"La gente che protesta "
Joan Martinez Alier nel mese di agosto 2011 ha tenuto una conferenza a insegnanti e studenti dell’ ITESO ( Università Gesuita di Guadalajara, Messico) e un workshop sugli abitanti di Temacapulín che si oppongono alla costruzione della diga Zapotillo (nello Stato di Jalisco ). Per il maestro catalano, lotte come quelle di Temacapulín - che accadono ormai in molte altre zone del mondo e che lui chiama "ambientalismo dei poveri" - possono diventare l'alternativa per affrontare i problemi ambientali di cui oggi soffriamo.
Perché bisogna guardare l'ecologia da un punto di vista politico?
L'Ecologia politica ha le sue origini nella geografia, nella antropologia, e soprattutto è nata nella parte sud del pianeta. Il libro su cui si fonda l'ecologia politica (di Blaikie e Brookfield) "Degradación de los suelos" parte dal concetto che quando c’è un impoverimento del suolo si perde la terra utile, e questo non accade per la sovrappopolazione, ma molto spesso per averla sfruttata troppo per produrre oltre il necessario, per esportare l'eccedenza verso altri mercati. Quindi la colpa del depauperamento non è da attribuire ai contadini poveri e ignoranti, ma piuttosto a un sistema di produzione volto all'esportazione all'estero.
Non c’è nessuno sfruttamento delle risorse naturale se usati per i bisogni della popolazione locale, ma si verifica una pressione eccessiva quando si forza la produzione per esportare i prodotti. In Messico, Honduras e Ecuador ci sono degli agricoltori che devono coltivare le terre sulle pendici delle montagne, perché nei fondovalle ci sono le coltivazioni intensive dele multinazionali alimentari.
Quindi l“ecologia politica” definisce il rapporto tra l'uso di risorse naturali e le strutture sociali ed economiche. L'ecologia non può essere apolitica perché è soggetta a lotte di potere e conflitti sociali che causano le disuguaglianze sociali e derivanti dall'influsso del potere politico sull'economia.
Come andrà a finire questa crisi ambientale ?
Questo conflitto tra economia e ambiente resterà come eredità alle generazioni future e non sappiamo ancora come lo sopporteranno, ma il vero tema del discorso è il cambiamento climatico: " Il sistema industriale moderno non calcola il danno ambientale che causa, perché questo sistema ha bisogno di petrolio, gas, carbone, rame e per metabolizzare questo sistema bisogna tagliare i boschi."
Naturalmente si può fare qualcosa. Un fatto positivo è che la popolazione mondiale non crescerà molto più del suo attuale livello di 7 miliardi di persone e raggiungà il suo picco di 9 miliardi verso il 2050. Ma prima di arrivare al massimo della popolazione arriverà il massimo [dell’estrazione] del petrolio: quindi abbiamo validi motivi per preoccuparci della scarsità delle risorse.
Altro fatto positivo, che può favorire l'ecologia politica, è l'esistenza di molti conflitti sociali, ci sono molte persone che protestano. E dal punto di vista dell’ecologia politica questi conflitti sono una forza che può aiutare la sostenibilità. Ad esempio, si vuol fermare il “Parota” [un progetto idroelettrico a 30 chilometri da Acapulco, voluto dalla Commissione federale dell'energia elettrica], perché creerà danni alle popolazioni che vi abitano e deteriorerà l'ambiente, oppure si vuol bloccare la diga Zapotillo, a Temacapulín [voluta dalla Commissione Nazionale per l'acqua e dal governo dello Sato di Jalisco]. Abbiamo passato due giorni a Temacapulín e la gente dice che una diga è un male per la biologia del fiume e anche per le persone. Se la gente protesta, a poco a poco, queste manifestazioni possono spingere l'economia ad accettare le regole di una politica più sostenibile.
Sono stati i governi, le aziende o il capitalismo a causare la crisi ambientale?
