Latina

Il razzismo di Huntington verso i messicani e tutti i latinoamericani

Il grande scrittore messicano Carlos Fuentes ribalta le accuse che Huntington rivolge ai lavoratori messicani negli USA dimostrando come essi siano una ricchezze e non un pericolo per il paese a nord del Rio Grande
25 marzo 2004
Carlos Fuentes - trad. Melektro

Huntington, il razzista mascherato

di Carlos Fuentes
El País - Spagna -- Marzo 2004.


"Il miglior indio è l'indio morto". "Il miglior negro è lo schiavo negro". "La
minaccia gialla". "La minaccia rossa". Il puritanesimo che si incontra alla base
della cultura WASP (bianca, anglosassone e protestante) degli Stati Uniti
d'America si manifesta di tanto in tanto con esclamazioni colorite. A quelli segnalati sopra,
se ne agginge ora, con ilk vigore delle idee semplicistiche che esimono dal pensare
" Il pericolo Bruno". Il suo proponente è il professor Samuel P. Huntington,
instancabile voce di allarme dei pericoli che « l'altro »
rappresenta per il cuore delle fondamenta, bianche, protestanti e anglosassoni
degli Stati Uniti. Il fatto che sia esistita (ed esista) una America (in più
Huntington identifica gli Stati Uniti con il nome di un intero continente)
indigena precedentemente alla colonizzazione europea, non sembra preoccuparlo.
Che prima della anglo America sia esistita una precedente "America" francese (la
Louisiana) e anche una russa (l'Alaska) non gli interessa. La preoccupazione
viene dall'America spagnola, quella di Ruben Dario, che parla spagnolo e crede
in Dio. Questo è l'indispensabile pericolo per una nazione che richiede, per
poter esistere, un identificabile pericolo esterno. Moby Dick, la balena bianca, è
il simbolo di questo atteggiamento che per fortuna, non coinvolge tutti i
nordamericani, includendo tra loro John Quincy Adams, il sesto presidente della
nazione statunitense, che a suo tempo avvertì il proprio paese: "Non andiamo in
giro per il mondo alla ricerca di mostri da distruggere".

Huntington, nel suo « Scontro di civilta' », ha identificato il suo ,così
necessario, mostro esterno (una volta sparita l'Unione Sovietica e il "pericolo
rosso") in un Islam disposto ad assaltare le frontiere dell'Occidente, superando
le prodezze di Saladino, il sultano che catturò Gerusalemme nel 1187, e
superando lui, Huntington, la campagna cristiana che Riccardo Cuor di Leone promosse in Terra Santa 5 anni più tardi.
La crociata anti - islamica di Huntington Cuor di Leone fornì l'immagine di un cuore
profondamente razzista, però allo stesso tempo profondamente ignorante del
veritiero kulturkampf che pulsa all'interno del mondo islamico. L'Islam non è
pronto ad invadere l'Occidente. L'Islam sta vivendo, dall'Algeria all'Iran, la
propria battaglia culturale e politica che contrappone i conservatori e i
liberali islamici. È un combattimento verticale, in profondità, e non
orizzontale, ossia in espansione.

Lo sfruttamento messicano

La nuova crociata di Huntington va diretta contro il Messico e i messicani che
vivono, lavorano e arricchiscono la nazione statunitense. Per Huntington, i
messicani non vivono - invadono; non lavorano - sfruttano e non arricchiscono -
impoveriscono perché la povertà risiede nella loro stessa natura. Tutto questo,
sommato al numero di messicani e latino americani che vivono negli Stati Uniti,
costituirebbe una minaccia per la cultura che Huntington non osa chiamare con il
suo vero nome: la Anglo America protestante di lingua inglese e di razza bianca.

I Messicani invadono gli USA? No: obbediscono alle leggi del mercato del lavoro.
C'è fornitura di forza lavoro messicana perché esiste domanda di lavoro
nordamericana. Se in Messico si arrivasse un giorno al pieno impiego, gli Stati
Uniti dovrebbero trovare in un altro paese la economica manodopera da
utilizzare per i lavori che i bianchi, sassoni e protestanti, per chiamarli come
fa Huntington, non vogliono fare, perché sono passati a stadi superiori della
occupazione, perché invecchiano e perché la economia degli Stati Uniti è passata
dall'era industriale a quella post industriale, tecnologica e informativa.
I messicani sfruttano gli Stati Uniti? Secondo Huntington, sfruttando lui stesso
l'infame Proposal 187 della California che pretendeva di escludere i figli degli
immigrati dall'educazione e i loro padri dall'assistenza medica o sociale, i
messicani costituiscono un ingiusto carico per l'economia del nord:
riceverebbero di più di quello che danno.

