Venezuela: Hugo Chávez, il libertador dell’America Latina
Ha ragione da vendere Eduardo Galeano, quando, nel salutare Hugo Chávez, ha scritto che il presidente bolivariano era un demonio. Lo era, agli occhi dell’Occidente e degli Stati Uniti, perché aveva sradicato l’analfabetismo dal suo paese e, grazie alle misiones di carattere educativo e sanitario, aveva restituito dignità a quell’umanità dolente che popola le villas miserias di Caracas e dell’intera nazione: fino al suo avvento a Miraflores, i poveri erano semplici pedine del gioco elettorale. Pochi giorni prima delle presidenziali, i candidati compravano i loro voti in cambio di qualche promessa a buon mercato. Grazie a Chávez la popolazione si è caratterizzata politicamente e ha imparato a ragionare con la propria testa: per questo il Venezuela era stato inserito nella lista dei “cattivi”, in buona compagnia di Cuba e degli altri paesi dell’Alba, l’Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América.
Dalla notte del 6 dicembre 1998, che segnò l’arrivo di Chávez alla presidenza del Venezuela per la prima volta, e castigò l’alternanza dei partiti tradizionali Acción Democrática e Copei, di ispirazione vagamente socialista e democristiana, il paese ha compiuto enormi passi avanti. Non solo l’eliminazione dell’analfabetismo, ma la riduzione del livello di povertà, la diminuzione della disoccupazione di dieci punti percentuali contemporaneamente al salario minimo più alto dell’America Latina, e ancora la possibilità di accedere al sistema sanitario per le classi meno abbienti del paese grazie alla Misión Barrio Adentro, la nazionalizzazione (in parte) delle risorse naturali, la nuova Ley del Trabajo, firmata significativamente il 1 maggio 2012, che amplia i diritti dei lavoratori. Chávez aveva una prospettiva dello stato socialista e umanista, per questo si era battuto in ogni sede affinché l’unità latinoamericana fosse un fatto acquisito in tutti i campi e la cooperazione sud-sud progredisse, come testimoniato dal lavoro dei medici cubani e dallo scambio di informazioni su un progetto continentale di agroecologia con i contadini brasiliani senza terra. È stato grazie al Venezuela che Telesur ha cominciato le sue trasmissioni, una tv che parlava di tutti i sud del mondo in un continente dominato dai grandi latifondi mediatici, un aspetto (volutamente) ignorato dai suoi detrattori: buona parte della stampa (compresa quella italiana), ha continuato a ripetere che i principali mezzi di comunicazione sono di orientamento chavista. Niente di più falso, come testimoniato durante il golpe organizzato l’11 aprile 2002 da Fedecámaras, la Confindustria locale, con il sostegno di George Bush e José María Aznar, quando le tv venezuelane (soprattutto Globovisión e Radio Caracas Tv) continuavano a trasmettere cartoni animati e telenovelas mentre l’oligarchia cercava di destituire Hugo Chávez. João Pedro Stedile, voce storica del movimento brasiliano dei Senza Terra, lo ha salutato su Brasil de Fato scrivendo che “il suo esempio e la sua lucidità serviranno alla forze popolari e ai governi progressisti del continente”, per proseguire nel percorso di partecipazione democratica e cambiamento sociale. È però innegabile che la morte di Chávez rappresenta una perdita irreparabile per il Venezuela e per l’intera America Latina. Il successore del presidente bolivariano, già designato da Chávez lo scorso dicembre, sarà Nicolás Maduro, ex autista di autobus, cresciuto politicamente nel sindacato e divenuto nel corso del tempo un abile tessitore di reti a livello internazionale. Aldilà dei discorsi stantii sulla sua mancanza di carisma, di cui si è resa megafono, di nuovo, tutta la stampa internazionale, che si augura la sconfitta del chavismo alle prossime elezioni, già indette entro trenta giorni, sarà difficile trovare un uomo forte capace di piacere alla “boliborghesia”. La borghesia bolivariana infatti, pur essendo un serbatoio di voti per il Psuv (il Partito Socialista Unificato del Venezuela), rappresenta anche uno dei limiti del progetto bolivariano, spesso soffocato da questa nuova classe emergente, desiderosa unicamente di accumulare potere. Inoltre, la presenza di Chávez come uomo solo al comando, per quanto forte, ha finito per bloccare la nascita di un movimento sociale indipendente e critico da sinistra quale può essere, ad esempio