Ecuador: stop di Correa alla moratora petrolera nel Parque Nacional Yasunì-ITT
Una delle iniziative più originali degli ultimi anni a livello ambientale, la moratora petrolera che proteggeva il Parque Nacional Yasunì-ITT, fortemente voluta dai movimenti sociali e indigeni durante il primo mandato del presidente Rafael Correa, è andata in fumo. A dichiararlo è stato lo stesso presidente ecuadoriano, che pure si era lasciato inizialmente coinvolgere nel progetto, la cui paternità resta però quella del suo ex braccio destro, Alberto Acosta, oggi la sua spina nel fianco da sinistra.
La moratora petrolera rientrava nel segno della nuova Costituzione approvata nel 2008, quella che riconosceva i diritti della natura come fondamentali: il petrolio non avrebbe dovuto essere estratto perché, una volta bruciato, dai gas sprigionati nell’atmosfera sarebbe derivata la crescita del riscaldamento globale. Nel 2007 Alberto Acosta, allora ministro dell’energia all’interno dell’entourage correista, aveva sostenuto che non estrarre petrolio dal Parque Nacional Yasunì-ITT significava conservare intatta un’area di straordinaria biodiversità e, al tempo stesso, preservare i popoli indigeni in isolamento volontario. La decisione di sospendere la moratora petrolera, ha spiegato il presidente Correa, è dovuta al mancato pagamento di almeno la metà delle risorse economiche generate dal petrolio e che la comunità internazionale avrebbe dovuto garantire all’Ecuador. Correa sostiene che il paese ha bisogno dei proventi del petrolio per superare la povertà e il sottosviluppo che affliggono il suo paese: “il maggior attentato ai diritti umani è la miseria”, ha dichiarato il presidente, che ha attaccato duramente la stessa comunità internazionale. Le difficoltà dell’Ecuador sono sotto gli occhi di tutti, ma si dice che da tempo a Palacio de Carondelet stessero pensando ad un appiglio per sospendere la moratoria, sebbene l’iniziativa Yasuní-ITT avesse raccolto un enorme consenso tra i movimenti sociali a livello internazionale, tanto che era stato creato lo slogan yasunizar el mundo, ripreso dal celebre ogonizar el mundo, riferito alla cacciata della Shell dalla Nigeria da parte degli ogoni durante gli anni Novanta. La decisione presa da Correa non è priva di contraddizioni. È la stessa Costituzione ecuadoriana ad obbligare lo stato a proteggere le aree come quella del Parque Nacional Yasunì dal punto di vista dei diritti indigeni e di quelli della natura e, di conseguenza, è difficile chiedere una compensazione economica alla comunità internazionale per rispettare un obbligo costituzionale proprio, sebbene sia lo stesso presidente, per casi di “interesse nazionale”, a poter autorizzare l’estrazione del petrolio. Inoltre, sostengono ambientalisti e movimenti sociali, è paradossale minimizzare gli effetti dell’estrazione petrolifera in un paese come l’Ecuador, dove la multinazionale Chevron-Texaco ha causato dei gravissimi danni a livello ambientale. Lo stesso argomento relativo alla necessità di combattere la povertà, per quanto faccia presa agli occhi della società civile e non sia privo di logica, si sottopone comunque ad inevitabili critiche. Scrive Eduardo Gudynas su Alainet: “Sostenere che i proventi dell’estrazione petrolifera ridurranno la miseria è come dire che l’estrazione mineraria ridurrà la disoccupazione”, vedi la locomotora minera evocata spesso dal presidente colombiano Juan Manuel Santos, senza contare gli effetti collaterali che ricadranno sulle popolazioni della zona. Nel vecchio dilemma tra ambiente e sviluppo Correa ha scelto quest’ultimo, preferendo sostenere l’equazione ambientalismo-povertà, senza prendere in considerazione che l’estrazione petrolifera finirà per accrescere le disuguaglianze sociali, a scapito dei popoli che vivono nella zona del parco, costretti molto probabilmente, ad andare a vivere da un’altra parte con il rischio di trasformarsi in sfollati ambientali. Trai movimenti e gli intellettuali di sinistra ha riscosso sempre più consensi l’idea del correismo come un “nuovo modello di dominazione borghese”, e di una Costituzione si all’avanguardia, ma di fatto inapplicata. In questo senso il Sumak Kawsay di Correa, il buen vivir indigeno, che il governo ha definito anche il socialismo del buen vivir, appare come un’operazione propagandistica e di facciata. Il vero Sumak Kawsay, ribattono i popoli indigeni, sta nel mantenere la Pachamama libera dalle rondas petroleras e mineras nel segno dell’equilibrio ambientale. L’estrazione petrolifera, al pari di quella mineraria e dell’agronegozio, sono serviti al governo per finanziare programmi sociali, e forse l’unico aspetto positivo di questa storia riguarda il fatto che i benefici economici derivanti dalle politiche estratt viste non sono finiti nelle mani delle multinazionali, ma esclusivamente dello stato. Correa non ha mai voluto prendere in considerazione una terza via tra l’estrazione petrolifera e il progetto di yasunizar el mundo, anzi, ha attaccato con sempre maggior violenza qualsiasi forma di opposizione da parte dei movimenti sociali, grazie ai quali, peraltro, è andato al potere nel 2007: un esempio su tutti riguarda la repressione ai danni delle comunità in lotta contro l’estrazione mineraria. Sono oltre duecento i leader sociali, contadini e indigeni, sommersi da processi giudiziari, mentre il rispetto dei diritti delle comunità è ormai pura utopia. L’ondata estrattivista di Correa secondo molti supera quella dei governi neoliberisti succedutisi fino al 2007 in Ecuador, con buona pace della Revolución ciudadana e della Costituzione più verde della storia, sbandierate in tutti i consessi internazionali. L’Iniciativa Yasuní-ITT (il cui acronimo proviene dai campi petroliferi Ishpingo, Tiputini e Tambococha) era sorta quando Correa, durante un’assemblea dell’Onu, aveva dichiarato di non voler estrarre il petrolio per evitare, in questo modo, l’emissione di 400 milioni di tonnellate di CO2, che avrebbero contributo non poco al riscaldamento globale. In cambio, il presidente aveva chiesto una compensazione economica di 3600 milioni di dollari in 12 anni a fronte di riserve stimabili in circa 846 milioni di barili di petrolio, ma “la crisi economica mondiale, la necessità di sviluppo del paese e gli interessi della comunità internazionale hanno impedito che la moratora petrolera sul suolo del Parque Nacional Yasuní rimanesse intatta”.
La scelta di Correa non ha stupito però i movimenti sociali, che già da tempo avevano rotto con il presidente: è opinione diffusa tra loro che abbiano perso solo una battaglia, ma la loro lotta per la difesa della selva amazzonica e della vita continua.
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