Latina

La polizia comunitaria è nata dal fallimento dello stato nella lotta al crimine organizzato

Messico: nel Michoacán le Autodefensas Comunitarias combattono contro i narcos

Gli aspetti in chiaroscuro dei gruppi dei civili armati
23 marzo 2014
David Lifodi

internet

A gennaio lo stato messicano di Michoacán è finito anche sui giornali italiani: i gruppi di civili armati che hanno combattuto, armi in pugno, contro alcuni dei più potenti cartelli dei narcos del paese, sono stati però derubricati ad un semplice, quanto bizzarro, fatto di cronaca. Alcuni hanno intravisto nella ribellione delle Autodefensas Comunitarias delle similitudini con lo zapatismo, altri ne hanno evidenziato degli aspetti in chiaroscuro, ma tutti concordano su un aspetto: il fallimento delle istituzioni di fronte allo strapotere del narcotraffico.

Los Caballeros Templarios, il gruppo di narcotrafficanti che certo non si aspettava una reazione così decisa della società civile, è sorto poco più di due anni fa per contendere ai rivali di Familia Michoacana il mercato della marijuana e non solo. La guerra tra i due cartelli ha causato morte e devastazione, fin quando, almeno un anno prima che scoppiasse la guerra aperta, i civili hanno cominciato ad organizzarsi secondo modalità (para)militari. La rivolta delle Autodefensas non era indirizzata solo contro i narcos, ma anche nei confronti di uno Stato incapace di mettere a freno le attività dei cartelli. Inoltre, denunciano i gruppi di autodifesa comunitaria, lo stato ha approfittato della pseudo guerra condotta contro il narcotraffico per militarizzare ampia zone del paese. In realtà le Autodefensas, definite anche policías comunitarias, sono presenti in almeno undici stati (principalmente Michoacán, Guerrero e Chiapas), e un centinaio di municipi messicani. In Michoacán (situato nella parte centrale del Messico) i civili armati sarebbero almeno 25mila, godono del sostegno di un’ampia fascia della popolazione e si tratta principalmente di immigrati messicani che hanno deciso di tornare al loro paese per combattere contro il crimine organizzato. Del resto, il tentativo delle istituzioni di disarmare i cartelli criminali tramite l’utilizzo dell’esercito è stato inutile, anzi, in termini di vite umane a rimetterci sono stati principalmente i civili. L’autogestione della sicurezza è uno strumento utilizzato non in chiave securitaria, e nemmeno ha i connotati delle ronde, ma nasce da una constatazione: il governo del paese (e dello stato) sono nelle mani di una minoranza corrotta, sfruttatrice e oppressiva, di conseguenza l’autodifesa è necessaria. La nascita delle Autodefensas è percepita, quindi, come una sorta di operazione di giustizia sociale, ed è per questo motivo che in molti hanno intravisto nella policía comunitaria un movimento insurrezionale di origine popolare caratterizzato da un forte ideale di giustizia sociale. In effetti, il potere centrale ha mantenuto un rapporto quantomeno ambiguo con le Autodefensas: ad esempio, in più di una circostanza, l’esercito ha catturato alcuni narcotrafficanti con l’ausilio della polizia comunitaria, salvo poi disporre l’arresto dei suoi leader. Eppure la guerra tra i narcos e le Autodefensas è stata aspra. Oltre un anno fa, quando ancora la guerra tra i cartelli della droga e i gruppi di civili michoacani armati non era scoppiata in tutta la sua forza, su alcuni ponti della capitale dello stato, Morelia, sono apparsi degli striscioni, firmati Los Caballeros Templarios, su cui era scritto: Terminen con la farsa de las policías comunitarias. Una vera e propria dichiarazione di guerra che, peraltro, ha rischiato seriamente di ritorcersi contro i narcos: se non fosse stato per l’intervento dell’esercito, le Autodefensas sarebbero riuscite a liberare militarmente diverse città dal predominio dei cartelli, a partire da Apatzingán. Da un lato la polizia comunitaria michoacana è sorta denunciando i problemi strutturali del Messico secondo le ragioni tipiche del pensiero indigeno e contadino (dal furto delle risorse naturali ai traffici poco chiari tra borghesia e settori dello stato paramafiosi), ma al tempo stesso, riflette Luis Hernández Navarro (firma storica del quotidiano La Jornada e studioso dei movimenti sociali), le Autodefensas finiscono per essere parte di una strategia governativa, non il risultato della sua carenza. Contemporaneamente, la nascita di questo nuovo movimento sociale armato mette in dubbio la prerogativa dell’esercizio della violenza, di cui finora si erano fatti esclusivi portatori e detentori i cartelli della droga e i militari dello stato. È altrettanto innegabile che le Autodefensas non abbiamo mai manifestato un’ideologia opposta a quella del sistema che intendono smantellare con le armi, né hanno mostrato delle tendenze rivoluzionarie, ma è evidente che si sono conformate come un nuovo potere regionale alternativo sia ai poteri pubblici sia a quelli delle bande criminali, nota ancora Luis Hernández Navarro. Allo stesso tempo, di fronte allo slogan, seppur parafrasato, di guevariana memoria, Crear dos, tres, muchos Michoacán, lo Stato ha giocato, sotto certi aspetti la carta della cooptazione: è in questo contesto che alcuni leader della polizia comunitaria hanno deciso di entrare a far parte dell’esercito come cuerpos de defensa rurales. Di certo, ha ragione l’intellettuale messicano Gustavo Esteva che, sempre su La Jornada, ha scritto che “in Messico siamo sprofondati in una melma sociale e politica nella quale risulta impossibile distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni”.

Una cosa, però, è certa: il Messico è da tempo sul punto dell’esplosione sociale: bisognerà vedere quali sono gli attori che se porranno a capo e quale indirizzo intenderanno darle.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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