Latina

La candidata di Nueva Mayoría vince, ma non riesce a superare il 50% al primo turno

Presidenziali Cile: è ballottaggio tra Michelle Bachelet ed Evelyn Matthei

Eletti in Parlamento molti leader della protesta studentesca
18 novembre 2013
David Lifodi

 

internet Le presidenziali e legislative cilene (si votava anche per il rinnovo della Camera dei Deputati e di un terzo del Senato) si concludono con un risultato preannunciato, il ballottaggio per la Moneda tra Michelle Bachelet (centrosinistra) ed Evelyn Matthei (destra) che si terrà il prossimo 15 dicembre, eppure sono molteplici gli spunti da trarre in seguito alla tornata elettorale di ieri. Vediamoli.

Dal punto di vista percentuale, la candidata della vecchia Concertación (adesso denominata Nueva Mayoría, a cui si somma il Partito Comunista, alleatosi per la prima volta), si è fermata a poco meno del 47%, come segnalato da buona parte dei sondaggi. Sorprende, invece, un parziale recupero di Evelyn Matthei: la “presidenziabile” di Alianza por Chile, la coalizione della destra dura e pura filopinochettista raggiunge il 25% dei consensi, nonostante alla vigilia del voto non fosse accreditata di più del 14%. Si equivalgono  i due outsider che volevano strappare la seconda posizione per puntare al ballottaggio. A sinistra Marco Enríquez Ominami (Partido Progresista), a destra l’indipendente Franco Parisi,  che ottengono poco oltre il 10% dei voti: entrambi si aspettavano molto di più. Risultati poco confortanti per i candidati della sinistra movimentista, che pagano il feroce duopolio Bachelet-Matthei imposto durante tutta la campagna elettorale: 3% per Marcel Claude (Partido Humanista) e 1,3% per Roxana Miranda (Partido Igualdad). Il ritorno di Michelle Bachelet alla guida del paese sembra comunque solo rimandato, anche se Nueva Mayoría pare non aver raggiunto quella maggioranza schiacciante che sperava di guadagnare grazie all’alleanza con il Partito Comunista. In un intervista rilasciata all’agenzia missionaria Misna, il giornalista del gruppo editoriale Ciudad Nueva Alberto Barlocci, spiega: “Il sistema elettorale cileno è binominale, un’altra eredità di Pinochet, e prevede l’elezione di due parlamentari per ogni distretto elettorale. Così se in un distretto ottieni il 45% e il secondo il 15% si assegnerà un deputato per uno. Questo ha fatto si che il paese restasse in scacco e che la destra avesse una rappresentazione proporzionale che non rispecchia però i voti”. Dal punto di vista della sinistra radicale, la candidatura di Michelle Bachelet è stata comunque appoggiate dalle elites della borghesia e del mondo imprenditoriale per dare continuità al capitalismo cileno, seppur con una faccia un po’ meno feroce e forse più compassionevole del neoliberismo propugnato dalla destra. In effetti, sottolinea ancora Barlocci, che ha parlato ad urne aperte e quindi non sapendo ancora il risultato delle votazioni, “ideologicamente le differenze di Bachelet con la controparte sono sfumate e il centrosinistra ha perso le elezioni precedenti perché presentava lo stesso modello economico e sociale dei conservatori, che è pressoché lo stesso di Pinochet”. Ad esempio, Michelle Bachelet in caso di vittoria cercherà di giocare un ruolo di primo piano all’interno di Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane), ma si guarderà bene dal far entrare il Cile nell’Alba (l’alternativa bolivariana per le Americhe), ed è assai probabile che proseguirà sulla strada del Trattato di Libero Commercio. Al tempo stesso, se è vero che i candidati alla Moneda della sinistra sociale hanno dovuto condurre una campagna elettorale con pochissime risorse, è altrettanto innegabile che avrebbero dovuto presentare una candidatura unitaria per rappresentare in Parlamento le classi popolari. Come ha sottolineato il direttore dell’edizione cilena di Le Monde Diplomatique, Víctor Hugo de La Fuente, i candidati vicini ai movimenti sociali hanno finito