Questo però è falso. La California destina un miliardo di dollari all'anno per
educare i figli degli immigrati. Se però non lo facesse - attenzione quindi
Schwarzenegger - lo Stato perderebbe 16 miliardi all'anno in aiuti federali
all'educazione. E in più i lavoratori immigrati messicani pagano ventinove
miliardi di dollari in più di tasse, ogni anno, di quello che ricevono indietro
in servizi.

L'immigrato messicano, lontano dall'essere la zavorra impoverente che Huntington
ritiene, crea ricchezza al livello più basso però anche al più alto. Al livello
lavorativo più umile, la sua espulsione presumerebbe una rovina per gli Stati
Uniti. John Kenneth Galbraith (il nordamericano a cui Huntington non assomiglia)
scrive: "Se tutti gli illegali negli Stati Uniti fossero espulsi, l'effetto
sull'economia nordamericana.sarebbe poco meno che disastroso: frutta e legumi in
Florida, Texas e California non verrebbero raccolti. Gli alimenti salirebbero di
prezzo in maniera spettacolare. I messicani che vogliono venire negli Stati
Uniti, sono necessari e contribuiscono visibilmente al nostro benessere". (La
naturalezza della povertà delle masse)

Al livello superiore, l'immigrato ispanico, ci dice Gregory Rodriguez della
Università di Pepperdine, tiene il più alto numero di salariati per famiglia di
qualunque altro gruppo etnico, così come si contraddistingue per la maggior
coesione famigliare. Il risultato è che, anche se il padre arriva scalzo e
inzuppato, il discendente dell'immigrato arriva a guadagnare livelli di ingresso
comparabili a quelli dei lavoratori asiatici o caucasici. Nella seconda e terza
generazione, gli ispanici sono, in un 55%, proprietari della propria abitazione,
a paragone con il 71% di proprietari bianchi e al 44% di quelli neri.

Questo va aggiunto ai dati del professor Rodriguez, il quale riporta che nella
sola contea di Los Angeles il numero di negozi creati dagli immigrati ispanici
sono saliti dai 57.000 del 1987 ai 210.000 dell'anno passato. Che il potere di
acquisto degli ispanici è aumentato di un buon 65% dal 1990. E che l'economia
ispanoamericana negli Stati Uniti genera quasi quattrocento miliardi di dollari
- più del PIL del Messico.

Sfruttiamo o contribuiamo, signor Huntington ?

Il balcanizzatore messicano

Secondo Huntington, il numero e le abitazioni degli immigrati messicani
finiranno per balcanizzare gli Stati Uniti. L'unità nordamericana è stata capace
di assorbire l'immigrato europeo (includendo gli ebrei e gli arabi, non
menzionati selettivamente da Huntington) perché l'immigrato di lunga data, come
Chaplin nella pellicola omonima, veniva dall'Europa, attraversava il mare ed
essendo bianco e cristiano (e gli ebrei, e gli arabi e adesso i vietnamiti, i
coreani, i cinesi, i giapponesi?) si faceva immediatamente assimilare dalla
cultura anglosassone e dimenticava la lingua e i costumi nativi, cosa che deve
risultare sorprendente agli italiani di "Il Padrino" e ai centroeuropei di "Il
Cacciatore".

No. Solo noi messicani e ispanici in generale siamo i separatisti, i cospiratori
che vogliamo creare una nazione a parte che parli spagnolo, i soldati per la
riconquista dei territori perduti nella guerra del 1848.

Se diamo credito a questa tortilla, ci dobbiamo confrontare con il fatto che la
lingua occidentale più parlata è l'inglese. Considera Huntington che questo
fatto rivela una silenziosa invasione nordamericana del mondo intero? Saremmo
giustificati noi messicani, cileni, francesi, egiziani, giapponesi e indiani a
proibire che si parli inglese nei nostri rispettivi paesi? Stigmatizzare la
lingua castigliana come fattore di divisione praticamente sovversivo rivela, più
di qualunque altra cosa, l'animo razzista, questo sì fonte di divisioni, e
provocatore del professor Huntington.

