Latina

Norte Energia fa orecchi da mercante

Brasile: il Ministério Público Federal chiede la sospensione dei lavori per la diga di Belo Monte

Il Planalto orientato a proseguire la grande opera
1 agosto 2012
David Lifodi

Il recente sequestro di tre ingegneri di Norte Energia, l’impresa che si è aggiudicata i lavori per la costruzione della diga di Belo Monte (nello stato brasiliano del Pará), ha indotto buona parte della stampa  scrivere che nei dintorni della diga la tensione stava crescendo pericolosamente. In realtà, ad aumentare quotidianamente sono le violazioni ai danni di quelle comunità indigene che, esasperate, per il mancato rispetto degli accordi da parte della stessa Norte Energia, hanno deciso di fare prigionieri, solo per pochi giorni, tre tecnici, di cui uno è stato liberato in breve tempo.

Indigeni, campesinos e ribeirinhos sono costretti a fronteggiare perlomeno tre avversari: il primo è rappresentato da Norte Energia e dal Consórcio Construtor Belo Monte, il secondo dall’Ibama (l’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente E Dos Recursos Naturais Renováveis) ed il terzo dal Planalto, con gli ultimi due che stanno giocando un ruolo quantomeno ambiguo in tutta la vicenda. Il rapimento dei tecnici di Norte Energia, durato dal 24 al 27 luglio scorso, è avvenuto dopo l’ennesima riunione fallimentare tra l’impresa e le comunità che saranno fortemente danneggiate dalla costruzione della centrale idroelettrica. La mancata attenzione di Norte Energia alla qualità dell’acqua, alle condizioni igienico-sanitarie e alla tutela dei territori abitati dagli indigeni, che si unisce alla scelta dell’impresa di disattendere deliberatamente il Plano Básico Ambiental (Pba) ed allo svolgimento surreale della riunione, condotta secondo modalità poco comprensibili per gli indigeni, la dice lunga sulla volontà di dialogo da parte del Consórcio Construtor Belo Monte. Anzi, si è cercato in tutti i modi di criminalizzare la protesta sociale con lo scopo di gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica e far passare sotto silenzio la decisione del Ministério Público Federal (Mpf), che ha chiesto di rendere nulla la licenza concessa dall’Ibama per la costruzione della diga. Belo Monte, a lavori ultimati, si trasformerà in una delle centrali idroelettriche più grandi del mondo: l’Ibama, in quanto ente governativo, segue la linea dettata dal Planalto che, sotto la presidenza Lula e quella di Dilma Rousseff, ha più volte fatto intendere di privilegiare la crescita economica alla tutela dei diritti umani, con buona pace delle almeno ventimila persone che dovranno essere sfollate. E’ certo, però, che il pronunciamento del Mpf chiama in causa l’Ibama e chiede conto delle modalità di concessione della licenza di impatto ambientale, puntando il dito sul carattere insostenibile della grande opera. Già i primi lavori per la costruzione della centrale idroelettrica sul Rio Xingu hanno messo in difficoltà gli abitanti della zona: le prime dighe provvisorie hanno reso impossibile navigare alcuni tratti di fiume e, di conseguenza, i collegamenti con Altamira sono divenuti estremamente complicati per indigeni, contadini, ed abitanti del luogo. I ribeirinhos lamentano la crescente moria di pesci che mette in crisi un’economia locale fondata sulla sussistenza: già segnalano che gli introiti derivanti dalla pesca sono fortemente diminuiti. Gli abitanti dei quartieri di Altamira che saranno sommersi dall’acqua, nel caso in cui i lavori procedano, saranno costretti a trovarsi una nuova sistemazione. In tutto questo il governo brasiliano nicchia, prende tempo, e si fa forte della ratifica di convenzioni che tutelano le comunità indigene, ma solo sulla carta, mentre in realtà spinge sull’acceleratore. Dom Erwin Kräutler, vescovo austriaco di 73 anni (da 47 in Amazzonia, da sempre impegnato nelle lotte sociali), ha rivolto un duro atto d’accusa a Lula, Dilma Rousseff e al Partido dos Trabalhadores (Pt). Odiato dalla borghesia paraense, vive sotto la minaccia continua dei pistoleiros, ma nonostante tutto non rinuncia ad esternare il suo pensiero: “Il Pt ha tradito, Lula e Dilma hanno messo su una sorta di dittatura civile ed entrambi passeranno alla storia come coloro che hanno distrutto l’Amazzonia ed hanno inferto un colpo durissimo ai popoli indigeni”. Si tratta di parole forti, ma sintomo di una situazione che il governo non ha mai saputo o voluto gestire con equilibrio, un po’ attratto dai vantaggi economici che deriverebbero dalla costruzione della diga, un po’ per non perdere l’appoggio di una parte di quella classe industriale forse meno rozza e intollerante di quella ascrivibile interamente all’elettorato della destra, ma che di fatto si rende corresponsabile di un enorme disastro ambientale e di continue violazioni dei diritti umani. Nel mese di giugno i popoli indigeni Juruna, Arara, Araweté, Xikrin, Parakanã e Assuniri avevano occupato per alcune settimane i cantieri di Belo Monte allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi sociali e ambientali che potrebbero derivare dalla costruzione della diga, ma le stesse riunioni a cui, malvolentieri, ha finito per sottoporsi il presidente di Norte Energia Carlos Nascimento, insieme a funzionari governativi, sono state definite “assurde” dagli stessi tecnici dell’impresa: il linguaggio utilizzato era di difficile comprensione per gli indigeni, poiché venivano usati termini di carattere molto tecnico. Infine, quelle che saranno le prime vittime della centrale idroelettrica, devono affrontare una forte criminalizzazione sociale: la polizia ha infatti chiesto mano libera per poter arrestare gli attivisti che si battono contro Belo Monte. Già in occasione dell’incontro Xingu+23, che si è svolto ad Altamira tra il 13 ed il 16 Giugno in concomitanza con il vertice ambientale di Rio+20, undici persone sono finite sotto accusa per le proteste di fronte ai cantieri della diga. Le accuse sono fantasiose, soprattutto se associate alle persone arrestate dalla polizia: un sacerdote che aveva celebrato una messa ed aveva benedetto Xingu+23, una suora, alcuni missionari indigenisti, un pescatore che si era visto distruggere arbitrariamente la sua casa dal Consórcio Construtor Belo Monte ed un documentarista di San Paolo sarebbero responsabili di espropri, furti, incendi, turbativa dell’ordine pubblico e azioni di disobbedienza.

Nonostante una situazione estremamente difficile le proteste vanno avanti, ma se Norte Energia può permettersi di prendersi gioco dei continui appelli del Ministério Público Federal, non sarà semplice arrivare alla revoca della licenzia ambientale e allo stop dei lavori in corso.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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