Ma ci sono anche i conflitti di biomassa, i conflitti minerari, quelli sull’acqua e sui combustibili fossili, cioè sull'estrazione. Da un punto di vista sociale ed economico lo chiamiamo “capitalismo”, perché è il desiderio di profitto che spinge gli imprenditori. L'accumulo di benefici diretti e di capitali, li porta a cercare le risorse dovunque siano, senza pietà, superando sempre l'ultimo limite già raggiunto ( N.d.T.: spostare continuamente questi limiti è una colpa/connivenza dei governi).
Non si tiene conto dei costi ambientali.
Se si contabilizzassero i costi ambientali, la contabilità delel aziende sarebbe completamente differente, perché non si può dare un valore alla distruzione di un gruppo umano e alla sua lingua indigena né si può monetizzare la scomparsa di una biodiversità finora non ancora catalogata, visto che non sappiamo quante specie di animali stanno scomparendo. Non si può dare un prezzo. Quindi è inevitabile che un processo di transizione verso l' ecologia politica duri molto a lungo, trenta o quarant'anni anche se già si stanno avvertendo gli effetti dei cambiamenti climatici con gli scioglimenti dei ghiacciai e l'aumento del livello del mare. Alcune popolazioni delle isole del Pacifico hanno già cominciato a dare l'allarme.
Potremmo cambiare l'economia.
Si dovrebbe procedere con due strategie : La prima da applicare nella zona nord del pianeta dove si dovrebbe avviare una decrescita nell'uso dei materiali e dell'energia o almeno accettare una crescita zero e smetterla di pensare alla crescita, perché questi paesi sono già molto ricchi. La seconda strategia invece prevede, per i paesi del Sud del mondo, un modello di crescita completamente differente da quello che esiste nei paesi più ricchi, ( N.d:t. tenendo in considerazione l'importanza della natura e della qualità della vita).
La decrescita dell'economia è uno dei progetti di ecologia politica, ma nessuno la prende sul serio nei consigli di amministrazione delle società, nei governi, nei sindacati ... Non la prendono sul serio nella politica economica ma per necessità ci si è già dovuti dare alcuni obiettivi di decrescita. Ridurre la quantità di anidride carbonica che viene emessa per arrestare la scomparsa di biodiversità è un obiettivo di politica pubblica, d'altra parte gli economisti dicono: "Dobbiamo superare la crisi per pagare il debito, ma dobbiamo continuare a crescere. " E’ pura schizofrenia".
La decrescita è un problema dei paesi ricchi del Nord: Giappone, Europa, Stati Uniti. L'America Latina non deve decrescere, e l’ India ancora meno. Dovrebbero crescere in un modo differente senza copiare certi comportamenti. L'automobile, ad esmpio : Ora, in India, ognuno vuole comprarsi un'automobile. Avrebbero già dovuto pensare ad un altro tipo di urbanizzazione.
Nei paesi ricchi del Nord del pianeta c'è un reddito pro capite annuo di quasi 40mila dollari e, a questo livello, si può vivere bene. Il problema che genera la crisi però è la suddivisione delle entrate che non è equa e la distribuzione del lavoro ed è questo che non permette la crescita. C'è gente che perde il lavoro e in qualche modo bisogna risolvere questo problema, per esempio con la riduzione dell'orario di lavoro, o con un reddito minimo per tutti, in modo da sostenere nuovi segmenti di mercato.
Se ne parla in due libri recenti, uno di Tim Jackson (Prosperità senza crescita) e di Victor Peter (Gestire senza crescita), che diverranno presto libri di testo di ecologia macroeconomica. Nessun economista degno di attenzione aveva mai osato dire che l'obiettivo non è continuare a crescere. Nel Sud del mondo, i movimenti popolari di ambientalismo e giustizia ambientale, dichiarano: " Vogliamo continuare a vendere materie prime a buon mercato, ma non vogliamo seguire la regola di San Garabato che compra caro e vende barato, perché continueremmo a diventare più poveri”.
