E’ trascorso oltre un mese dal drammatico 1 maggio di Santa Cruz Barillas, quando le guardie armate dell’impresa Hidro Santa Cruz, affiancate dai militari dell’esercito guatemalteco, uccisero Andrés Francisco Miguel e ferirono Pablo Antonio Pablo Pablo ed Esteban Bernabé Gaspar: tutti e tre erano dirigenti di primo piano delle comunità indigene impegnate in una dura battaglia per impedire la costruzione di una centrale idroelettrica nei dintorni del fiume Canbalam, dipartimento di Huehuetenango, a poca distanza dalla frontiera con lo stato messicano del Chiapas.
Otto Pérez Molina, il generale in pensione eletto presidente del Guatemala solo pochi mesi fa, ha avuto subito l’occasione di adottare quella “mano dura” tanto sbandierata in campagna elettorale: stato d’assedio per un mese e invio di 360 militari insieme a 260 uomini della Policía Nacional Civil. Adesso le organizzazioni sociali, tra cui il Comité de Unidad Campesina (Cuc), il Consejo de los Pueblos de Occidente e la Convergencia Nacional Maya Waqib’, hanno denunciato il carattere apertamente razzista di tutta l’operazione, fatto ancora più grave in un paese a larga maggioranza indigena, ma governato da una casta elitaria e intollerante: gli indios da sempre hanno goduto di una considerazione pari a quella degli animali. I movimenti sociali, riuniti sotto il nome comune di Todos somos Barillas, hanno accusato il governo di aver decretato lo stato d’assedio per minacciare e ridurre al silenzio le comunità indigene (specialmente quelle di San Carlos, El Recreo e Santa Rosa), “colpevoli” di difendere il diritto collettivo alla terra e di opporre un netto rifiuto alla diga, già sancito nel 2011 dal municipio di Santa Cruz Barillas e dalle autorità comunitarie. Inoltre, Molina ha mentito spudoratamente quando ha affermato che durante lo stato d’assedio non sono stati violati i diritti umani. A smentire il generale hanno pensato le spose degli arrestati, molte delle quali si trovano tuttora in difficoltà a sostenere le spese di viaggio e mantenimento a Città del Guatemala, dove è incarcerata la maggior parte dei loro mariti. Si parla di accuse inventate ai danni detenuti (tra cui furto e incendio), alcune delle quali surreali, ad esempio quella relativa al sequestro di persona: al contrario, ad essere sequestrate dalla polizia nazionale sono state intere comunità. Preoccupa anche l’impossibilità dei detenuti a difendersi: molti di loro non conoscono lo spagnolo, ma non hanno diritto alla traduzione in lingua maya delle accuse formulate nei loro confronti. Infine, i detenuti subiscono maltrattamenti fisici e psicologici nelle carceri. La scusa che ha permesso a Molina di mantenere lo stato d’assedio (tolto dopo 16 interminabili giorni rispetto al mese previsto inizialmente) sta nella presunta volontà del governo di assestare un duro colpo al narcotraffico, ma si tratta di una giustificazione poco credibile. A Santa Cruz la tensione è salita quando Hidro Santa Cruz (filiale della spagnola Hidralia Energía S.A.) ha assunto guardie armate allo scopo di scoraggiare le proteste della popolazione durante i lavori di costruzione della Hidroeléctrica Canbalam. D’altro canto il governo ha deciso di non ostacolare l’edificazione della diga e, in collaborazione con Hidro Santa Cruz, si è reso responsabile di “incursioni, arresti, e con il saccheggio delle proprietà delle famiglie, le ha obbligate a cercare rifugio altrove e a lasciare le proprie comunità”, è scritto nel comunicato del Consejo de los Pueblos de Occidente. Tra l’altro, la rimilitarizzazione del territorio di Santa Cruz Barillas rappresenta una grave violazione del diritto umanitario internazionale ratificato dal governo guatemalteco e rende carta straccia gli accordi di pace del 28 Dicembre 1996, di cui lo stesso Otto Pérez Molina, in campagna elettorale ha dichiarato di essere promotore, tanto da farsi definire "generale di pace" con un’operazione di revisionismo e stravolgimento della storia non indifferente. In appoggio alla resistenza di Santa Cruz Barillas è intervenuta anche la diocesi di Huehuetenango. L’agenzia di stampa Adista ha riportato le parole del vescovo Rodolfo Francisco Bobadilla Mata, che nella sua lettera pastorale non si è limitato a denunciare la prepotenza ed il rifiuto del dialogo da parte del governo, ma ha sottolineato la voracità delle compagnie transnazionali e delle lobbies economiche che mirano a sfruttare le ricchezze naturali e le risorse del dipartimento di Huehuetenango. Il testimone di Bobadilla Mata, che lascia la diocesi per raggiunti limiti di età, sarà raccolto da Monsignor Alvaro Ramazzini, storico difensore delle comunità ixiles nella diocesi di San Marcos, dove la nostra multinazionale dell’energia Enel, e lo stesso ambasciatore italiano, sono pesantemente coinvolti nella storiaccia della diga di Palo Viejo. Ramazzini, che ha trascorso la sua vita a lottare contro l’edificazione di centrali idroelettriche e miniere a cielo aperto, ha lasciato con dispiacere San Marcos, ed ha fatto capire di averlo dovuto fare in seguito all’imposizione delle alte sfere vaticane.
San Marcos perde un lottatore sociale di primo piano, ma è altrettanto vero che le comunità indigene di Santa Cruz Barillas hanno acquisito un difensore d’eccezione ed una figura di primo piano nella lotta contro la voracità del neoliberismo che tenta di imporsi con la violenza e la sopraffazione.
Note: Articolo realizzato da David Lifodi per
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