Latina

A rilevarlo un’analisi della Coordinación Latinoamericana de Organizaciones del Campo

Diritto alla terra: in Centroamerica cresce la repressione

Situazione preoccupante soprattutto in Honduras e Guatemala
13 agosto 2013
David Lifodi

internet In Centroamerica i conflitti per la terra crescono al pari della criminalizzazione dei movimenti indigeni e contadini e della persecuzione nei loro confronti: a rilevarlo un’analisi della Coordinación Latinoamericana de Organizaciones del Campo (Cloc) e di alcune realtà sociali guatemalteche.

Solo in Honduras, osserva la Cloc, negli ultimi tre anni sono stati assassinati 115 campesinos e circa tremila processati per il loro impegno attivo nelle lotte per la terra. Questo dato non sorprende. Già in occasione dell’incontro internazionale di Vía Campesina, svoltosi dal 6 al 13 giugno scorso a Giacarta, Rafael Alegría, uno dei dirigenti più in vista della sezione centroamericana della Cloc, aveva sottolineato come nei tre anni del regime di Porfirio Lobo, si contino centinaia di campesinos assassinati solo nella zona del Bajo Aguan, dove le comunità contadine cercano di recuperare le terre a loro assegnate con la riforma agraria del 1972, ma sottrattegli dall’imprenditore Miguel Facussé, uno degli uomini più ricchi dell’Honduras e dell’intero Centroamerica. Proprio in Honduras, come in tutto la regione, la concentrazione della terra si trova nelle mani di poche decine di famiglie. In pratica, di fronte alle istanze legittime dei contadini che rivendicano il diritto alla terra, prevale la giustizia di tribunali compiacenti e legati ai grandi latifondisti: in Honduras non si sono mai svolte delle indagini serie sugli assassini e le sparizioni dei campesinos. Il 16 luglio scorso membri dell’Operación Xatruch III, una forza dell’esercito che agisce con modalità simili alle formazioni paramilitari, ha sgomberato 98 famiglie dell’Empresa Asociativa Campesina 28 de Mayo nella comunità San Martin (municipio di Trujillo, dipartimento di Colón), picchiato i campesinos e sparato gas lacrimogeni. La comunità aveva recuperato la terra dove viveva attualmente nel 2005, ma aveva già subito finora sette sgomberi violenti: un episodio come tanti, purtroppo, che dimostra la sostanziale impunità dei grandi proprietari terrieri e il loro stretto legame con uno stato che disprezza i diritti dei contadini. La Cloc sottolinea come il numero delle famiglie cacciate dalle loro terre sia il risultato di politiche governative al servizio esclusivo delle imprese transnazionali. Un altro paese che ha una situazione preoccupante è il Guatemala, dove il governo e le imprese hanno imposto l’agrobusiness, la monocoltura della canna da zucchero e della palma africana a scapito di migliaia di famiglie che hanno perso la loro principale fonte di sussistenza, legata alla diversificazione dei prodotti agricoli da coltivare. Inoltre, migliaia di contadini sono stati costretti al desplazamiento a causa dei mega progetti dovuti all’estrazione mineraria e alla costruzione delle centrali idroelettriche, vedi i casi delle comunità di Santa Cruz Barillas, Totonicapán e della Valle del Polochic. Il presidente guatemalteco Otto Pérez Molina ha scelto la strada della repressione, militarizzato intere zone del territorio ed ha imposto lo stato d’assedio: questa è stata la sua risposta alle istanze delle comunità. Inoltre, sono cresciute le intimidazioni contro la dirigenza dello storico Comité de Unidad Campesina (Cuc), da sempre impegnato sul versante della questione agraria. Tira una brutta aria anche a Panama, dove il governo di Ricardo Martinelli ha autorizzato un gran numero di concessioni per l’estrazione mineraria e privatizzato le risorse idriche: anche in questo caso è stato raggiunto il risultato auspicato, cioè lo sgombero a cui sono state costrette le comunità di intere zone del paese, che così hanno lasciato campo libero alle multinazionali, vedi la miniera Petaquilla Gold, che ha fatto ricorso anche alle guardie armate private per reprimere le proteste delle comunità indigene e contadine. In generale, tutto il Centroamerica sta vivendo una fase molto delicata poiché è in crescita il fenomeno del land grabbing, non c’è alcuna volontà di vietare o almeno regolare l’estrazione mineraria e la sovranità alimentare è sempre più minacciata dalle monocolture. Un caso emblematico è quello del Costarica, dove la monocoltura dell’ananas e la sua semina in ampie zone del paese ha contaminato la terra, le acque e violato i diritti di migliaia di famiglie. L’unico paese che sembra essere in controtendenza, in questo panorama così desolante, è il Nicaragua, dove è in vigore la legge di sovranità alimentare e sono in via di sviluppo le cooperative legate ai piccoli produttori: una soberanía con dependencia y convivencia, la definisce il delegato nica di  Vía Campesina Edgardo García.

È per questi motivi che il Cloc ha sollecitato gli stati centroamericani affinché cessino le pratiche di repressione e criminalizzazione dei movimenti contadini e adottino politiche orientate al rispetto dei diritti umani: a questo proposito sarà inoltrata una richiesta ufficiale alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani in cui si chiede che le comunità indigene e contadine ricevano protezione.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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