L'alternativa sarebbe fermare la crescita nei paesi ricchi.
Bisognerebbe dare spazio alle economie più povere per farle crescere e poi c'è il problema del cambiamento climatico con l'atmosfera che già è satura come gli oceani. I cinesi già si sono resi conto di questi cambiamenti in atto e si trovano a lato dei movimenti di giustizia ambientale del sud del mondo che propongono nuove alternative ( n.d.T. anche se in Cina non le applicano). I governi di Bolivia ed Ecuador per esempio nella loro costituzione hanno inserito che l'obiettivo della politica non è la crescita ma il buen vivir, e l'hanno scritto in quechua, perché tutti lo capissero.
Ma questo è concetto non è nuovo, lo diceva Aristotele e forse bisognerà usare parole vecchie di millenni per ricordare che lo scopo della vita è essere felici e vivere bene, e non quanti soldi o quante macchine abbiamo.
Ma il movimento molto per opporsi alla politica della crescita dovrebbe essere molto più forte e determinato, perché non sembra che la classe imprenditoriale americana o europea abbiano voglia a rinunciare ai propri interessi.
C'è ancora una discussione sulla crescita zero nei paesi del Nord del mondo. Se ne parlava già negli anni settanta, André Gorz disse che questa avrebbe significato la fine del capitalismo. Certo, ma del capitalismo come lo conosciamo oggi. Certo non del capitalismo che potrà continuare, per esempio, nei settori come l’informatica, che non inquina l'ambiente. Ma anche altri settori come l'agricoltura biologica, l’energia fotovoltaica, l’architettura, la ricerca di altri tipi di medicine che potrebbero continuare a crescere; molte attività, come l'istruzione o l'economia ecologica devono crescere, la biologia genetica deve crescere e forse qualcosa dell'ingegneria dovrà decrescere ma tutto resta compatibile con il capitalismo. Ma non il capitalismo finanziario che si basa sulla crescita del debito. Questo fenomeno deve finire.
L'economia verde sarà il prossimo tema : L'economia liberista, senza controllo sta invadendo la natura, per esempio, esigere un pagamento per il danno all’ambiente e un pagamento per la ricerca del carbonio e potrebbero essere due settori in crescita da sviluppare anche con un sistema capitalistico. Dopo tutto ci sono già tanti soldi che si spendono per la preservare la natura ma vediamo che non viene tutelata. Si dicono troppe bugie su come si estraggono i minerali, perché conviene mentire visto che il vero problema è accumulare denaro.
Lo sviluppo sostenibile ha ostacolato i processi di accumulazione?
C’è'stata una reazione contro la crescita dell’ambientalismo radicale da parte della signora Brundtland una rappresentante del keynesianismo sociale [ex primo ministro della Norvegia che, su questo argomento, condusse uno studio internazionale che porta il suo nome, nel 1987]. I keynesiani credevano di avere la bacchetta magica per ottenere la crescita economica, senza nessun conflitto sociale. La democrazia sociale europea degli anni Cinquanta e Sessanta [del XX secolo], pensava che ci sarebbe stato uno sviluppo economico-ecologicamente sostenibile.
Ma questo non si è avverato e l’abbiamo visto venti anni dopo, quando al vertice di Rio nel 1992, nacque un movimento internazionale per uno sviluppo sostenibile. Si fece un accordo sulle biodiversità e sui cambiamenti del clima ma oggi, dopo venti anni, vediamo che la biodiversità continua a ridursi e c’è ancora più anidride carbonica nell'atmosfera. Purtroppo è stato un fallimento e non serve rimpiangere di non aver cambiato passo all'economia: decrescita dei consumi e di energia o crescita zero al Nord e una crescita diversa al Sud."
I punti di forza nell’ambientalismo popolare.