per portare avanti delle rappresentanze esclusivamente identitarie e non nell’ambito di un blocco sociale unito e coeso. Questo ha impedito che si creassero le condizioni per un movimento politico unificato e le candidature degli stessi leaders delle proteste studentesche hanno ottenuto consenso a seconda delle zone dove sono ubicate le loro università. C’è inoltre da sottolineare che una parte non trascurabile della sinistra sociale ha optato anche per l’astensione. In ogni caso i principali esponenti delle mobilitazioni universitarie del 2011 sono arrivati in Parlamento, a partire da Camilla Vallejo, la più conosciuta, candidata per il Partito Comunista e giunta direttamente alla Camera dei Deputati con il 43% delle preferenze. Ce l’hanno fatta anche Gabriel Boric, di Izquierda Autónoma, una corrente della federazione studentesca cilena, Giorgio Jackson (Revolución Democrática) e Karol Cariola, fino ad ora segretaria della gioventù comunista. In vista del ballottaggio, fanno sorridere le dichiarazioni di Evelyn Matthei, che almeno ufficialmente dice di puntare alla vittoria. La candidata di Alianza por Chile è furba e sa come comunicare: sostiene che ci sono grandi differenze tra lei e Michelle Bachelet, accusata di voler “distruggere la Costituzione”, che peraltro risale agli anni del regime pinochettista, a cui il padre aderì facendo carriera e partecipando al colpo di stato che rovesciò Salvador Allende. È proprio sulla nuova Costituzione che rischia di cadere Michelle Bachelet, la quale finora non si è espressa con chiarezza sul tema, anche per evitare forti divisioni all’interno della Concertación. Va comunque ricordato che, nel campo della destra, non tutti gli elettori voteranno necessariamente per Matthei. Lo stesso Franco Parisi, il candidato che mirava a presentarsi come opposizione di destra alternativa ad Alianza por Chile, ha già detto che al ballottaggio non voterà, non si sa se per reale convinzione personale o all’insegna del classico “tanto peggio, tanto meglio”. Parisi si è complimentato con Bachelet e ha dichiarato che la señora Matthei es una persona muy mala. In ogni caso, Evelyn Mathhei cercherà di raggranellare i voti di un elettorato centrista che ancora non ha mandato giù l’alleanza della vecchia Concertación con il Partito Comunista. Dal suo punto di vista, il Pc cileno ha scelto di far parte della coalizione con Bachelet non nel segno di una semplice alleanza elettorale come sommatoria di più partiti, ma per incidere all’interno del Parlamento e tutelare i diritti sindacali, sollecitare la fine del sistema binominale e pungolare la futura presidenta in merito ad un’istruzione pubblica, gratuita, di qualità a alla portata di tutti in uno dei paesi più diseguali del continente latinoamericano. Vedremo, nel lungo periodo, se il Pc riuscirà a far mettere al centro dell’attenzione i diritti civili e sociali. Un’altra perplessità, sempre da sinistra, viene da Víctor Hugo de La Fuente, per  il quale il secondo mandato di Michelle Bachelet dovrà essere per forza all’insegna della discontinuità rispetto alla sua prima esperienza alla Moneda, ma una delle principali critiche rivolte alla figlia del generale Alberto Bachelet (deceduto a seguito delle torture nelle prigioni di Pinochet) è proprio quella di non essere in grado di portare a termine tutto ciò che promette.

In un’elezione segnata comunque da un’affluenza molto bassa, si sono recati alle urne poco meno di 7 milioni sui 13,5 aventi diritto, Michelle Bachelet si è imposta si con largo margine, ma preoccupa che non abbia superato quella soglia fatidica che la costringe al ballottaggio con una Evelyn Matthei che comunque non ha più nulla da perdere. Il destino politico di entrambe si giocherà su come e con quale percentuale vincerà Michelle Bachelet e su che tipo di sconfitta arriverà per Evelyn Matthei.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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