città del mondo. Ma il presidente è per la linea dura
GUIDO PICCOLI
Ci sono voluti due anni di appelli per fare di Ingrid Betancourt un simbolo internazionale. Dal 23 febbraio 2002, giorno del suo sequestro ad opera dei guerriglieri delle Farc, la quarantaduenne candidata ecologista colombiana è diventata «cittadina onoraria» di più di mille città del mondo, ha ottenuto una decina di riconoscimenti prestigiosi ed è una seria candidata al Nobel per la pace. Una mobilitazione così imponente sorprende e imbarazza molti in Colombia, a tal punto che alcuni giornali, per sminuire la sua figura, l'hanno maliziosamente definita la «Rigoberta Menchù dei ricchi». Sono gli stessi che scelgono il silenzio per l'arresto, avvenuto il 18 febbraio scorso, per il reato di «ribellione» di Luz Perly Cordoba, responsabile dei diritti umani della federazione contadina del sindacato unitario Cut e dirigente dell'Associazione Contadina di Arauca, regione passata sotto giurisdizione militare per decisione del presidente Alvaro Uribe. La liberazione di Luz Perly è stata chiesta da Amnesty International, che con un comunicato da Londra, ha inquadrato il suo arresto «in una strategia coordinata e ben pianificata per far tacere il movimento dei diritti umani», attirandosi irritate accuse di faziosità da parte del governo di Bogotà e significativamente anche di Jorge Visbal, presidente della Fedegan (Federazione degli allevatori di bestiame), ammiratore dei capi e dei metodi paramilitari.

Ingrid e Luz Perly sono solo le vittime più conosciute di un conflitto quarantennale, nel quale le donne sono le più esposte a rappresaglie spesso contornate dalle violenze sessuali.

Secondo un rapporto del Dipartimento di stato nordamericano, nei mesi scorsi proprio in Arauca, alcuni soldati dei reparti di contro-guerriglia violentarono e uccisero varie indigene delle comunità locali, dopo avere indossato i braccialetti delle Autodefensas. In genere si usa separare, in occasione della gran parte dei massacri compiuti lista alla mano, le donne e i bambini dagli uomini da giustiziare. Ma non c'è distinzione di sesso negli omicidi selettivi o nei combattimenti campali, anche per la sempre maggiore presenza femminile nella guerra colombiana: sebbene nessuna sia entrata a far parte della Comandancia, le donne rappresentano ormai la metà dei guerriglieri delle Farc.

Le vicende di Ingrid e Luz Perly rivelano le miserie di una guerra civile per ora senza soluzione. Rapita dai ribelli, che approfittarono cinicamente di un suo ingenuo viaggio elettorale in una zona sotto il loro controllo, la Betancourt è diventata, col passare del tempo, un spina nel fianco del potere di Bogotà, per i suoi coraggiosi inviti al dialogo e ad una pace con giustizia sociale. Secondo i familiari di Ingrid, Uribe non solo auspica un'improbabile quanto dissennata operazione di riscatto ad una trattativa con la guerriglia, ma non sarebbe contento di vederla viva e libera, visto che lei si batterebbe con tutte le energie per la reintegrazione delle Farc alla vita civile.

Se il dramma della Betancourt ricorda al mondo la crudeltà della pratica dei sequestri da parte dell'organizzazione di Tirofijo, rivela anche il fanatismo di Uribe, sempre più irritato da una mobilitazione presa sotto tutela dalla Francia, seconda patria di Ingrid, che ha portato recentemente a Bogotà il sindaco di Roma Walter Veltroni.

E' augurabile che, allo stesso modo, la vicenda di Luz Perly faccia comprendere il degrado etico in cui è caduta la giustizia colombiana, diventata una fabbrica di montature ad uso e consumo dell'esercito e dei paramilitari, attraverso l'utilizzo spudorato di testimoni pagati, intimidatori arresti di massa, l'insabbiamento di ogni indagine scomoda e l'allontanamento dei giudici onesti. Uribe ha piazzato i suoi uomini nei posti chiave della magistratura, arrivando ad occupare perfino le istituzioni preposte alla protezione dei diritti umani. E, nonostante le ultime resistenze della Corte Costituzionale, sta abolendo del tutto il principio della divisione dei poteri propria degli Stati democratici.

Alcuni europarlamentari irlandesi che un mese fa vennero in Colombia per sollecitare l'inizio del processo per tre loro connazionali del Sinn Fein (in carcere da due anni con la paradossale accusa di avere tenuto un corso di esplosivi ai più che competenti guerriglieri delle Farc) non esitarono a definire la giustizia colombiana «una vergogna internazionale». Secondo il quotidiano El Tiempo del 27 febbraio scorso, anche il governo di Washington ne sarebbe così scandalizzato da imporre a Uribe la rimozione di alcuni giudici al soldo delle Autodefensas e dei narcos.

Tra i pochi che sembrano invece non accorgersene ci sono il governo e alcuni magistrati italiani, come il procuratore anti-mafia Pierluigi Vigna, che continuano a finanziare e accreditare la magistratura colombiana. Forse compiaciuti dalla recente decisione di Uribe di intitolare a Giovanni Falcone le nuove unità di polizia giudiziaria. O forse semplicemente e colpevolmente disinformati.

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