Le imprese minerarie canadesi attentano alla sovranità territoriale di El Salvador, un paese già messo in ginocchio dal trattato di libero commercio imposto anni fa dagli Stati Uniti durante i governi di Arena (Alianza Repubblicana Nazionalista), la formazione politica di estrema destra che ha governato il paese fino alla vittoria elettorale del Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional.
Su El Salvador hanno da tempo messo gli occhi le compagnie minerarie canadesi: nel 1996 fu varata la Ley de Minería, particolarmente vantaggiosa per gli investimenti delle transnazionali. Fino a quel momento il paese era stato risparmiato dall’invasione delle multinazionali dedite allo sfruttamento minerario, ma negli anni successivi furono concesse ben trenta licenze per l’estrazione di oro e argento: un’enormità per un paese così piccolo, el pulgarcito (il pollicino) dell’America Latina. In risposta a tutto questo nacquero due focolai di resistenza, il primo nel dipartimento di Chalatenango ed il secondo in quello di Cabañas: nel 2006 sarebbe sorta la Mesa Nacional Frente a la Minería Metálica, un coordinamento di movimenti urbani, ambientalisti e organizzazioni non governative che condividevano le battaglie delle organizzazioni popolari. Nel 2008 la Mesa riuscì a bloccare la concessione di una valutazione d’impatto ambientale favorevole per il progetto di El Dorado, nel dipartimento di Cabañas. Pacific Rim, una delle imprese minerarie canadesi che ha investito maggiormente in El Salvador, fu costretta a sospendere i lavori, ma si appellò immediatamente al Ciadi (il tribunale della Banca Mondiale chiamato a dirimere le controversie sugli investimenti internazionali) presentando ricorso contro lo stato salvadoregno in virtù del trattato di libero commercio stipulato con gli Stati Uniti. La stessa strada è stata intrapresa da un’altra multinazionale del settore, Commerce Group, che ha chiesto a El Salvador un indennizzo di cento milioni per ottenere il permesso di estrazione dalla miniera di San Sebastián (dipartimento di La Unión, nell’oriente del paese): in caso di rifiuto anch’essa potrebbe ricorrere al Ciadi, celebre per dar sempre torto agli stati o ai movimenti che cercano di emanciparsi dalla tirannia della Banca Mondiale. E’ per questo che la Mesa Nacional ha chiesto allo stato salvadoregno di disconoscere il Ciadi e, al tempo stesso, modificare la Ley de Inversiones, allo stato attuale molto permissiva verso le imprese straniere. Inoltre, la Mesa ha chiesto che il governo blocchi la ratifica degli accordi commerciali con il Canada e l’Unione Europea per quanto riguarda l’estrazione mineraria. Finora il governo efemelista ha presentato all’Assemblea Legislativa una proposta per la sospensione dei progetti di estrazione mineraria, ma la Mesa giudica questa misura insufficiente poiché la questione mineraria non si cancella, ma viene soltanto rinviata. Alla luce dell’inquinamento che coinvolge la quasi totalità dei corsi d’acqua salvadoregni, unito alla scarsità cronica dell’oro blu a discapito di una popolazione tra le più povere dell’intero continente latinoamericano, la Mesa Nacional si aspettava dal governo di Mauricio Funes una posizione assai più decisa rispetto alla semplice proposta di legge volta a sospendere l’estrazione mineraria e varata in tutta fretta dal presidente. La distruzione che ha seminato la minería metálica in buona parte del paese non è riuscita a convincere il governo salvadoregno: la Ley de Prohibición de la Minería Metálica, presentata nel 2006 (ancora prima dell’arrivo alla presidenza di Funes, nel 2009), giace, polverosa, in qualche cassetto dell’Assemblea Legislativa. Inoltre, la Mesa si rivolge anche al governo canadese, esortandolo a varare in breve tempo una legislazione che obblighi le imprese del proprio paese impegnate nell’estrazione mineraria all’estero, a rispettare i diritti umani, la salute e l’ambiente dei territori dove abitano le comunità locali. Nonostante le attività di Pacific Rim siano attualmente sospese, non sono mancate minacce e aggressioni ai danni delle popolazioni impegnate a lottare contro la miniera. Soprattutto nel dipartimento di Cabañas, una zona poco sindacalizzata, la multinazionale canadese pensava che non avrebbe avuto difficoltà ad imporre le sue condizioni, ma le perforazioni che avevano inquinato i fiumi ed il rifiuto opposto ad una consultazione previa delle comunità locali sullo sfruttamento della miniera avevano già fatto intuire a indigeni e contadini quanto arroganti fossero le pretese di Pacific Rim. Le imprese minerarie canadesi non sono comunque le uniche ad essere interessate ai giacimenti minerari salvadoregni: l’italiana Astaldi è infatti capofila del progetto che, nel 2013, concluderà i lavori per la miniera di El Chaparral, nella zona di San Miguel, oriente del paese. Il costo si aggira sui 290 di dollari, ma potrebbe aumentare in seguito all’ulteriore ampliamento della centrale idroelettrica deciso di recente. La popolazione teme che i lavori per aumentare la portata della diga provochino smottamenti.
In ogni caso la palla passa nelle mani dell’Assemblea Legislativa e del presidente Funes, che finora non hanno assunto una posizione chiara sulla vicenda: lo scorso primo agosto, lamenta la Mesa Nacional, nonostante il Día de Acción Continental contra la Industria Extractiva Canadiense, da parte delle istituzioni salvadoregne c’è stato solo silenzio, mentre ad oggi sullo stato salvadoregno pende minacciosa la richiesta di risarcimenti astronomici imposti dal Ciadi.
Note: Articolo realizzato da David Lifodi per
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