Latina

Finora mondiali e giochi olimpici hanno portato solo sfruttamento

Brasile: parte la campagna per le Olimpiadi sostenibili

La Campanha Jogue Limpo intende monitorare le multinazionali dell’abbigliamento sportivo
29 maggio 2012
David Lifodi

I giochi olimpici di Londra 2012 sono ormai alle porte, ma la campagna Fair Play lanciata in Inghilterra guarda oltre e si spinge fino a Rio 2016. Jogue Limpo è il corrispondente brasiliano di Fair Play: in entrambi i casi l’intento è quello di denunciare le violazioni dei diritti umani e sindacali ad opera delle grandi multinazionali dell’abbigliamento sportivo.

In Brasile le Olimpiadi del 2016, ma anche i mondiali di calcio previsti per il 2014, stanno già avendo un effetto devastante sulle classe medio bassa e sul sottoproletariato urbano. Le comunità che da anni vivono in condizioni precarie in spazi sottoposti ad un’opera di riqualificazione del territorio rischiano di essere sgomberate. Succede a Fortaleza, la capitale del Ceará, dove il treno veloce che collegherà ventidue quartieri cittadini per agevolare l’afflusso dei tifosi in uno degli stadi dei mondiali costringerà allo sfollamento di intere comunità, ma si preannunciano tempi duri anche per quei venditori ambulanti che campano sulla vendita dei gadgets agli appassionati di fronte agli ingressi negli stadi: per loro sarà impossibile avvicinarsi agli impianti sportivi, dove sarà venduto solo il materiale ufficiale legato alle due massime competizioni mondiali, lo stabilisce la Lei Geral da Copa, di recente approvazione. E proprio nell’edificazione di nuovi stadi, o nell’ammodernamento di quelli ormai obsoleti, sono cresciuti negli ultimi tempi duri conflitti tra operai e proprietà. I lavori allo storico Maracaná di Rio de Janeiro sono stati interrotti più volti dagli scioperi, lo stesso è accaduto in altri impianti che ospiteranno i mondiali. Quanto alle Olimpiadi, l’intento della Campanha Jogue Limpo è quello di evitare che a Rio 2016 si ripetano le violazioni dei diritti umani e sindacali di Londra 2012 e delle precedenti competizioni olimpiche. Preoccupano i salari da fame e le condizioni di lavoro di assoluta insicurezza in molte fabbriche gestite direttamente, o tramite terzi, dalle più conosciute multinazionali dell’abbigliamento sportivo,  al pari dello sfruttamento del lavoro minorile. Il Comitato Olimpico Internazionale, chiamato direttamente in causa da Jogue Limpo (sotto il coordinamento della Confederazione Sindacale Internazionale in collaborazione con la Clean Clothes Campaign), giura di aver firmato un codice etico di condotta che prevede la retribuzione del salario minimo garantito e garantisce la presenza dei sindacati nelle fabbriche. Fino a questo momento, in realtà, grandi firme quali Adidas, Nike, Columbia Sportswear, New Balance, The North Face si sono ben guardate dal pagare un salario minimo o permettere ai lavoratori di organizzarsi in sindacati. A questo proposito, Jogue Limpo ha già chiesto al Comitato Olimpico che Rio 2016 dovrà garantire la massima trasparenza per quanto riguarda la catena produttiva dei suoi sponsor ufficiali. Inoltre, tutte le aziende che producono abbigliamento sportivo per le gare delle Olimpiadi brasiliane avranno l’obbligo di adottare un codice di condotta in grado di monitorare le eventuali violazioni dei diritti umani e sindacali ai danni dei lavoratori. Infine, i sindacati potranno fare il loro ingresso nelle fabbriche ed informare i lavoratori sui loro diritti: finora, per i dipendenti che seguivano questa strada, si aprivano le porte del licenziamento. In buona parte delle fabbriche, spesso subappaltate dalle grandi firme per evitare un danno alla loro immagine, gli operai lavorano intorno alle 14 ore al giorno, molto spesso non sono concesse pause ed è frequente la richiesta di ulteriori ore di lavoro straordinario. La Campagna Fair Play, che nacque alle Olimpiadi di Atene nel 2004 per denunciare e combattere le imprese che sfruttano manodopera a basso costo e non si fanno scrupoli nell’utilizzo del lavoro minorile e del lavoro schiavo, sta studiando anche la creazione di una linea telefonica a cui possano rivolgersi gli operai in caso di sfruttamento e maltrattamenti. Un rapporto divulgato alcuni mesi dai comitati popolari sorti spontaneamente per informare dal basso su mondiali 2014 e giochi olimpici 2016 dice che non esistono stime ufficiali sul numero delle famiglie sgomberate per far posto alla riqualificazione delle aree urbane ed a nuove linee ferroviarie, ma nemmeno è semplice individuare dati precisi sulle condizioni di sfruttamento degli operai. Raquel Rolnik, l’inviata dell’Onu per il diritto all’abitare, sostiene che entrambi gli eventi sportivi mancano di trasparenza. Ancora più duro il commento di Orlando Junior, docente presso l’Instituto de Pesquisa e Planejamento Urbano e Regional dell’Università Federale di Rio de Janeiro: secondo lui Coppa del Mondo e Olimpiadi rappresentano “un progetto autoritario che esclude la società civile dalla partecipazione attiva”. In effetti i promotori di questi due eventi sportivi così rilevanti lo hanno fatto avendo in testa un modello di città escludente, adatto solo a chi può permetterselo: i quartieri nei dintorni degli impianti sportivi vengono trasformati in zone rosse inviolabili, da cui devono sparire le fasce sociali più deboli.

Temi quali una mobilità urbana sostenibile, un lavoro sicuro, il diritto alla casa sono finiti nel dimenticatoio in tutte le più grandi manifestazioni sportive: Jogue Limpo vuol far in modo che le Olimpiadi brasiliane non arricchiscano una volta di più i soliti noti, multinazionali dell’abbigliamento sportivo, società dedite alla speculazione immobiliare o lobbies industriali che siano.

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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