Latina

Lo squadrone della morte agì tra gli anni '80 e '90

Perù: ridotte le pene ai paramilitari di Colina

Indagati i membri della corte che hanno diminuito gli anni di reclusione
27 luglio 2012
David Lifodi

La recente decisione della Sala Penal Permanente della Corte Suprema di Giustizia, che ha ridotto le pene detentive ai componenti del gruppo paramilitare peruviano Colina, ha scatenato numerose polemiche  ed ha convinto il Consiglio Nazionale della Magistratura ad aprire un’indagine sui membri della corte responsabili di questo discutibile verdetto.

Il gruppo paramilitare di Colina agiva come un vero e proprio squadrone della morte che, nel segno della lotta alle formazioni guerrigliere di Sendero Luminoso e Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (Mrta), si è fatto più di una volta giustizia da solo attraverso delle vere e proprie esecuzioni extragiudiziali. Con la scusa di combattere il “terrorismo”, identificato senza alcuna distinzione nella guerriglia, nel sindacalismo, nelle associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, tra gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 Colina ha terrorizzato il paese. Un’ulteriore aggravante sta nei componenti del gruppo, provenienti dagli alti vertici dello stato: c’erano uomini del Sie, il Servicio de Inteligencia del Ejército, ufficiali e sottoufficiali di spicco, tra cui Vladimiro Montesinos, delfino dell’ex presidente Alberto Fujimori, e l’ex capo delle Forze Armate Nicolás Hermoza Ríos. Montesinos, che sotto la presidenza Fujimori veniva significativamente denominato el todopoderoso (l’onnipotente), ha ottenuto uno sconto della pena da 25 a 20 anni, al pari dello stesso Hermoza Ríos e dei generali Julio Salazar Monroe e Juan Rivera Lazo. Agli autori materiali di buona parte dei delitti commessi da Colina, Carlos Pichilingue e Santiago Martin Rivas, sono stati abbonato due anni: da 22 sono passati a 20. Ancora meglio è andata ad Alberto Pinto Cárdenas, ex comandante del Sie, che è tornato libero. I membri della corte responsabili di questa sentenza shock sono indagati, a loro volta, per non aver tenuto conto del reato di lesa umanità commesso in più circostanze dagli appartenenti allo squadrone della morte. Colina era un gruppo ristretto (32 uomini e 6 donne), ma feroce e pronto a tutto: colpiva per conto dello stato e per questo i suoi componenti si sentivano protetti. Inoltre, buona parte dei paramilitari di Colina in passato aveva fatto parte di altri squadroni che avevano più o meno gli stessi scopi ed erano stati più volte protagonisti della guerra a bassa intensità promossa dallo stato contro qualsiasi forma di resistenza sociale presente in Perù: erano esperti nell’utilizzo delle armi e scaltri ad agire. Una documentata inchiesta di controinformazione curata dalla Comisión de la Verdad dice che le azioni di Colina avevano la copertura della Dirección de Inteligencia del Ejército (Dinte), che si occupava di fornire un supporto logistico. Sempre dall’esercito provenivano finanziamenti in denaro che permettevano ai paramilitari di acquistare le armi e stipendiare, nel vero senso della parola, alcuni dei componenti della banda per le loro azioni criminali. Individuare persone suppostamente legate al “terrorismo”, o che comunque potevano rappresentare un pericolo per l’esecutivo Fujimori, era diventato un vero e proprio lavoro per i membri di Colina: è stato provato che l’estratto conto di alcuni sottoufficiali era ampiamente gonfiato dai guadagni extra accreditati in seguito all’eliminazione di oppositori del regime. Tra le azioni più efferate di Colima il massacro di Barrios Altos del 3 Settembre 1991, quando un’azione dei paras condotta contro la guerriglia coinvolse anche un bambino di otto anni, la sparizione di dieci contadini voluta dal capo delle Forze Armate Nicolás Hermoza Ríos in persona, e l’assalto all’Universidad la Cantuta, ritenuta un luogo di reclutamento da parte di Sendero Luminoso. E ancora: l’assassinio su commissione di Pedro Huillca Tecse, segretario della Confederación General de Trabajadores (Cgtp) e l’eliminazione del giornalista Pedro Yauri. Per il massacro di Barrios Altos e quello de La Cantuta, dove Colina uccise dieci persone, l’ex presidente Alberto Fujimori è stato condannato nel 2009 a 25 anni di prigione: in molti hanno temuto che per El Chino sarebbe arrivato uno sconto di pena, timore peraltro smentito dalla stessa Sala Penal Permanente della Corte Suprema di Giustizia. Come spesso succede in questi casi, si gioca allo scaricabarile e, per evitare la condanna, più di un componente di Colina ha sostenuto che era lo stesso Fujimori ad autorizzare massacri e spedizioni punitive. Non è difficile da credere: il 22 Aprile 1997, dopo l’assalto delle teste di cuoio all’ambasciata giapponese di Lima per liberare gli ostaggi da mesi nelle mani dell’Mrta, Fujimori camminò sprezzante accanto ai cadaveri degli emmeretistas (uccisi a sangue freddo) poco dopo un’azione che poteva essere evitata con un po’ di buon senso. Durante il processo che lo ha incriminato per ripetute violazioni dei diritti umani, Fujimori ha più volte pronunciato le parole jamás nunca alla richiesta specifica dell’accusa in merito alla creazione di Colina come un vero e proprio distaccamento speciale con funzioni paramilitari. Eppure era lui che aveva l’ossessione di eliminare Sendero ed Mrta, i due gruppi guerriglieri che, peraltro assai diversi tra loro nelle pratiche di lotta, sono stati effettivamente ridotti ai minimi termini nell’era Fujimori. El Chino è stato chiamato in causa anche da Isaac Paquiyauri, sottoufficiale dell’esercito peruviano e integrante di Colina. Paquiyauri ha riferito delle congratulazioni di Fujimori e Montesinos a Colina per il massacro di Barrios Altos, ma anche della stizza per la morte di Javier Ríos, un bambino di otto anni che aveva cercato di difendere il padre mettendosi nel mezzo tra i paras e il genitore. Fujimori temeva che questo episodio avrebbe rappresentato una macchia sull’operazione.

All’amarezza del verdetto che in parte riabilita Colina e diminuisce le pene per alcuni dei suoi componenti si sommano perplessità e rabbia per le dichiarazioni dell’attuale presidente Ollanta Humala. Il mandatario peruviano ha definito la decisione della Sala Penal Permanente della Corte Suprema di Giustizia una sorpresa in negativo e si è detto molto contrariato. Il ministro della giustizia Jiménez ha parlato di una sentenza vergognosa per il paese. Bene, ma ascoltare queste dichiarazioni da un governo che  vuol imporre con la forza il progetto Conga attraverso l’invio dell’esercito e che si è reso responsabile di innumerevoli violazioni dei diritti umani ai danni delle comunità indigene e contadine suona come una brutta contraddizione.

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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