Argentina: l’inferno delle carceri
Il rapporto della Comisión Provincial por la Memoria (Cpm) sulla situazione delle carceri argentine nel 2013 è impietoso e, allo stesso tempo, preoccupante. Il lavoro della Cpm segnala che le prigioni del paese si caratterizzano sempre più per essere un deposito di poveri cristi dove proliferano torture, maltrattamenti e, più in generale, condizioni di vita insostenibili.
Inoltre, l’impunità è di casa, con i poliziotti dal grilletto facile responsabili di vere e proprie esecuzioni all’interno delle carceri. Il lavoro della Cpm, che prende in considerazione il biennio 2012/2013, ha ricevuto un plauso anche dal Premio Nobel per la pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, che ha lodato l’indagine per aver denunciato le continue violazioni della libertà personale, il mancato rispetto dei diritti umani ed il costante peggioramento della situazione: nelle carceri del paese si rischia la vita. Nel solo 2012, esclusivamente nelle prigioni della Provincia di Buenos Aires, sono morte 123 persone, compresi 16 suicidi. Oltre il 30% delle morti hanno come responsabili gli agenti penitenziari e, sempre negli istituti di pena della sola provincia di Buenos Aires, su 1430 donne detenute ci sono 130 bambini che vivono con loro all’interno delle celle. La lista di denunce relative al deteriorarsi delle condizioni di vita nelle prigioni argentine è lunga. A molti detenuti è negata anche la classica ora d’aria, sono costretti a rimanere reclusi in celle d’isolamento a tempo indeterminato senza alcuna comunicazione, vengono impedite arbitrariamente le visite dei parenti ed i trasferimenti da un penitenziario all’altro sono utilizzati a scopo punitivo. In buona parte delle case di reclusione si fa strada la tolleranza zero e l’utilizzo della mano dura, che si traduce nella quotidiana violazione dei diritti umani fondamentali, come confermato dalla Coordinadora Anticarcelaria di Córdoba. I racconti riportati dalla Coordinadora fanno rabbrividire, ad esempio quello sulla storia del giovane Iván, che ha trascorso la sua vita in varie prigioni del paese vedendosi negati i suoi diritti ineludibili, come quello di ricevere visite dei suoi familiari in più di una circostanza. Il giorno dopo aver visto la figlia di due mesi e la moglie, il ragazzo è stato addormentato dai funzionari del Servizio Penitenziario, che ne hanno disposto il trasferimento ad un altro penitenziario, dove però non è mai arrivato perché è deceduto in carcere. Altri racconti riferiscono di gravi carenze dal punto di vista medico. Nel Seccional 6 di Comodoro Rivadavia due carcerati sono morti intossicati dal fumo sprigionatosi nel padiglione dove si trovavano a causa di un incendio, un episodio simile è accaduto a Rosario, mentre nella Unidad 31 di Florencio Varela (Buenos Aires) la mancanza delle attrezzature mediche è costata la vita ad un’ altra persona. Altro aspetto comune dei penitenziari argentini riguarda la folta presenza di giovani, in gran parte poveri, reclusi all’interno delle strutture carcerarie. Alcune visite a sorpresa del personale Onu nelle carceri bonaerensi hanno tracciato un quadro ancora peggiore: il regime di isolamento dura almeno 23 ore al giorno, per periodi non inferiori a nove mesi, e spesso viene imposto ai prigionieri più indisciplinati. Anche la manutenzione degli edifici non è delle migliori e molti sono in condizioni fatiscenti (in media è presente un bagno ed una doccia per oltre sessanta detenuti), senza contare che in inverno manca il riscaldamento, il cibo è pessimo e le attività ricreative ed educative sono inesistenti, sia per la scarse motivazioni del personale sia per la poca attenzione dedicata all’acquisto del materiale didattico. In carcere restano assai diffusi anche i sistemi di tortura utilizzati dall’equivalente della nostra polizia penitenziaria, dalle botte sul corpo dei detenuti tramite bastoni o i calci delle armi da fuoco alle bruciature imposte con lo spegnimento delle sigarette sulla pelle dei carcerati fino al “submarino” già utilizzato ai tempi della dittatura militare. Un articolo pubblicato sul sito dell’agenzia di notizie on line Rodolfo Walsh evidenzia che la situazione delle carceri argentine è peggiorata sensibilmente, per quanto possa sembrare paradossale, durante gli anni del kirchnerismo, con una morte ogni 37 ore e migliaia di casi di tortura: il numero dei reclusi è il più alto di tutti i governi che si sono succeduti dal ritorno del paese alla democrazia. Cristina Beute, magistrato di Neuquén, in occasione della presentazione del libro Cárceles de Mala Muerte, ha sottolineato come in Argentina esista un piano sistematico di repressione dello Stato e che non sia mai stata prestata particolare attenzione ai soggetti che finiscono in carcere. Secondo Beute, prima di condurre in cella un detenuto, andrebbero verificate almeno le sue condizioni di salute (e, nel caso in cui non siano delle migliori, farlo curare prima in ospedale), accertarsi che sia maggiorenne, tutelare le giovani e giovanissime in stato interessante e che invece vengono sbattute in carcere senza alcuna attenzione. Roberto Cipriano García, ex direttore del Comité contra la Tortura e attuale funzionario della Procuración contra la Violencia Institucional, sostiene che il compito dello Stato dovrebbe essere quello di istituire una serie di politiche istituzionali dedicate espressamente alle carceri, sulle quali finora si è lavorato in maniera esclusivamente repressiva, questo soprattutto a causa della guerra al narcotraffico che in tutto il continente ha finito con il favorire lo stato d’assedio e la militarizzazione dei territori come “eccezioni permanenti”.
L’Argentina, che pure a fatto tanto nel campo dei diritti umani nel corso degli ultimi anni, è rimasta colpevolmente indietro per quanto riguarda le garanzie minime a cui dovrebbero aver diritto di accedere i suoi detenuti, a partire dai penitenziari militarizzati che stridono con un paese che, almeno a parole, cerca di indirizzarsi sulla strada del progressismo.
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