Venezuela: successo del Psuv alle amministrative
Le elezioni amministrative svoltesi ieri in Venezuela hanno segnato, ancora una volta, un punto a favore del proceso bolivariano.
Si trattava di una votazione particolarmente attesa soprattutto dall’opposizione, che intendeva sfruttare questa tornata elettorale per dare una spallata al chavismo, ma rappresentava anche un banco di prova significativo per il Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv), alla prima prova dopo le presidenziali vinte da Maduro nell’aprile scorso poco dopo il decesso del presidente Chávez. In un’intervista rilasciata a 48 ore dal voto al quotidiano il manifesto, il ministro degli Interni Miguel Torres sottolineava ancora una volta il carattere apertamente eversivo di almeno una parte dell’opposizione, “diretta da un gruppo come Primero Justicia, che ha radici fasciste e proviene da un’organizzazione che si chiamava Tradizione, Famiglia, Proprietà”. Del resto, in Venezuela non ci sono vie di mezzo: o si sceglie il chavismo e la strada del socialismo del XXI secolo od un modello di sviluppo capitalista e neoliberale. Di certo la Mesa de Unidad Democrática (Mud), dopo la sconfitta di questa domenica, rischia di affrontare anche un conflitto interno tra i vincitori e i perdenti delle amministrative. Di fronte ad una partecipazione discreta, intorno al 59% degli elettori (per il Venezuela si tratta di un record in fatto di elezioni municipali), il Psuv si è affermato con il 49,24% contro il 42,72% dell’opposizione: rispetto alle presidenziali dello scorso aprile il chavismo ha aumentato il numero dei voti ed è cresciuto lo scarto con l’opposizione: oltre cinque i milioni di voti del Psuv contro i meno di 4,5 della Mud, rispetto all’esito incerto e all’ultimo respiro delle presidenziali. Le amministrative rappresentavano anche una prima prova per l’indice di gradimento sul presidente Maduro, che ha decisamente superato l’esame in un contesto non facile, caratterizzato dai problemi economici che hanno afflitto il paese negli ultimi mesi e dalle polemiche susseguitesi all’approvazione della Ley Habilitante, la legge ratificata dall’Assemblea Nazionale che consegna allo stesso Maduro delle prerogative in via straordinaria ed eccezionale per la durata di un anno per combattere speculazione ed inflazione. Inoltre, poco prima delle elezioni, tra le proteste dell’opposizione, è stato approvato anche il Plan de la Patria, il piano governativo ideato dal presidente Hugo Chávez all’insegna di un nuovo modello produttivo. Sul successo chavista probabilmente ha pesato anche l’incessante lotta del governo contro le disuguaglianze presenti nel paese. Secondo i dati della Commissione Economica Latinoamericana (Cepal), il Venezuela è il paese che è riuscito ad abbassare maggiormente il tasso di povertà in tutto il continente nel corso del 2013. Il chavismo ha vinto in 15 delle 24 principali città del paese, ma hanno resistito anche le principali roccaforti dell’opposizione, tra cui il distretto metropolitano di Caracas (la Alcaldía Mayor), Maracaibo, la capitale dello stato petrolifero di Zulia, tra i più ricchi del paese, e Barinas, la città natale di Hugo Chávez, dove le dispute interne al Psuv hanno finito per favorire il candidato della Mud. Henrique Capriles, governatore dello stato di Miranda, leader dell’opposizione, ma giunto alla sua quarta sconfitta consecutiva rispetto al proceso (esclusi i successi elettorali nel suo bacino elettorale in qualità di governatore), dovrà probabilmente renderne conto di fronte al suo partito, anche se la Mud, nei primi commenti post voto ha di nuovo posto l’accento su un paese diviso e senza padrone, arrivando a delegittimare la vittoria del Psuv sostenendo che la partecipazione elettorale del 58,92% non è tra le più alte, per cui un’ampia parte dei venezuelani non si riconoscerebbe in alcun schieramento. E ancora, Luis Vicente León, analista della istituto di flussi elettorali Datanálisis, ha provato a sminuire la vittoria del Psuv sostenendo che, se da un lato l’opposizione non è riuscita a battere il chavismo, è altrettanto vero che il Psuv non è stato in grado di strappare alla Mud le sue storiche roccaforti. La risposta di Maduro non si è fatta attendere: “Capriles riconosca la sconfitta e lasci la direzione politica della Mud”. Di certo l’affermazione del chavismo non è stata nettissima, come evidenziato da León, ed è vero che i feudi elettorali dell’opposizione hanno resistito, ma di qui a far passare l’affermazione del Psuv come una mezza vittoria ce ne passa. Al tempo stesso il chavismo deve fare i conti con una crescente e pericolosa burocrazia e quella boliborghesia che insieme hanno causato il pasticcio di Barinas. Inoltre, l’istituzionalizzazione della rivoluzione all’insegna di una crescente cooptazione di movimenti e sindacati non favorisce la dialettica interna al chavismo: su queste contraddizioni potrebbe giocare l’opposizione, se saprà rendersi più presentabile, in vista delle prossime presidenziali. Ad esempio, le organizzazioni sociali evitano di mettere in risalto contraddizioni o errori del governo per non fare il gioco di un’opposizione che resta fondamentalmente antidemocratica. È per questo che l’operazione maquillage della Mud è già cominciata, a partire da una strategia che adesso riconosce Chávez come un leader degno di rispetto, ma gioca sul qualunquismo di quell’elettorato che ritiene incapaci gli attuali governanti.
Infine, un dato statistico, evidenziato anche dal presidente Maduro: su 19 elezioni in 14 anni, la Rivoluzione bolivariana ne ha vinte 18.
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