Parlare una seconda (o terza o quarta lingua) è segno di cultura in tutto il
mondo meno, pare, che nell'eden monolinguistico che si è inventato Huntington.
Stabilire il requisito della seconda lingua negli Stati Uniti (come accade in
Messico e in Francia) ridurrebbe gli effetti satanici che Huntington attribuisce
alla lingua di Cervantes. Gli ispanici negli Stati Uniti non formano dei blocchi
impermeabili e neppure aggressivi. Si adattano rapidamente all'inglese e
conservano, a volte, il castigliano, arricchendo l'accettato carattere
multietnico e multiculturale degli Stati Uniti. In ogni caso, il monolinguismo è
una infermità curabile. Moltissimi di noi latino americani parliamo inglese
senza temere alcun contagio. Huntington presenta gli Stati Uniti come un gigante
tremante di fronte all'attacco dello spagnolo. E' la tattica di paura
dell'altro, tanto favorita dalle mentalità fasciste.

No: il messicano e l'ispano in generale contribuiscono alla ricchezza degli USA,
tanto di più di quello che ricevono, desiderano integrarsi alla nazione
nordamericana, contribuiscono ad attenuare l'isolazionismo culturale che tanti
disastri internazionali porta ai governi di Washington, propone una
diversificazione politica alla quale hanno contribuito e contribuiscono gli
afroamericani, i "nativi" indigeni, gli irlandesi e i polacchi, i russi e gli
italiani, gli svedesi e i tedeschi, gli arabi e gli ebrei.

Il pericolo messicano

Huntington mette all'ordine del giorno un datato razzismo antimessicano che ho
conosciuto ampiamente da ragazzo, mentre studiavo nella capitale nordamericana.
La " Volume Library" , una enciclopedia di un solo tomo pubblicata nel 1928 a
New York, riportava testualmente: "Una delle ragioni della povertà in Messico è
la predominanza di una razza inferiore". "Non si ammettono cani o messicani",
proclamavano nelle loro vetrine numerosi ristoranti del Texas negli anni Trenta.
Oggi, l'elettore latino viene sedotto in uno spagnolo misto a inglese da parte di molti
candidati, tra i quali Gore e Bush nella passata elezione. E' una tattica
elettorale (come la proposta sull'immigrazione di Bush della settimana scorsa).

Però per noi, messicani, spagnoli e ispanoamericani, la lingua è un fattore di
orgoglio e di unità, questo è certo: la parliamo in 500 milioni di uomini e
donne in tutto il mondo. Però non è un fattore di paura o di minaccia. Se
Huntington teme una balcanizzazione ispanica degli Stati Uniti e incolpa
l'America Latina di mostrare scarsa propensione per il governo democratico e lo
sviluppo economico, noi possiamo rispondere che siamo coesistiti senza
separatismi nazionalistici dall'alba dell'Indipendenza.

Forse ci unisce quello che Huntington pensa che ci separi: la multiculturalità
della lingua castigliana. Noi ispanoamericani siamo, allo stesso tempo ispanici,
indoeuropei e afroamericani. E discendiamo da una nazione, la Spagna, incomprensibile
senza considerare la sua molteplicità sia di razze che
linguistica, celtiberica, greca, fenicia, romana, araba, ebrea e goto. Parliamo
una lingua di radice prima celtiberica e poi latina, arricchita da una grande
quantità di parole arabe e strutturata dagli ebrei del tredicesimo secolo nella
corte di Alfonso il Saggio.

Con tutto questo, guadagniamo e non perdiamo. Chi perde è Huntington, isolato
nel suo immaginario campo di purezza razzista, anglo parlante, bianca e
protestante - anche se la sua generosità arriva ad estenderla, graziosamente, al
"cristianesimo". Perché sicuramente Israele e l'Islam sono pericoli tanto
condannabili come il Messico, l'America Ispanica e per estensione, anche la
Spagna di oggi, colpevole secondo Huntington di indesiderate incursioni negli
antichi territori della Corona.

Domanda oziosa: quale sarà la prossima Moby Dick del Capitan Ajab Huntington?

Note: Articolo apparso sul El Pais http://www.elpais.es il 23 marzo 2004

Tradotto da Melektro a cura di Peacelink

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