“Mar del Plata”: la storia dei rugbysti che sfidarono la dittatura argentina
Javier se lo llevaron al termine degli allenamenti: stava nel movimento studentesco e di certo sarebbe diventato un guerrigliero. Il Turco e Mariano avevano partecipato ad un’assemblea sindacale in fabbrica: sicuramente il loro futuro sarebbe stato quello di vendepatrias. E ancora: Gustavo, Otilio e gli altri, la squadra di rugby di Mar Plata, quella che con le sue giocate mandava in estasi il pubblico e fu sterminata dalla giunta militare. Le ferocia degli aguzzini al servizio di Videla pari a quella dei boss mafiosi che infestano la Sicilia, il coraggio dei giovani rugbysti che sfidano la dittatura come quello degli agenti che difendono i magistrati antimafia.
C’è questo e molto altro nel romanzo di Claudio Fava, Mar del Plata (Add Editore, Torino, 2013) che racconta la storia di una squadra di rugby che, prima di tutto, è un collettivo nel senso più ampio del termine: i ragazzi del club fanno quadrato anche fuori dal campo, è così che il capitano Raul viene a sapere che una patota ha rapito il suo amico Javier e allo stesso modo decidono di votare, a maggioranza, se mettersi al riparo in Francia o rimanere in Argentina per portare a termine il campionato “alla faccia di quei porci dei militari”, come dice uno dei protagonisti. Claudio Fava è venuto a conoscenza della storia del La Plata Rugby Club da Gustavo Veiga, un giornalista che, da poco, ha dato alla luce il libro Deporte, Desaparecidos y Dictadura: nelle raccolte Memoria y Balance de la Unión Argentina de Rugby degli anni ’76-’77, spiega, non c’è alcun riferimento alla dittatura. In Mar del Plata c’è la suggestione della Poderosa, la moto del Che Guevara che assume qui le sembianze di una vecchia Guzzi del capitano Raul, la descrizione feroce degli sgherri della dittatura, messi in ridicolo da Fava sia nelle sue descrizioni fisiche sia a livello psicologico: sono spietati, ma al tempo stesso soli con loro stessi e con la loro malvagità, come lo era l’aguzzino Fleury, il torturatore dei frati domenicani brasiliani descritto da Frei Betto nel suo Battesimo di sangue. Il loro mondo è fatto da “pensieri malati”, scrive Fava: i militari sono ossessionati dal loro compito, quello di ripulire l’Argentina dai sovversivi, convinti che il paese gliene renderà merito. E invece è la stessa folla a disconoscerli, cantando l’inno argentino perché si riconosce in un paese stufo della dittatura, tanto da costringerli ad una poco onorevole fuga. Il calcio piazzato del capitano avversario del La Plata Rugby Club, diretto verso la tribuna dove sono nascosti, in mezzo al pubblico, Montonero e il suo superiore Benavides, i due militari spioni che avevano inviato i loro sottoposti ad eliminare i rugbysti, il cui gioco aveva incantato l’Argentina, è il segnale di un’intera comunità contraria ai militari e al loro desiderio di ordine e pulizia: poco dopo si sarebbero disputati i mondiali di calcio e la giunta militare avrebbe presentato la nazione come la tierra di derechos y humanos. Il romanzo di Claudio Fava, che alterna termini spagnoli a quelli del dialetto siciliano, commuove per la caparbietà dei suoi protagonisti: i minuti di silenzio infiniti, prima di ogni partita, per commemorare i loro compagni che scompaiono settimana dopo settimana. Il La Plata Rugby Club avrebbe vinto il campionato se non fosse stato sterminato e costretto a presentarsi in campo, nelle ultime partite, con un manipolo di ragazzini, tanto che le stesse squadre avversarie vincono contro di loro di malavoglia. Solo uno di loro, Raul Barandiaran Tombolini, riuscirà a sopravvivere allo sterminio: il capitano era di origine siciliana: suo nonno era giunto in Argentina dalla Sicilia per lavorare come mandriano. È l’unico a cui Claudio Fava ha mantenuto il suo nome autentico raccontandone la storia reale: gli altri nomi sono di fantasia, ma la progressiva eliminazione dei rugbysti purtroppo non è frutto del romanzo, ma è vera. Molti dei giocatori del club finirono all’Esma, compreso l’allenatore, che aveva inizialmente cercato di convincere la sua squadra a pensare solo al rugby e non alla politica per evitare che finissero nelle mani dei militari: Hugo Passarella sapeva che con loro c’era poco da scherzare e ne conosceva la cattiveria. Nel romanzo c’è anche un riferimento alla Resistenza italiana. I guappi, come li chiama Fava, che vanno a prendersi Pablo, uno degli ultimi giocatori rimasti insieme a Raul e sfondano la porta della sua casa, assomigliano molto alla brigata nera che cerca di prendere il giovane partigiano Dante Di Nanni. Il ragazzo capisce immediatamente che è lui che cercano e fugge fino ad arrivare alla terrazza della casa: quando si rende conto che non può più scappare, non intende dare agli sbirri del regime la soddisfazione di essere arrestato e, al pari di Dante Di Nanni nella Torino occupata dai tedeschi e dai fascisti, si butta dal balcone con il pugno chiuso alzato. I militari sanno tutto: hanno assistito agli allenamenti e alle partite, uno di loro, in gioventù, era stato anche un arbitro che si era venduto le partite. Pian piano i ragazzi capiscono che saranno fatti fuori, ma non vogliono darla vinta ai militari. L’intento di Gustavo Veiga, ma anche di Claudio Fava, è quello di raccontare delle storie di sport e, al tempo stesso, sottolineare l’impegno politico e la militanza di una generazione di giovani sportivi che furono arrestati e uccisi perché appartenenti ai montoneros, alla gioventù peronista o, più semplicemente, a qualche organizzazione di sinistra. Passando dal romanzo alla realtà, Barandiaran racconta che nello spogliatoio della squadra era sorta una cellula del Partito marxista-leninista argentino. Inoltre, ricorda il capitano, lui e tutti i suoi compagni prestavano attenzione a tutto ciò che succedeva nella società argentina, per cui era naturale guardare a ciò che accadeva oltre il campo di gioco. Jorge Moura, uno dei rugbysti eliminati dalla dittatura, faceva parte dell’Ejército Revolucionario del Pueblo (Erp), Rodolfo Axat aveva organizzato una cellula montonera in fabbrica prima di essere rapito da una patota, e ancora Mariano Montequín, anche lui militante del Partito marxista-leninista, sequestrato con la sua fidanzata, Mario Mercader, montonero, fu ritrovato con i segni della fucilazione nel cimitero di Avellaneda, Abigail Attademo, combattente dell’Erp e conosciuto con il nome di battaglia “Comandante Miguel”, desaparecido.
Claudio Fava ha avuto il merito di far conoscere la storia del club di La Plata, Gustavo Veiga, giornalista d’inchiesta, ha svolto un ottimo lavoro ricostruendo l’epopea di una squadra che giocava e faceva politica, per questo era così invisa ai generali e così amata, ancora oggi, da tutti coloro che si riconoscono negli ideali di quei ragazzi.
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