Latina

Documentario di Milena Annecchiarico sulla comunità afrodiscendente argentina

Los argentinos también descendemos de esos barcos

L'antropologa indaga sul legame storico e culturale dell'Argentina con l'Africa
3 febbraio 2014
David Lifodi

internet Los argentinos también descendemos de esos barcos (“Noi argentini discendiamo anche da quelle navi”) è un documentario di Milena Annecchiarico, dottoranda in Antropologia presso l’Istituto di Scienze Antropologiche dell’Università di Buenos Aires e ricercatrice presso il Consejo Nacional de Investigación Científica y Técnica di Buenos Aires, dedicato ad indagare comunità afrodiscendente argentina e sul legame storico e culturale dell’Argentina con l’Africa.

Il lavoro di Milena, specializzata in studi antropologici, culturali ed etnologici, indaga sulla presenza in Argentina degli afrodiscendenti ed ha il merito di far luce sul processo di blanqueamiento del paese sancito anche da un articolo della Costituzione del 1853. “La migrazione europea verso l’Argentina a partire dal secolo XIX”, spiega l’autrice del documentario, corrisponde ad un piano preciso di <<civilizzazione>> del paese, che allora era abitato prevalentemente da discendenti di africani schiavizzati, indigeni e meticci”. Eppure, come si è resa conto Milena lavorando nel corso della sua indagine, sono gli stessi argentini a chiedersi: “ma dove sono gli afrodiscendenti?”. Il merito di Milena, e del suo documentario, è quindi quello di dare voce ad una realtà  resa invisibile dai media, a partire dagli attivisti afro di Buenos Aires che lottano contro la discriminazione razziale. Presentato in Messico, Cuba, Argentina, ma anche in Italia, sia in ambiti associativi sia in quelli accademici e più strettamente cinematografici, vincitore del Premio del pubblico come mome miglior cortometraggio nel concorso internazionale Documentamy 2013 Film Studio 90, il documentario sociale fa emergere degli aspetti inediti e sconosciuti degli afrodiscendenti argentini, almeno 140mila secondo l’ultimo censimento. Federico Pita, presidente del comitato Diaspora Africana de la Argentina, si definisce un “figlio del continente africano nato fuori dal continente africano”. Il processo di sparizione degli afrodiscendenti dalla memoria nazionale argentina è evidenziato anche dall’antropologa Alicia Martin, che ha sottolineato, come del resto Milena, una politica di stato che, a partire dall’800, “ha teso a favorire la razza bianca come portatrice di progresso”. È grazie al paziente lavoro dei giovani investigatori sociali nell’ultimo decennio, tra cui Milena Annecchiarico, che la questione afro ha cominciato ad essere ritenuta degna di cittadinanza. Ad esempio, al Museo del Bicentenario di Buenos Aires, che raccoglie duecento anni di storia nazionale, la presenza degli afrodiscendenti è poco più che marginale.La historia argentina invisibilizó gli afrodiscendenti, sottolinea con disappunto la diplomatica argentina Maria Fernanda Silva, eppure le radici dell’Argentina sono anche nere.

Di seguito, trascrivo un’intervista a Milena Annecchiarico sull’attuale situazione degli afrodiscendenti argentini, sui motivi che l’hanno spinta ad indagare sul legame storico e culturale tra Argentina e Africa e sulla storia delle migrazioni nel paese latinoamericano.

 

Come sei venuta a conoscenza della questione degli afrodiscendenti in Argentina e qual è l’attuale percezione degli argentini rispetto agli afrodiscendenti?

