Minacciato di morte il corrispondente dalla Colombia di "Reporter Associati"
di Roberto di Nunzio
21 Mar 2004
Bogotà. "Venerdì 12 marzo scorso mi trovavo fuori casa per miei soliti giri quotidiani, in una zona della città non coperta dal segnale della telefonia mobile. La sera rientrando a casa vengo informato da mia moglie, spaventatissima e ancora in lacrime, che qualche ora prima quattro persone forzando la serratura della porta di casa erano entrate nella nostra abitazione".
"Va tenuto presente che il mio appartamento si trova in un condominio ben sorvegliato da guardie private armate, come è abitudine dei quartieri residenziali di molte capitali latino americane. In più l’ingresso e l’atrio del condominio sono sorvegliati da un portiere, anche lui armato, che di norma non lascia mai passare nessun estraneo senza aver prima chiesto via citofono interno autorizzazione agli inquilini".
"Nel mio stabile, inoltre, un secondo portiere ogni mezzora circa sale con l’ascensore fino all’attico del palazzo che si trova all’ottavo piano per poi scendere tutti piani a piedi controllando di persona che tutte le porte degli appartamenti siano ben chiuse".
"I quattro individui che sono risuciti ad entrare nel mio appartamento hanno chiesto a bruciapelo a mia moglie dove fossi, e lei, spaventata ha risposto che mi trovavo genericamente “fuori per lavoro”. Gli intrusi sono rimasti circa 2 ore in casa aspettando minacciosamente il mio rientro e spaventando a morte mia moglie che non sapeva davvero cosa poter fare per avvisarmi. Hanno quindi deciso di andarsene consegnando a mia moglie un messaggio minaccioso, inequivocabile nella sua chiarezza e brutalità: “Siamo delle Auc, Autodifese Unite di Colombia, e conosciamo bene che il mestiere di giornalista di tuo marito consiste nel denigrarci scrivendo articoli che danneggiano la nostra organizzazione.”
“L’avvisiamo” hanno proseguito i quattro davanti a mia moglie terrorizzata “che suo marito è considerato da oggi come un obiettivo militare primario per difendere i nostri interessi e la nostra stessa organizzazione.” “Prima di passare dalle parole ai fatti sappia e gli riferisca che gli concediamo 48 ore per lasciare la città e il paese”. Quindi hanno chiesto a mia moglie dove tenessimo eventuali telefoni cellulari, e mia moglie, sempre più spaventata e impossibilitata a reagire, ha offerto loro alcuni oggetti d’oro e il suo telefono cellulare personale. Dopo aver rovistato nella borsa di mia moglie e in giro per la casa hanno rubato del denaro che custodivamo per ogni emergenza, e sono usciti dall’appartamento in tutta tranquillità".
"La vicenda ha davvero dello sconcertante perché rimane tuttora irrisolto l’interrogativo di come questi siano riusciti a penetrare indisturbati nel condiminio prima ancora che nel mio appartamento eludendo i livelli di sorveglianza ai quali accennavo prima". "A quel punto non ho avuto altra scelta che preparare in fretta i bagagli incuranti di quanto lasciavamo in casa e convincere mia moglie e mio figlio che dovevamo immediatamente lasciare la Colombia".
"Questa minaccia di morte che ho ricevuto, e che è a arrivata coinvolgere direttamente la mia famiglia, è certamente in relazione con il mio lavoro di reporter indipendente e con molti degli articoli e reportage che recentemente ho pubblicato anche sul sito web d’informazione “Reporter Associati”, per il quale lavoro come corrispondente dalla Colombia, dove denunciavo la penetrazione dell’organizzazione delle Autodifese Unite di Colombia in territorio venezuelano per destabilizzare quel paese e giungere fino all’eliminazone fisica del Presidente Chavez".
"Ed inoltre l’aver scoperto la partecipazione di reparti scelti della polizia e dell’esercito colombiano che, unitamente a gruppi di Auc operanti nel paese di Viotà (a circa 3 ore dalla capitale Bogotá), hanno compiuto autentici massacri di civili. Devo precisare che Viotà è un piccolo villaggio di campagna che ha visto nascere la formazione guerrigliera delle Farc. Le Farc ultimamente sono state messe in fuga dalle Auc e la popolazione civile che da sempre solidarizzava con le Farc, era entrata nel mirino delle Auc. Da un po’ di tempo gli “squadroni della morte”, si muovevano nella notte in direzione del villaggio con tra le mani le liste di nomi dei cittadini che più avevano collaborato con le Farc e dopo averli individuati all’interno delle proprie case li sequestravano, e dopo averli torturati li giustiziavano a colpi di pistola e fucili automatici".
"Mi giunse una segnalazione che insieme ai gruppi armati delle Farc operavano anche reparti regolari della polizia e dell’esercito colombiano e, come giornalista mi recai sul posto per cercare di verificare queste informazioni".
"Giunto a Viotà rimasi alcuni giorni nascosto muovendomi eslusivamente di notte e non ebbi difficoltà a riconoscere un tenente della polizia locale che agiva come raccordo tra i suoi uomini e quelli delle Auc. Sono convinto che questo episodio in particolare possa spiegare l’origine delle minacce di morte che mi sono state rivolte e la decisione da parte di qualche comando delle Auc di considerarmi “obiettivo militare”.
"Ho preso la decisione di lasciare il paese, benchè la ritenessi profondamente ingiusta, per porre in salvo mia moglie e mio figlio adolescente che non avevano, e non hanno, alcuna colpa, intorno alle vicende legate alla mia attività di cronista in Colombia ma non escludo affatto di rientrare nel paese (in tempi ragionevolmente brevi) per salvaguardare la mia dignità di giornalista e tornare così al mio lavoro di reporter che è l’unica professione che svolgo". (Angelo Falleti)
Roberto di Nunzio
direttore@reporterassociati.org
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