il Movimento Sem Terra in Brasile, o le organizzazioni sociali come YoSoy132 (sorta in Messico la scorsa primavera per criticare radicalmente il sistema) e gli studenti cileni: per questo l’opposizione, che nonostante qualche spruzzata democratica resta fondamentalmente eversiva, potrebbe approfittarne nel tempo. Infine Henrique Capriles, confermato alla guida dello stato di Miranda, uno dei più ricchi del paese, dopo la sconfitta alle presidenziali dell’ottobre 2012 e la sonora batosta della Mesa de Unidad Democrática alle amministrative di dicembre (in cui ottenne la miseria di tre stati rispetto ai venti che premiarono il progetto chavista), potrebbe sfruttare le divisioni in seno alla classe dirigente del Psuv. Del resto il governatore di Miranda (e candidato a Miraflores) non ha perso tempo, ha fiutato l’aria della campagna elettorale imminente e convinto l’intera opposizione a disertare la cerimonia d’insediamento di Maduro, che resterà in carica per il disbrigo degli affari correnti del governo, come si usa dire in queste circostanze, fino a nuove elezioni. A livello continentale, invece, il socialismo del siglo XXI dovrà andare avanti senza Chávez. Il leader bolivariano, definito da tutti i media come un caudillo (purtroppo anche dal manifesto del 7 marzo, in quella che, ci auguriamo, sia stata una svista) più volte si era professato, al tempo stesso “cristiano, umanista, marxista, socialista, antimperialista, indigeno e operaio”. In qualità di costruttore di idee, aveva creato Petrocaribe per sfruttare gli immensi giacimenti di petrolio e aiutare gli altri paesi latinoamericani, e contribuito alla nascita del Banco del Sur e dell’Unión de Naciones Suramericanas (Unasur). Chávez era riuscito anche a condurre il Venezuela nel Mercosur, il mercato comune che si è andato consolidando come l’unica opzione latinoamericana a fare da contrappeso alle transnazionali e alle banche del mondo occidentale, nonostante l’egemonia esercitata dal Brasile in chiave sub-imperialista. Certo, la centralizzazione del potere ha fatto si che il progetto bolivariano presentasse alcune debolezze e contraddizioni (dallo sfruttamento di carbone nello stato di Zulia, dove le miniere inquinavano le terre abitate dalle comunità indigene, fino alla relazione discutibile e pericolosa con la Colombia di Juan Manuel Santos, legame creatosi dopo la dipartita di Uribe da Palacio Nariño), ma promuovere la rivoluzione permanente in uno stato come il Venezuela, ricchissimo di petrolio e sotto la costante minaccia del potente vicino nordamericano, non era facile. Hugo Chávez è riuscito a restituire il diritto di cittadinanza ad un paese che prima del suo avvento si era trasformato in una repubblica delle banane. Il Caracazo del 27 febbraio 1989, una delle prime mobilitazioni di massa contro i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale ed un aumento del costo della vita che aveva ridotto il paese quasi in bancarotta sotto il governo “socialista” di Carlos Andrés Pérez, rappresentò l’anticamera alla sollevazione promossa da Hugo Chávez il 4 febbraio 1992: alla testa di alcuni battaglioni dell’esercito, il presidente cercò di rovesciare il governo di Pérez, ma finì in carcere. Uscì due anni dopo, grazie all’indulto concesso da Rafael Caldera: nel 1998 il suo Movimiento V República, ispirato ai valori del libertador Simón Bolívar, ottenne il 56% dei voti e Chávez fece ingresso a Miraflores come presidente. Da allora il mandatario non ha più perso un’elezione. In questi giorni, una serie di reportages sulla carta stampata e servizi tv dei principali mezzi di comunicazione hanno cercato di screditare in ogni modo il processo bolivariano, riducendo spesso il presidente venezuelano a una macchietta. Inutile sprecare tempo a fare nomi e cognomi, gli autori di questi servizi, intellettualmente disonesti e infarciti anche da grossolani errori sulla storia recente del Venezuela, sanno fin troppo bene di aver agito secondo una deontologia non degna della professione di giornalista e dettata dalla malafede.
Chávez era riuscito a collocare la povertà al centro della vita politica e sociale, ma soprattutto aveva condotto la sinistra venezuelana al governo dopo decine di fallimenti e dato nuova linfa a quella continentale, Si, Hugo, sei stato davvero un demonio.
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