Gli aspetti positivi e i rischi dei riots brasiliani
In Brasile le proteste sono tutt’altro che terminate: sparite dalle prime pagine dei telegiornali, le mobilitazioni non si sono arrestate. Solo due giorni fa il Movimento Ocupa Brasilia chiedeva l’instaurazione di una commissione parlamentare che indagasse sugli sprechi legati alla Coppa del Mondo e alla corruzione endemica che affligge il paese, ma anche l’archivio di un progetto di legge che intende equiparare le manifestazioni ad un atto di terrorismo. E ancora, la partecipazione popolare alla riforma della politica.
A tre settimane esatte dalla prima manifestazione lanciata dal Movimento Passe Libre a San Paolo, a cui avevano partecipato poco più di mille persone prima che i riots coinvolgessero gran parte del paese, se da un lato le proteste hanno scosso dalle fondamenta il gigante del continente latinoamericano, che difficilmente tornerà quello di prima, dall’altro nessuno è in grado di prevedere cosa succederà adesso e quale direzione prenderà una mobilitazione che, ad oggi, non ha una leadership e un programma ben definiti. Tutto ciò rischia di far naufragare una protesta nata per ragioni sacrosante, ma che adesso corre il rischio di essere cavalcata dalle destre, quella conservatrice e quella radicale e antisistema. Per le strade di alcune città brasiliane sono comparsi gruppi di neonazisti che invocavano il ritorno dei militari per moralizzare il paese dalla corruzione: in buona parte sembra che siano stati loro a rendersi protagonisti dei maggiori atti di vandalismo. Ad esempio João Pedro Stedile, storico esponente del Movimento Sem Terra, sottolinea la presenza di gruppi filofascisti che avrebbero messo in atto saccheggi e violenze gratuite a San Paolo, mentre a Rio de Janeiro agirebbero vere e proprie formazioni paramilitari al soldo di politici conservatori. Al tempo stesso il Partido dos Trablhadores (Pt) si trova in una fase molto delicata: se Dilma Rousseff ci ha messo la faccia, lascia quantomeno perplessa la strategia di alcuni ministri del governo, soprattutto di Paulo Bernardo, che pure sarebbe il titolare del dicastero alla Comunicazione. Il ministro ha rilasciato un’intervista a quello che i brasiliani definiscono come il maggior organo di informazione liberal-fascista del paese, la rivista Veja. Non si tratta di concedere un’intervista ad un mezzo di informazione di orientamento conservatore, quanto di aver dato la propria disponibilità ad un a rivista che fa del killeraggio politico tramite stampa la sua arma principale con il Pt costantemente nel mirino. Durante l’intervista Bernardo ha mosso pesanti critiche al suo partito, ricevendo un elogio spropositato da parte di Veja, che a sua volta lo ha incensato come il buon petista che ha abbandonato il radicalismo della sinistra. Situazione simile quella che ha visto come protagonista il governatore petista di Bahía Jacques Wagner, che sempre dalle pagine di Veja ha attaccato duramente il presidente del Pt, Rui Falcão, che aveva solidarizzato con le manifestazioni di piazza. Il Pt si trova di fronte ad un passaggio molto critico: la base ha partecipato alle manifestazioni, ma è necessario che tutto il partito e la sinistra avanzino insieme a difesa degli interessi e delle aspettative dei settori popolari del paese: senza una coerenza di fondo ed una linea precisa è forte il rischio che la destra, parlamentare e radicale, soffi sul fuoco dell’antipolitica e si costruisca il suo capitale elettorale da spendere in occasione delle presidenziali del 2014. L’obiettivo delle destre e del grande capitale è quello di confondere le acque e sfruttare ai propri fini una protesta spontanea, antiautoritaria, libera da egemonie di qualsiasi tipo e che aveva avuto il merito di far riflettere il paese sulle contraddizioni tra un governo “popolare” e i suoi legami fin troppo stretti con il mondo della grande finanza e degli interessi speculativi. Per questo Via Campesina e