Ho iniziato a interessarmi di comunità afrodiscendenti in America Latina durante l’università. Ho svolto due ricerche a Cuba e attualmente sto facendo il Dottorato in Antropologia a Buenos Aires su politiche culturali e afrodiscendenti. Mi sono chiesta come mai qui in Argentina pare che non ci siano discendenti di africani portati come schiavi, se durante il secolo XIX quasi la metà della popolazione era nera e meticcia. Che l’Argentina sia un paese bianco è infatti il discorso dominante, di cui parlo nel documentario “Noi argentini discendiamo anche da quelle navi”, e riflette la percezione generale della società su questo tema. Molte testimonianze di argentini neri raccontano come per strada nessuno li riconosca come argentini: se sei nero, sei per forza straniero, per esempio brasiliano. Anche io durante la mia ricerca, mi sento spesso chiedere “e dove sono gli afrodiscendenti?” come se uno si aspettasse di vedere una comunità nera come ce ne sono in altri paesi latinoamericani. Ci sono diversi fattori che contribuiscono a creare questa situazione: il meticciato (mestizaje), per cui essere afrodiscendenti non significa necessariamente avere la pelle nera; la discriminazione razziale come ideologia naturalizzata in molte pratiche sociali, per cui il colore nero è associato alla negatività e pericolosità. Dobbiamo anche considerare che le categorie razziali che si usano in America Latina dall’epoca coloniale (negro, indio, mulatto ecc.) non si basano unicamente nella discendenza, come invece avviene negli Stati Uniti (dove vale la regola di “una goccia di sangue”), ma anche nelle caratteristiche fisiche (colore della pelle, tratti somatici) e la classe sociale (abbinata ai quartieri di residenza e il tipo di lavoro svolto). La mancanza di riconoscimento verso la “terza radice” di questo paese latinoamericano, si intreccia con le politiche e i modelli culturali di un paese che guarda da sempre all’Europa bianca e cattolica come modello di civiltà. Abolita la schiavitù, a metà del secolo XIX, pare che improvvisamente i neri siano scomparsi nel nulla. Non se ne sentirà più parlare. La storia ufficiale dice che sono morti tutti in guerre o per epidemie. Come dice anche che i popoli indigeni si sono estinti e oggi rimane solo qualche piccola comunità sperduta. Del meticciato non se ne parla se non in relazione al mito del “crizol de razas” europee. Eppure ci sono molte esperienze di resistenza delle comunità indigene e dei movimenti afro; ci sono testimonianze dirette di famiglie afroargentine, attivisti impegnati nella lotta contro il razzismo, studiosi che intrecciano i fili strappati della storia e della cultura del paese, artisti che rivendicano gli elementi afro della musica popolare. Sicuramente ci attende molto lavoro scientifico, politico e di attivismo sociale per dare forma e continuità a questo progetto di un’Argentina più giusta per tutti.

Pensi che in Argentina ci sia attualmente una situazione preoccupante come in Brasile, dove la popolazione afro è presente in misura assai maggiore, ma ancora oggi è fortemente discriminata?

Le comunità afro in America Latina sono tra le più vulnerabili all’interno dei singoli stati nazionali, per cui non c’è nessuna legislazione efficace che ne garantisca i diritti fondamentali. In Argentina non ci sono ghetti di popolazione nera come in Brasile o in Colombia, nelle baraccopoli non abitano solamente argentini di pelle più o meno scura, ma soprattutto immigrati di paesi vicini come boliviani e paraguaiani. Tutti condividono una uguale situazione di marginalità, povertà e discriminazione. Così come le elite nazionali sono quasi sempre state bianche e cattoliche. Questa situazione ha a che fare con un’eredità coloniale che non è stata ancora superata: la linea del colore corrisponde quasi sempre alla linea del potere. A questo sommiamo che l’alterità per eccellenza per il bianco è la negritudine: ogni nazione latinoamericana infatti ha cercato di eliminare dalla propria geografia umana questo colore. Chi ghettizzando, come il Brasile, chi facendo “sparire”, come l’Argentina. In entrambi i casi, l’ideologia razziale e di classe prosperano. L’aria però sta cambiando e i governi attuali cercano di far fronte a questi problemi. Se guardiamo l’Argentina, c’è un interesse rinnovato da parte dello stato argentino per riconoscere e includere la popolazione afro. Nel censimento del 2010 è stata inclusa la domanda sull’afrodiscendenza, il cui risultato non è solo un dato statistico, che pare essere inferiore al numero reale, ma soprattutto politico: dopo un secolo di “inesistenza”, oggi l’Argentina contempla questa nuova categoria di cittadinanza soggetto di diritto. È così che interi paesini di provincia o quartieri di periferia hanno un nuovo volto statistico: sono afrodiscendenti. Ma chi sono gli afrodiscendenti? Come ci si riconosce tali? Definire le identità culturali individuali e collettive è da sempre un problema, non solo dal punto di vista antropologico, ma anche politico. Il termine afrodiscendenza è stato proposto nel World Conference against Racism di Durban nel 2001, per riferirsi in modo “politicamente corretto” alle popolazioni discendenti da africani schiavizzati durante il colonialismo. Nella dichiarazione di Durban si spronano gli stati coinvolti nella tratta transatlantica che contano con popolazione afrodiscendente, ad operare misure di riparazione nei loro confronti. Senza entrare qui nel merito delle ambiguità, problemi e contraddizioni che ne derivano, possiamo forse intravedere in queste interferenze internazionali una spinta per iniziare finalmente a parlare delle conseguenze della schiavitù anche qui in Argentina.

