Latina

Il nuovo capo di stato è Horacio Cartes, legato al narcotraffico

Presidenziali Paraguay: i colorados tornano a Palacio de López

Male le sinistre, divise e sconfitte
22 aprile 2013
David Lifodi

Horacio Cartes Come da copione, le presidenziali svoltesi ieri in Paraguay hanno segnato il ritorno del Partido Colorado a Palacio de López: Horacio Cartes, candidato per l’Asociación Nacional Republicana (questo l’altro nome con cui sono conosciuti i colorados) ha ottenuto il 45, 91% dei voti. Al secondo posto un altro rappresentante della destra, Efraín Alegre, del Partido Liberal Radical Auténtico (Plra), con il 36,84% delle preferenze. Naufragio per le sinistre, anche questo largamente preannunciato.

Horacio Cartes è un imprenditore tra i più ricchi del paese (possiede ventisei imprese dove è vietata qualsiasi forma di organizzazione sindacale), ma anche un personaggio poco raccomandabile e circondato da collaboratori ancora più discutibili, tra cui Francisco Cuadra, uomo di fiducia del dittatore cileno Augusto Pinochet tra il 1984 e il 1987. Inoltre, i legami del neopresidente con il narcotraffico sono noti: nel 1985 ha conosciuto anche il carcere. Non solo. Il quotidiano brasiliano ‘O Globo’, non certo di orientamento progressista, ha reso pubblica un’informativa della Dea, l’agenzia antidroga statunitense, che sottolinea come Cartes sia a capo di un vasto giro di riciclaggio di denaro sporco per le mafie di diversi paesi, principalmente quello verdeoro. Sembra che Cartes sia alla testa anche di una vasta rete di contrabbando attiva soprattutto alla Tripla Fontera (Argentina, Brasile e lo stesso Paraguay). Altre accuse provengono dalla Fiscalía General del Estado, secondo la quale il presidente sarebbe sospettato di arricchimento illecito e per la fuga di capitali all’estero. Tutto questo, però, non basta affinché venga sollecitamente rimosso dall’incarico, al contrario dell’ex presidente Fernando Lugo, rovesciato lo scorso giugno da un colpo di stato falsamente parlamentare: in quel caso gli Stati Uniti, sempre solerti nel difendere l’ordine mondiale, non mossero un dito per riportare al potere l’ex monsignore, democraticamente eletto nel 2008. La polarizzazione della campagna presidenziale tra la destra colorada e quella liberale è stata resa possibile non solo dai media di orientamento conservatore, ma anche dai tanti errori compiuti dalle forze di sinistra nei mesi successivi al golpe, e nell’ultimo periodo in cui Lugo era riuscito a conservare la presidenza. Troppo ampia e variegata la coalizione di Fernando Lugo, che andava dal centrosinistra ai liberali, i quali dopo mesi di tira e molla riuscirono a impallinarlo approfittando degli scontri scoppiati il 15 giugno 2012 tra campesinos che cercavano di rientrare in possesso delle loro terre e la polizia in quello che è conosciuto come il massacro di Curuguaty. Quel giorno morirono venti contadini e sette poliziotti, ma soprattutto la destra ne approfittò per mettere Lugo in minoranza al Congresso (dove già la Alianza por el Cambio era in via di sfaldamento) e 39 parlamentari su 42 votarono per la sua destituzione. A Palacio de López andò il vicepresidente Federico Franco (del Plra), che da tempo animava la fronda contro Lugo e, durante la campagna elettorale, si è speso per il suo pupillo Efraín Alegre, già ministro alle opere pubbliche con l’ex monsignore. Va sottolineato, inoltre, che il PLra non ha mai pagato, in termini di responsabilità politica, il colpo di stato di cui si è fatto promotore. Nei dieci mesi che sono seguiti al golpe, la sinistra non solo è stata indecisa, ma ha finito con il frammentarsi senza trovare un candidato in grado di unire un vasto arco di forze sociali come era riuscito a fare Lugo. Il conduttore televisivo Mario Ferreiro, che si era presentato in qualità di outsider con il movimento Avanza País, ha ottenuto il 5,5% dei consensi. Ferreiro avrebbe dovuto essere il successore di Fernando Lugo, prima che un litigio tra i due non determinasse una frattura da cui è derivata la scissione con il Frente Guasú (ampio, in lingua guaranì). Buona parte dei quadri di Avanza País provengono dal P-mas, il Partido del Movimiento al Socialismo: le posizioni socialdemocratiche e laiche del partito (Ferreiro è stato quasi l’unico candidato a non esibire simbologie religiose) hanno valso al suo leader la magra consolazione della “vittoria” nella corsa interna al campo delle sinistre. È andata decisamente peggio al Frente Guasú di Fernando Lugo, in lista come primo senatore: il suo candidato, il medico Aníbal Carrillo, si è dovuto accontentare di un misero 3,33%. Persona stimata per la sua carriera nelle organizzazioni popolari e di sinistra, Carrillo era però totalmente sconosciuto a buona parte dell’elettorato paraguayano, né poteva vantare il prestigio internazionale di cui godeva l’ex monsignore. Il medico ha fortemente criticato il duopolio televisivo della tv pubblica e dell’emittente privata Canal 9, che effettivamente hanno parlato delle presidenziali come se si affrontassero due soli contendenti in campo, liberali e colorados, ma Carrillo non è mai riuscito a suscitare grandi speranze tra i paraguayani e inoltre ha speso gran parte del tempo dei suoi comizi a presentarsi come “l’unico vero candidato di sinistra”. Infine, meno dell’1% per Lilian Soto, che però si è fatta portavoce di un vero movimento orizzontale disposto a lavorare con le organizzazioni sociali. Kuña Pirenda, partito dichiaratamente anticapitalista e femminista, è stato trai primi ad opporsi al colpo di stato. Cancellato anch’esso dai dibattiti televisivi, Kuña Pirenda si è caratterizzato per essere il primo movimento politico femminista e socialista. Insieme, i tre partiti di sinistra avrebbero raggiunto poco più del 9%: non molto, ma la loro presenza al Congresso sarebbe servita a fare da portavoce delle istanze del campesinado paraguayano, in attesa di una riforma agraria alla quale, di certo, non darà impulso Cartes. In una situazione in cui oltre la metà della popolazione vive in uno stato di indigenza, circa 350mila famiglie non hanno accesso alla terra mentre 351 proprietari terrieri concentrano nelle loro mani 9,7 milioni di ettari, la presenza di un partito politico di sinistra sarebbe servita quantomeno come argine agli interessi dei terratenientes.L’esito delle presidenziali ricalcherà probabilmente quello per l’elezione dei membri del Parlasur (sono i diciotto rappresentanti paraguayani in seno al Parlamento del Mercosur) e dei governatori dei diciassette dipartimenti del paese, il cui spoglio è ancora in corso. Horacio Cartes ha già dato la sua disponibilità all’installazione di una base militare nel Chaco, al confine con la Bolivia, e ad una serie di radar puntati verso Argentina, Brasile, Venezuela e l’Amazzonia.

La dittatura stronista, che aveva governato il paese dal 1954 al 1989, rischia di ripresentarsi sotto le spoglie di Horacio Cartes e del suo sfidante liberale Efraín Alegre, che nonostante insulti di varia natura per reciproci scheletri nell’armadio (per il primo il narcotraffico, per il secondo la malversazione quando era ministro sotto Lugo) e l’assenza di un programma politico decente, sono riusciti a riportare il paese ad una competizione esclusivamente a destra, sulla quale Paraguay rischia di rimanere per molti anni ancora.

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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