Latina

Dighe e miniere, il governo procede senza consultare la società civile

Guatemala: le comunità indigene assediate dallo stato e dalle multinazionali

Il paese rivive l’incubo del conflicto armado e dell’operazione tierra arrasada
2 ottobre 2013
David Lifodi

 

internet In Guatemala la costruzione delle centrali idroelettriche e l’estrazione mineraria hanno da sempre rappresentato il cavallo di troia delle multinazionali per penetrare nel paese e appropriarsi delle risorse naturali, ma con il passare del tempo servono sempre di più al presidente Otto Pérez Molina e al suo governo per indebolire la strenua resistenza delle comunità indigene e contadine, che quotidianamente provano ad opporsi a difesa della terra e dei beni comuni.

La strategia dello stato guatemalteco nei confronti delle comunità non è cambiata dagli anni del conflicto armado: si promette alle popolazioni una falsa offerta di dialogo per poi inviare l’esercito ad attaccarle con una violenza spropositata. È successo agli inizi degli anni ’80, quando l’operazione tierra arrasada di Ríos Montt e Lucas García sterminò un’intera generazione di indigeni maya, ma rischia di accadere di nuovo oggi sotto l’identica regia di Otto Pérez Molina. “Mano dura”, questo il suo soprannome, fu uno dei militari più alti in grado che pianificò la strage dei maya, con decine e decine di villaggi dati alle fiamme e la pratica della tortura sistematica. Oggi la storia si ripete: da quando sono arrivate le imprese Ecoener Hidralia Energía e Hidro Santa Cruz, la zona di Santa Cruz Barillas è stata sottoposta ad una crescente militarizzazione, mentre gli omicidi a sfondo politico e le persecuzioni ai danni dei leader delle organizzazioni sociali contrari alle dighe sono aumentati pericolosamente. Il 1 maggio 2012 tre esponenti di spicco della popolazione di Santa Cruz Barillas, in lotta contro la costruzione della diga Canbalam, furono oggetto di un’imboscata da parte di un commando composto dalle guardie armate di Hidro Santa Cruz: l’agguato si concluse con un leader comunitario assassinato, due feriti gravi e la proclamazione dello stato d'assedio per un mese. La zona nord del dipartimento di Huehuetenango è sotto attacco: si tratta di un vero e proprio assedio, sia a livello militare sia dal punto di vista della costruzione delle centrali idroelettriche. Nel municipio di Santa Eulalia è presente l’Hidroeléctrica San Luis S.A. y Maderas San Luis, fortemente legata al Grupo Magdalena, uno dei principali potentati economici dell’intero Centraomerica, dedito non solo alla distribuzione di energia, ma anche alla produzione di zucchero e all’esportazione di biocombustibili. A San Mateo de Ixatán opera invece l’impresa Promociones y Desarrollos Hídricos S.A., che ha appaltato a Hidralia Energía il progetto di costruzione della diga Pojom I sul Río Jolom. In entrambi i casi il governo ha promesso di aprire un negoziato, ma la società civile di Santa Cruz Barillas non ha visto né un funzionario del governo, né, tantomeno, il presidente Molina, che pure aveva promesso la sua presenza, quanto piuttosto l’arrivo in forze della Policía Nacional Civil (Pnc), che ha sparato gas lacrimogeni contro le comunità indigene in resistenza, ha fatto irruzione nelle case dei leader della protesta e lasciato molti feriti. Ad essere tutelata non è una popolazione civile stanca di guerra, ma le imprese che, con il consenso dello stato, non consultano le comunità, si burlano delle consultas comunitarias e si spingono fino a condurre una guerra di bassa intensità fatta di bugie e tentativi di destabilizzazione all’interno dei municipi per spezzarne la coesione, il senso di solidarietà e di appartenenza. Anche in questo caso il copione è più o meno lo stesso: l’accusa principale rivolta alle comunità da parte del governo è quella di essere manipolati da agenti esterni, il cosiddetto nemico interno, sulla base dell’idea che gli indigeni non sono in grado di ragionare autonomamente in quanto retrogradi. In un paese a maggioranza maya si conferma una volta di più la caratterizzazione di uno stato razzista e classista. Un altro esempio significativo riguarda la resistenza pacifica della comunità maya kakchikel di San José Nacahuil, impegnata in un duro confronto con le imprese minerarie Kappes Kassiday&Associates e la guatemalteca Exploraciones Mineras de Guatemala S.A. (Exmingua). Gli abitanti dei municipi di San José del Golfo e San Pedro Ayampuc si battono contro la costruzione della miniera fin dal 2010. La loro opposizione ha rappresentato un modello per tutto il paese anche perché, fin dal 2005, la comunità maya kakchikel di San José Nacahui ha deciso di espellere la Pnc e pensare autonomamente alla propria sicurezza interna. Il movimento di resistenza ha organizzato un presidio permanente di fronte al cantiere per la costruzione della miniera ed era riuscita a rallentarne il progetto fino al massacro del 7 settembre scorso, quando dal finestrino di una pattuglia della polizia sono stati sparati alcuni colpi di arma da fuoco. Sono rimaste uccise 11 persone, dopo che già nel mese di giugno un attentato contro Yolanda Oquelí, portavoce della protesta, aveva rappresentato ben più di un avvertimento. Il governo ha colto la palla al balzo per militarizzare la zona spacciando l’assalto alle comunità come uno scontro tra le maras, le bande criminali diffuse in tutto il Centroamerica. A sostenere questa tesi è stato soprattutto il ministro dell’Interno Mauricio López Bonilla, su cui già pesano gravi responsabilità per la mattanza di Totonicapán, dove nell’ottobre 2012 otto indigeni k’iches furono uccisi dai militari durante una pacifica dimostrazione di protesta contro una serie di riforme anticostituzionali che Pérez Molina voleva far passare ad ogni costo. Lo stesso López Bonilla in più di un’occasione ha definito gli indigeni come “terroristi e narcotrafficanti”. Le dichiarazioni del ministro dell’interno sono facilmente smentibili: la maggior parte dei testimoni sostiene infatti che gli agenti della Pnc sono gli autori intellettuali del massacro compiuto da sicari al loro servizio.

La dignidad non se compra ni se vende, dicono le comunità indigene, ma il paese è nelle mani delle multinazionali e di un’elite che governa con metodi apertamente fascisti. Solo al Ministerio de Energía y Minas sono già state registrate 86 licenze di esplorazione mineraria, 282 di estrazione e ben 598 attendono un’autorizzazione pressoché certa. La Commissione Interamericana per i Diritti Umani è stata informata e sollecitata ad intervenire, ma, ancora una volta, il suo ruolo sembra essere del tutto inconsistente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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