Paraguay: i burattinai del golpe
Il golpe che poco più di una settimana fa ha spodestato Fernando Lugo, il presidente legittimo del Paraguay, ha molti fautori, dalle destre che siedono nei due rami del Parlamento all’oligarchia sojera, passando per le multinazionali operanti nel settore del transgenico ed arrivando ad una delle maggiori imprese che commerciano alluminio: lo scopo di tutti questi attori è il ripristino dello status quo ante Lugo.
A livello politico, mentre in tutto il paese proseguono le manifestazioni contro Federico Franco, il vicepresidente di Lugo autonominatosi alla guida del paese dopo aver tramato per anni contro l’ex-monsignore, il Paraguay è stato espulso da Unasur (Unión de Naciones Suramericanas)sulla base del protocolo adicional che non tollera il rovesciamento dell’ordine istituzionale dei paesi aderenti e li vincola al rispetto della democrazia e dei diritti umani. Allo stesso modo, la cumbre social del Mercosur ha condannato il colpo di stato: hoy todos somos paraguayos è lo slogan ripetuto in tutte le piazze dell’America Latina, ma anche dal gruppo Gue/Ngl (la sinistra rosso-verde anticapitalista) del Parlamento Europeo. Eppure il rischio che il Paraguay si trasformi in un nuovo Honduras è molto alto. A Tegucigalpa, da quando i golpisti hanno preso il potere, non è stato possibile in alcun modo riportare Manuel Zelaya alla presidenza del paese, nonostante anche il quel caso si fosse creato un fronte unitario comprendente la maggior parte dei paesi latinoamericani contrari al colpo di stato. Inoltre, in Paraguay manca un forte partito di sinistra o comunque legato ai movimenti sociali in grado di prendere in mano la situazione. La destra paraguayana, una delle più reazionarie del continente, insieme ai sindacati gialli, ai media commerciali e ai grandi proprietari terrieri, mira a tornare al potere nel 2013: molto probabilmente ci riuscirà. Paco Oliva, sacerdote paraguayano vicino alla Teologia della Liberazione, intravede nell’impeachment messo in atto dal Partito Liberale e dai colorados (al potere per 60 anni prima della vittoria di Lugo) il tentativo di costruire una candidatura unitaria alle prossime elezioni, previste per Aprile 2013: lo scopo è spazzare via la partecipazione crescente di indigeni, contadini e società civile, che sotto la presidenza dell’ex vescovo avevano cominciato ad autoorganizzarsi e a prendere coscienza dei propri diritti, nonostante gli scarsi progressi in tema di riforma agraria da quando l’Alianza por el Cambio (Apc) era giunta alla guida del paese. Nella sua intervista rilasciata ad Adital, Oliva sottolinea il trappolone preparato a tavolino dalla destra, che ha cavalcato gli scontri di Curuguaty e la delusione dei campesinos per l’impossibilità di Lugo nel mantenere il suo impegno a favore della riforma agraria. Infine, forse in maniera un po’ ingenerosa, per quanto non priva di verità, l’idea di Oliva è che Lugo sia stato quantomeno ingenuo nella gestione delle tensioni sociali scoppiate nel paese negli ultimi mesi e ne abbia sottovalutato gli effetti: non è un caso che tutta la sinistra della coalizione sostenitrice dell’ex vescovo sia stata colta alla sprovvista dal colpo di mano di Camera e Senato, che a tempo di record lo hanno destituito. E’ altrettanto vero, però, ciò che lo stesso Lugo aveva ricordato in un’intervista a Brasil de Fato pochi giorni prima del golpe. Di fronte al maggior quotidiano della sinistra brasiliana, l’allora presidente era stato costretto ad ammettere che già il successo elettorale era giunto al termine di un vero e proprio percorso ad ostacoli in un paese da sempre nelle mani dell’oligarchia terrateniente. Tradotto: Lugo, per vincere le elezioni, non poteva contare solo sull’appoggio dei contadini senza terra e delle organizzazioni sociali, era stato in qualche modo “costretto” a moderare il suo discorso e a virare verso il centro costruendo un’alleanza che andava dalla sinistra a quel Partito Liberale di Federico Franco che poi è riuscito a farlo cadere. Per questo era andato molto cauto anche sul tema della riforma agraria: in Paraguay c’è sempre stata una crescente polarizzazione tra i sin tierra e i latifondisti. In pochi hanno sottolineato, dietro al golpe, la presenza di una potentissima compagnia che produce e commercia alluminio. Non solo Monsanto e Cargill, desiderose di impadronirsi dei terreni di Curuguaty (a duecento chilometri da Asunción) e capaci di sfruttare l’insoddisfazione dei contadini verso la presidenza Lugo (impossibilitata ad opporsi all’agronegozio e alla logica estrattivista del grande capitale) per costruire quasi a tavolino gli scontri della scorsa settimana con la benedizione della destra e causare il casus belli per la destituzione di Lugo, ma anche
In Honduras, già nei giorni successivi al golpe, è sorto un movimento democratico ampio, orizzontale e partecipato: forme simili, per quanto ancora embrionali, possono essere riscontrate in Paraguay, ma nel giro di tre anni un altro tentativo di bloccare le conquiste sociali è andato a segno e questo è un dato preoccupante.
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