 

L’attuale governo argentino nel febbraio 2013 ha regolarizzato alcune migliaia di migranti senegalesi, ma in precedenza il progetto di un’Argentina bianca ed europea è stato avallato allo stesso modo sia dai militari sia dal ritorno in democrazia?

Gli attuali migranti africani, soprattutto senegalesi, iniziano ad arrivare in Argentina negli anni ’90 e in questi ultimi anni il numero è sensibilmente cresciuto, tanto che oggi ci sono associazioni di senegalesi residenti in Argentina, come anche associazioni che uniscono le rivendicazioni delle diverse diaspore africane, dai migranti africani e afrolatinoamericani  agli afroargentini. Il principale problema che i migranti senegalesi e di altre nazionalità incontrano è la difficoltà di ottenere i documenti, poiché non esistono accordi bilaterali e neppure esistono rappresentanze diplomatiche tra i paesi. Il piano di regolarizzazione del 2012 è una mossa positiva da parte del governo per regolarizzare questi migranti, che hanno scelto l’Argentina come meta di lavoro e di residenza, prendendo un po’ tutti di sorpresa. La storia delle migrazioni in terra Argentina e le relative legislazioni è articolata e molto interessante, quella che conosciamo di più è sicuramente quella dall’Italia che attualmente si sta ravvivando. Come viene accennato nel documentario, la migrazione europea verso l’Argentina a partire del secolo XIX, è un piano preciso di “civilizzazione” del paese che allora era abitato prevalentemente da discendenti di africani schiavizzati, indigeni e meticci. Bisognava “bianchizzare” (blanquear) il paese per essere all’altezza dei modelli europei, questo era in poche parole il progetto politico alla base della neonata nazione argentina. Il riflesso più chiaro lo troviamo in un articolo, ancora vigente, della Costituzione del 1853. L’articolo dice a chiare lettere che lo Stato argentino fomenterà la migrazione europea. Perché? Proprio per realizzare il progetto civilizzatore bianco ed europeo, anche se si guardava agli stati del nord Europa più che a quelli del sud, che furono poi i principali fornitori di migranti. I tempi sono cambiati, ma il modello culturale alla base di questi progetti rimane intatto. La discriminazione e la difficoltà di inserimento lavorativo degli africani, così come degli argentini afrodiscendenti, indigeni e meticci, come anche dei migranti dei paesi latinoamericani più poveri, è all’ordine del giorno. Ripeto però, oggi c’è un’inversione di tendenza, speriamo sostanziale e non solo formale, per affrontare questi problemi, ci sono molte alleanze felici tra diversi settori della società che mirano a questo.

Attualmente i movimenti sociali argentini (dai piqueteros alle madres) lavorano e si interfacciano con quelli degli afrodiscendenti?

