Guatemala: il processo a Ríos Montt riprenderà solo nel 2015
In Guatemala è in atto un vero e proprio processo di revisionismo storico: dall’annullamento del processo che condannava ad 80 anni di carcere il generale Ríos Montt alla negazione del genocidio maya da parte di pseudo storici con il sostegno di una parte della magistratura ancora legata al dittatore e a quell’oligarchia che continua a giustificare l’operazione “Terra bruciata” e i piani militari Victoria 82 e Firmeza 83, attuati ufficialmente per contrastare l’allora movimento guerrigliero, ma in realtà per sterminare le comunità indigene (ma anche movimenti sociali e militanti legati alla Pastorale Sociale) accusate di collaborare con gli insurgentes.
La debolezza della giustizia guatemalteca ed uno stato che ha sempre rifiutato di dichiarare le sue responsabilità per il lunghissimo conflicto armado interno che ha caratterizzato la vita del paese tra il 1960 e il 1996 hanno fatto il resto: questo è il senso del comunicato della ong Impunity Watch, che evidenzia come in oltre 30 anni i responsabili delle violazioni commesse ai danni dei civili non siano mai stati puniti. La condanna di Ríos Montt (attualmente agli arresti domiciliari) nel maggio di quest’anno, annullata solo dieci giorni dopo dalla Corte Costituzionale, è stato un duro colpo inferto alla storia di questo paese, ma soprattutto influisce, in negativo, sulla formazione culturale e politica dei giovani guatemaltechi, ai quali viene costantemente negato il diritto alla verità. La denuncia di Impunity Watch, organizzazione non governativa dei Paesi Bassi, arriva a seguito dei sempre più frequenti allarmi provenienti dai gruppi che si occupano dei diritti umani in Guatemala. Il processo a carico di Ríos Montt, che adesso ha 87 anni e di fatto è riuscito a trascorrere tutta la sua vita all’insegna della più completa impunità, riprenderà solo il 5 gennaio 2015: fino ad allora, sembra che la giustizia guatemalteca sia oberata di appuntamenti, così tanti da impedire la ripresa del giudizio nei confronti di uno dei militari più sanguinari del continente latinoamericano. Alla fine dello scorso dicembre il generale golpista guatemalteco, che governò il Guatemala con il pugno di ferro tra il 1982 e il 1983, è stato inserito dalle Nazioni Unite nella poco edificante lista dei dittatori più sanguinari del paese. Eppure Ríos Montt gode tuttora di una certa popolarità, soprattutto tra quell’elite reazionaria che ne ha sempre approvato i suoi metodi spicci in nome dell’ossessione anticomunista: il militare guatemalteco, per almeno quindici anni, è riuscito ad evitare di fare i conti con la giustizia grazie alla sua elezione come deputato al congresso e poi come candidato presidenziale. Inoltre, Ríos Montt ha chiesto ai suoi avvocati di perorare l’amnistia decretata nel 1986 per tutti i militari responsabili del genocidio maya e della guerra sporca contro le organizzazioni popolari. Tra i tanti crimini di guerra che gli sono stati imputati, quello per il quale era stato condannato il militare riguardava l’assassinio di 1771 indigeni ixiles, ritenuti simpatizzanti della guerriglia e quindi “nemici dello stato”. In tutto questo, da luglio 2013 hanno ripreso vigore le teorie dello storico negazionista statunitense David Stoll, che in numerose interviste ha sostenuto che non è corretto parlare di genocidio maya, quanto piuttosto di una guerra tra due eserciti, quello dello stato e quello della guerriglia, con la popolazione civile in mezzo ai due fuochi. Come è facile immaginare, la teoria di Stoll ha ricevuto subito l’appoggio dei finqueros, dei militari e della borghesia guatemalteca, riunite sotto le bandiera del Comité Coordinador de Asociaciones Agrícolas, Comerciales, Industriales y Financieras (Cacif). Lo storico più volte ha ribadito di credere alle dichiarazioni di Montt, il quale ha sempre affermato di non aver mai ordinato i massacri sostenendo che i comandanti dei battaglioni dell’esercito agivano ciascuno autonomamente. Il principale libro di Stoll, Entre dos ejércitos en los pueblos ixiles de Guatemala, risale al 1993, ma lo storico, con una certa furbizia, è riuscito a propagandare le sue teorie revisioniste, tra cui quella in base alla quale la causa della violenza nel paese risale alla presenza dell’Ejército Guerrillero de los Pobres (Egp). Nemmeno un accenno, da parte di questo pseudo antropologo, alla violenza e alle persecuzioni di stato nei confronti delle comunità indigene, ritrovatesi, secondo lui, nella cosiddetta in-between position, cioè tra esercito e guerriglia. E ancora, Stoll denuncia più volte l’assassinio di esponenti della borghesia locale da parte dell’Egp, ma non dedica nemmeno un accenno ai crimini commessi da Ríos Montt, citato addirittura come colui che avrebbe messo un freno al dilagare della violenza. In questo contesto ne ha approfittato per scagionarsi anche l’attuale presidente guatemalteco, Otto Pérez Molina, all’epoca dei fatti peraltro tra i militari più sanguinari e responsabile, tra il 2012 e il 2013, della violenta repressione dell’esercito a Totonicapán e a Santa Cruz Barillas, dove le comunità indigene erano scese in piazza per fermare i progetti di estrazione mineraria e di costruzione delle centrali idroelettriche. In entrambi i casi, l’esercito ha sparato sui manifestanti provocando numerosi morti, ma Pérez Molina ha giustificato la feroce repressione dello stato come un aspetto dei conflitti di carattere etnico, religioso e politico che attraversano il paese. Di recente, sempre l’attuale presidente guatemalteco è tornato a negare il genocidio maya di fronte al giornalista della Cnn in lingua spagnola Fernando del Rincón. Per Molina, l’unica strada percorribile per giungere ad una definitiva pacificazione nazionale è quella della reconciliación sin mirar al pasado: lo stato intende cioè far cadere nell’oblio tutte le atrocità che ha commesso per cancellare la memoria dei sopravvissuti, testimoni dei massacri dell’esercito. Quella che lo scorso maggio era stata definita una giornata storica per i diritti umani, la condanna di Ríos Montt per mano della giudice Jazmí Barrios, è stata cancellata per la necessità di esaminare con maggiore attenzione i ricorsi presentati dalla difesa. Sotto la presidenza Montt una parte della popolazione ixil fu obbligata a fuggire verso le montagne, un’altra fu rinchiusa nelle “città modello”, dei veri e propri campi di concentramento, e un’altra fu massacrata
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