Latina

Respinto il ricorso del gruppo Clarín su alcuni articoli della legge

Argentina: la Ley de Medios è costituzionale

La Ley de Servicios de Comunicación è tra le più avanzate del mondo a livello di comunicazione e informazione
4 novembre 2013
David Lifodi

 

internet L’approvazione dei quattro articoli della Ley de Servicios de Comunicación, più conosciuta sotto il nome di Ley de Medios, impugnati dalla più potente holding di comunicazione argentina, il gruppo Clarín, rappresenta una buona notizia per il mondo dell’informazione non solo in Argentina, ma per tutta l’America Latina. La Corte Suprema di Giustizia si è espressa con sei voti favorevoli ed uno contrario: adesso la Ley de Medios è pienamente costituzionale.

Il gruppo Clarín, espressione della parte più reazionaria della società argentina, principale organo della dittatura di cui ancora si dichiara ammiratore, sarà costretto a cedere una parte dei suoi mezzi di comunicazione. Gli articoli approvati a larga maggioranza dalla Corte sono quattro. Il 45, quello che era stato maggiormente contestato dal gruppo Clarín, limita il numero di imprese che ciascun organo di informazione può possedere: le 240 licenze per le tv via cavo di cui il gruppo era proprietario in tutto il paese dovranno necessariamente essere cedute, almeno una parte. Secondo la Corte il Clarín non potrà possedere più di 24 licenze e il limite delle frequenze che ciascun gruppo può detenere significa che la holding più amata dalle destre non sarà più la padrona assoluta dell’informazione. Inoltre, secondo quanto stabilisce l’articolo 41, il Clarín non potrà trasferire le licenze o venderle a chiunque come se ne fosse il padrone, ma sottoporle ad un’asta pubblica. L’articolo 48 stabilisce infatti che il gruppo Clarín, come le altre holding, non possa ritenere un diritto acquisito la proprietà di più licenze del dovuto, che dovranno essere rimesse nelle mani dell’organo di vigilanza e poi assegnate in base ad un’asta pubblica. Infine, il 161, che concede un anno di tempo al gruppo Clarín per mettersi in regola. In realtà la Ley de Medios, ritenuta unanimemente tra le più avanzate in tutto il mondo, era stata approvata e promulgata nel 2009, prima che i quattro articoli sopracitati venissero impugnati dal gruppo Clarín, e intendeva garantire la libertà di espressione, una pluralità di opinioni diverse e arricchire lo spazio pubblico informativo. Inoltre, la Corte ha respinto le argomentazioni del gruppo Clarín citando un frammento della Declaración de Principios de la Libertad de Expresión, approvata dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani nell’ottobre del 2000, in base alla quale si evidenzia che se i mezzi di comunicazione sono controllati da un numero ridotto di persone, vengono automaticamente a mancare le condizioni minime di pluralità dell’informazione e questo finisce per rappresentare un grave ostacolo per il funzionamento della democrazia. Secondo gli avvocati e i costituzionalisti che il gruppo Clarín ha messo sotto contratto per difendere le proprie posizioni, lo Stato avrebbe dovuto tutelare la libertà d’espressione tramite una serie di leggi in grado di garantire il libero mercato, senza porre alcun limite alle proprietà dei padroni dell’informazione. L’obiezione del gruppo Clarín aveva un certo fondamento, ovviamente dal suo punto di vista, poiché, oltre alle oltre duecento concessioni per le tv via cavo, alle riviste e alle case editrici, il latifondo mediatico del gruppo è composto anche dal quotidiano (lo strumento principale di propaganda delle idee conservatori), dall’ agenzia di stampa Diarios y Noticias, fondata sotto la dittatura militare, e dai canali tv in chiaro Canal 13 e TN, tra i più importanti del paese. E ancora, il gruppo Clarín ha insistito, sostenendo che l’approvazione dei quattro articoli della Ley de Medios danneggia la sua libertà di espressione e viola il suo diritto alla proprietà e alla libertà del commercio. Se la Ley de Medios è tra le più avanzate a livello mondiale nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, la sfida più grande sarà quella di rendere la legge realmente operativa. Il gruppo Clarín esce sconfitto dalla battaglia legale intrapresa con la giustizia argentina, tuttavia la strada da percorrere nel campo della democratizzazione dell’informazione è ancora lunga: i mezzi di comunicazione alternativi e comunitari chiedono infatti che la percentuale di concessioni tolta al gruppo Clarín sia affidata ai media popolari e l’applicazione della Ley de Medios non finisca per ridursi solo ad un passaggio da un oligopolio mediatico all’altro. In questo senso fa ben sperare il primo passo compiuto in direzione della prima emittente televisiva dell’Espacio de Televisoras Alternativas y Comunitarias, Barricada Tv, che dovrebbe ricevere l’autorizzazione a trasmettere i propri programmi. Inoltre, le tv comunitarie chiedono che lo stato riservi loro il 33% dello spettro televisivo senza fini di lucro e un piano rivolto alla crescita e alla promozione delle emittenti alternative e comunitarie. Horacio Verbitsky, storico giornalista di Página/12 e presidente del Centro de Estudios Legales, ha parlato di una grande battaglia democratica vinta, poiché il gruppo Clarín non sarà più il principale attore mediatico del paese a vantaggio di una maggiore pluralità nell’informazione e mai finora si era verificata una resistenza così intransigente di un potere economico corporativo contro una legge approvata in piena democrazia. Finora l’unica riforma nel campo dell’informazione era stata quella imposta dall’allora presidente Carlos Menem, che aveva permesso dei livelli di concentrazione del potere mediatico ancora maggiori di quelli attuali per il gruppo Clarín ed altri oligopoli mediatici a lui vicini.

L’approvazione completa della Ley de Medios è servita a spazzare via un altro residuo del neoliberismo argentino, anche se c’è da scommettere che il gruppo Clarín cercherà altre strade per eludere la legge: i suoi legali hanno già dichiarato che si tratta solo di una battaglia persa.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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