Stanno aumentando sia per i problemi causati dell’estrazione delle materie prime che dallo smaltimento dei rifiuti. Ad esempio, il gruppo “Movimento per la Giustizia Climatica Internazionale”si è presentato a Cancun (nel Summit sui cambiamenti climatici nel 2010) ed è andato a Durban a dicembre 2011, per discutere sui cambiamenti del clima. In Bolivia c’è gente che vede sciogliersi i ghiacciai e capisce che resterà senza questa riserva di acqua. Quindi già c'è un movimento per la giustizia climatica ... Poi, ci sono le reti che difendono i fiumi, reti internazionali che nascono dal basso, che spiegano che i campi coltivati non sono foreste di alberi, sono monocolture di eucalipto, o di acacia, che servono per essere tagliati e fare legna e succhiano tutta l'acqua dalle falde e la gente deve abbandonare la terra che coltivava. E ci sono movimenti simili in Messico in difesa del mais contro la perdita di biodiversità agricola, movimenti contro la bio-pirateria, reti internazionali contro l'estrazione dei minerali dal sottosuolo.
E non sono movimenti organizzati ma nascono spontaneamente dal basso verso l'alto, così può esserci un movimento mondiale, come quello per la pesca, perché molte coste sono invase da navi spagnole e giapponesi che fanno pesca industriale e non lasciano niente ai pescatori.
Riusciranno a cambiare la politica dei governi ?
Ci sono segnali positivi in Ecuador e in Bolivia. In Ecuador nel Parco Nazionale Yasuní, al confine con il Perù, dove esiste una ricca biodiversità, sono andati a cercare rifugio molti gruppi di indigeni non ancora contattati, fuggiti dalle loro terre di origine invase dalle macchine che distruggono la foresta. Ma anche nel Parco c'è il petrolio. E fin da prima che fosse eletto il presidente Rafael Correa si era fatta la proposta di non concedere diritti di estrazione e lasciare il petrolio sotto terra. Questa è iniziativa rivoluzionaria. Se ci si riuscirà o no, questo lo vedremo, perché li sotto ci sono 850 miliardi di barili di petrolio pesante. Ma questa è una scelta logica, perché se continuassimo ad estrarre dalla terra tutto il petrolio e tutto il carbone al ritmo attuale, l'anidride carbonica non si disperderebbe più nell'atmosfera. Quindi, dobbiamo ridurre i nostri bisogni e la velocità di estrazione, e lasciare sotto terra petrolio, carbone e gas. Almeno dove estrarli crea danni più gravi.
Un ragionamento tanto logico sembra insolito. L'idea di lasciare il petrolio sottoterra è stata proposta da gruppi ambientali dell’Ecuador nel 1997 e vedremo come andrà a finire.
Bisogna essere ottimisti, e più si diventa anziani più si diventa ottimisti, bisogna esserlo per lasciare un buon ricordo. Ottimisti, perché i movimenti per la giustizia ambientale stanno crescendo ma non così ottimisti su come si sta evolvendo la crisi. Non così ottimisti al pensiero di chi, alla fine, sarà trarrà maggiori vantaggi politici dalla crisi degli Stati Uniti, dell' Europa e del Giappone. Qualcosa dovrà venir fuori da questa crisi. Fa un po’ paura la bolla di irrazionalità che si vede negli Stati Uniti. Ad esempio, c’e gente che non crede nel cambiamento climatico, gente che dice che le teorie di Charles Darwin sono irrilevanti, che insegna la Bibbia, senza rendendosi conto che la scuola è una cosa e la religione un’altra cosa. Questa irrazionalità spaventa, perché in Europa durante la crisi degli anni Trenta del XX secolo ci fu un'ondata di irrazionalità politica e Hitler buttò la colpa sugli ebrei e li sterminò. E in tempo di crisi che la gente può diventare politicamente irrazionale.
Tradotto e adattato per Peacelink da Ernesto Celestini
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