il Cloc, il coordinamento latinoamericano delle organizzazioni contadine, a cui aderisce anche il Movimento Sem Terra, avevano scritto una lettera aperta, ma al tempo stesso molto cauta, alla presidenta Dilma Rousseff, chiedendo che il governo scegliesse di governare con e per il popolo, ma non contro. Come detto, Dilma Rousseff non si è nascosta, si è confrontata con gli esponenti del Movimento Passe Libre e ha giurato che si sarebbe impegnata per una riforma in grado di regolare le spese esorbitanti per le campagne elettorali dei candidati. Si tratta di un particolare non trascurabile in un paese in cui i partiti sono divenuti, per certi aspetti, l’approdo di affaristi che, tramite la politica, pensano solo a tutelare i propri interessi. I partiti si sono trasformati in strutture burocratiche e lo stesso Pt, pur avendo conservato una base militante e solidale, si trova con una parte dei suoi vertici compromessa in episodi quantomeno poco chiari. Non si tratta solo delle interviste rilasciate da Paulo Bernardo o Jacques Wagner a Veja, ma, ad esempio, del mensalão, in base al quale si era verificata una compravendita di voti fondata su veri e propri stipendi mensili ai deputati dell’opposizione affinché fossero approvati determinati provvedimenti. Inoltre, la presidenta si è impegnata a migliorare la situazione in merito a sanità, trasporto pubblico e istruzione: non tutti lo avrebbero fatto dopo i fischi e le grida ricevute in occasione dell’inaugurazione della Confederations Cup allo stadio Mané Garrincha di Brasilia. L’impegno di Dilma Rousseff non è in discussione: da nessuna parte dei presidenti si sono seduti al tavolo per ascoltare le ragioni della protesta direttamente dai loro principali esponenti, ma al tempo stesso la presidenta non ha mai messo in discussione i principali aspetti del capitalismo e della finanza, con i quali peraltro si erano già legati mani e piedi Lula e, prima di lui, il “socialdemocratico” Fernando Enrique Cardoso, così come non è stata spesa una parola per dire che il Planalto avrebbe preso un’altra direzione nel campo della questione agraria (dove predomina l’agrobusiness) o nel settore della speculazione immobiliare. “Se il governo non si alleerà con il popolo pagherà pegno nel breve periodo”, avverte ancora Stedile, Gli stessi programmi “Fome Zero” e “Bolsa Famila”, pur se di natura assistenzialista, erano serviti per far uscire dalla povertà un’ampia fascia di popolazione (circa 25 milioni di brasiliani sono riusciti a far parte della “nuova classe media”), ma il paese continua ad essere uno degli stati con i maggiori livelli di disuguaglianza del pianeta. Dopo anni di torpore, o nei quali comunque le rivendicazioni rimanevano strettamente legate ai soggetti promotori, piccoli (come il Passe Libre o i Comitati impegnati a denunciare gli effetti nefasti dei Mondiali e delle Olimpiadi) o grandi (il Movimento Sem Terra) che fossero, in Brasile è sorto un movimento sociale forte e che gode dell’appoggio di buona parte della popolazione, ma al tempo stesso è disarticolato e manca per certi aspetti di una piattaforma con un obiettivo comune e specifico tipico delle organizzazioni di massa.
Il giornalista uruguayano Raúl Zibechi ha definito i riots brasiliani come la “rivolta dei venti centavos”, riferendosi all’aumento dei biglietti del trasporto pubblico, peraltro già ritirato. In un paese che rischia di passare alla storia per aver sfrattato almeno 250mila persone nelle dodici città che ospiteranno la Coppa del Mondo 2014 per far posto a grandi opere legate all’evento, a nuovi trasporti e alla riqualificazione urbana di interi quartieri a favore delle fasce sociali medio-alte, è necessario mobilitarsi e imporre un’agenda chiara al Planalto: solo così i gruppi di provocatori finiranno ai margini e per le organizzazioni popolari si tratterà di un primo passo sulla strada della giustizia sociale.
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