Ci sono interessanti alleanze tra i diversi movimenti sociali argentini, compreso il movimento afro, di cui fanno parte sia argentini di origine africana che immigrati africani e latinoamericani. In questi ultimi dieci-quindici anni,  l’attivismo afro argentino si inserisce nel campo delle rivendicazioni sociali e dei diritti, con singole esperienze di militanza e specifiche alleanze politiche. Il panorama è così articolato e variegato che è difficile inquadrarlo sinteticamente. A modo di esempio, cito il caso di un interessante spazio di movimenti popolari, che si trova in pieno centro di Once, quartiere commerciale storico della capitale dove coesistono negozianti ebrei, venditori ambulanti senegalesi, boliviani, argentini. Nello spazio in questione, hanno la propria sede diversi gruppi politici, associazioni di donne migranti, associazioni di immigrati africani e afrolatinoamericani, radio comunitarie e altre realtà, in stretto contatto anche con le associazioni di diritti umani come Madres de Plaza de Mayo. Si tratta insomma di uno spazio con una gran attività politica, sociale, artistica, culturale, in cui interagiscono anche associazioni del movimento afro di Buenos Aires.

Quali sono gli artisti, gli attivisti e gli intellettuali che attualmente sono impegnati per combattere contro la discriminazione razziale?

È una domanda un po’ complessa, che mi porta ad altre domande, prima fra tutte: cosa implica la discriminazione razziale? Che consapevolezza c’è su questo fenomeno? Rimanendo nel contesto del movimento afro argentino, ci sono diversi artisti, attivisti e intellettuali che non sempre vanno nella stessa direzione e non sempre la direzione è la lotta alla discriminazione razziale. Ci sono azioni e discorsi, sia da parte del mondo politico, che artistico e intellettuale, che affermano stereotipi invece di combatterli. La questione razziale è un argomento che non si affronta come si dovrebbe, è un’ideologia naturalizzata nelle pratiche sociali, nel linguaggio, nella stratificazione sociale, nelle relazioni interpersonali. Anche da parte dell’accademia c’è molta poca riflessione a riguardo, in particolare negli studi storici, sociologici e antropologi, contesto che mi riguarda da vicino. Ultimamente ci sono iniziative interessanti da parte di alcuni artisti, attivisti e intellettuali che sicuramente vogliono contrastare questo panorama generalizzato. Nel campo politico, ci sono iniziative statali di denuncia verso ogni forma di discriminazione, per esempio le attività che porta avanti l’INADI (Istituto Nacional contra la Discriminación, la Xenofobia y el Racismo), la recente creazione di una segreteria ministeriale per afrodiscendenti, campagne per l’uso politicamente corretto del linguaggio nei media, ed altro ancora. Ci sono poi interessanti esperienze di attivismo e di produzione artistica, organizzazioni culturali e politiche, gruppi musicali e di artisti in diverse province, da Buenos Aires, a Cordoba, Corrientes, Santa Fe, Tucumán, Santiago del Estero. Ad esempio, c’è un videoclip della campagna internazionale “Rap contra el racismo”, realizzato nel 2012 dall’associazione DIAFAR (Diaspora Africana dell’Argentina) assieme a cantanti argentini e internazionali del movimento hip-hop. Rimanendo nell’ambito cinematografico, cito due documentari, El ultimo quilombo (Alberto Masliah, Argentina 2012) che parla di una comunità afroargentina di Santiago del Estero, e David y el gran río(Rubén Plataneo, Argentina 2009), dove si racconta la storia di un migrante africano giunto nel paese sudamericano dopo un lungo viaggio su una nave. Penso che queste esperienze e riflessioni siano interessanti anche per poter pensare cosa avviene in Italia, dove la questione razziale appare anche qui naturalizzata e si intreccia con le problematiche legate ai migranti. Per combattere il razzismo, va operato un cambio profondo dei modelli culturali, delle pratiche sociali (ad esempio il linguaggio, soprattutto quello che si utilizza nei media), dei miti e dei tabù collettivi che lo alimentano. E questo vale anche per l’ Italia, anche se ovviamente è un contesto diverso: un medico africano che lavora negli ospedali è ancora oggi considerato “fuori posto” nel sistema sanitario italiano, lo stesso accade per ministri, politici, calciatori ecc. neri, bersaglio  di un razzismo perverso. Il lato peggiore del razzismo è quando si naturalizza e si banalizza, quando non si vede.

 

Los argentinos también descendemos de esos barcos

di Milena Annecchiarico

Buenos Aires, Argentina, 2013

Note: Articolo tratto da http://danielebarbieri.wordpress.com/
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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