Latina

Allo studio un piano economico che cancelli tutte le conquiste sociali del processo bolivariano

Venezuela: falliscono le guarimbas, si tenta la strada del golpe suave

Il governo bolivariano resiste di fronte a molteplici tentativi di destabilizzazione
31 marzo 2014
David Lifodi

internet Ad oltre un mese dalle proteste di piazza che hanno cercato di destabilizzare il Venezuela e dare la spallata finale al presidente Nicolás Maduro, i sondaggi dicono che non più del 10% della popolazione è d’accordo con le manifestazioni violente e con le guarimbas, le barricate alzate in alcune zone della città per creare il caos e dimostrare, in patria e all’estero, che nel paese esiste una crisi politica insanabile e che l’unica soluzione è il rovesciamento del Parlamento e di un governo che, peraltro, godono entrambi della piena legittimità popolare.

In questa situazione di colpo di stato permanente, sono risuonate, nei quartieri bene di Caracas e sulle tv private vicine all’opposizione, parole d’ordine ormai insensate, ma che l’estrema destra ha utilizzato per far presa sulla popolazione e incitare i venezuelani alla rivolta, come castro-chavismo o castro-comunismo. Le parole e le comunicazione hanno il loro peso, certo, ma se anche un sindaco che appartiene fieramente all’opposizione, Miguel Cocchiola, primo cittadino della città di Valencia, si dice pronto a partecipare alla Conferencia de la Paz promossa da Maduro, significa che ancora una volta, come in passato, l’opposizione ha miseramente fallito nel suo tentativo di rovesciare il governo bolivariano e consegnare il suo paese a Washington e all’oligarchia locale. La chiamata al dialogo da parte di Cocchiola smentisce i propositi bellicosi di un’opposizione che continua a rimanere battagliera e, come scrive l’analista politica argentina Stella Calloni, adesso cerca la strada del golpe suave: non più provocazioni e violenze di piazza, ma sostegno alle cosiddette contrarreformas affinché paralizzino il processo bolivariano. E allora la mutante opposizione venezuelana, riunita sotto la Mesa de la Unidad Democrática (litigiosa al suo interno e composta da forze assai diverse tra loro, dai fascisti di Voluntad Popular guidati da Leopoldo Lopez agli abitanti dei quartieri chic di Caracas, fieramente anticomunisti, ma stufi delle proteste), sceglie di sospendere o comunque ridurre le guarimbas e puntare tutto sulla liquidazione delle conquiste sociali, economiche e politiche del proceso bolivariano. Ai provocatori come Leopoldo Lopez e al picchiatore Henrique Capriles (lo sfidante di Chávez e Maduro alle presidenziali, sempre sconfitto) che in passato assaltava l’ambasciata cubana in Venezuela, ma che adesso ha scelto di indossare i panni dell’oppositore responsabile e democratico, si sostituisce Lorenzo Mendoza, uno dei più potenti imprenditori del paese. Mendoza ha proposto a Maduro un nuovo programma di governo, articolato in 12 punti pressoché irricevibili. Tra i principali, l’annullamento della Ley Orgánica del Trabajo, il pagamento di un supposto debito in dollari e la cancellazione della Ley de Precios Justos. Il presidente del Venezuela e il chavismo finora hanno vinto solamente una delle tante battaglie a difesa del mantenimento della democrazia, ma la strada resta impervia: la proposta economica di Mendoza può mettere in crisi le conquiste sociali bolivariane e, in un paese che resta fortemente polarizzato, finché non emergerà chiaramente un vincitore tra i due contendenti, la borghesia cercherà di nuovo di far inciampare Nicolás Maduro e con lui tutto il socialismo latinoamericano del XXI secolo. L’oligarchia vuol recuperare il controllo delle ricchezze petrolifere e, pur di farlo, ha accettato di buon grado di assumere le sembianze di una derecha con look de izquierda, per utilizzare un termine coniato dal giornalista uruguayano Raúl Zibechi, uno dei più lucidi intellettuali dell’America Latina. Zibechi scrive che, nel tentativo di destabilizzare un governo popolare come quello di Maduro, la destra ha dato l’impressione di condurre proteste legittime per far cadere un presidente democraticamente eletto. In molti, tra i suoi colleghi giornalisti, hanno abboccato, o hanno finto di farlo. Una dichiarazione del ministro degli Interni, Miguel Rodriguez Torres, riportata tempo fa sul quotidiano il manifesto, denunciava che, pur di esigere la salida di Maduro, i fascisti di Voluntad Popular erano giunti ad offrire una paga di 5000 bolivar a settimana alla criminalità comune affinché partecipasse alle proteste di piazza antichaviste. Proprio per mano di un mercenario, che le ha sparato un colpo di pistola alla nuca, è morta Gisella Rubilar Figueroa, figlia di un docente cileno rifugiatosi in Venezuela per sfuggire al regime di Pinochet. Eppure, sui grandi media passa un’unica voce, quella di un governo che reprime le legittime proteste dell’opposizione. Nessuno si preoccupa di segnalare, come ha sottolineato l’economista Manuel Sutherland, che gli scontri di piazza sono causati da piccoli gruppi di studenti delle università private, da lavoratori con redditi significativi e da una borghesia che non accetta di perdere privilegi che, peraltro, lo stesso Hugo Chávez non aveva intaccato più di tanto. Inoltre, un altro aspetto da sfatare riguarda l’origine delle mobilitazioni della destra, sorte, secondo molti, per l’alto livello di insicurezza sociale. Che il Venezuela non sia un paese propriamente sicuro è un dato di fatto, ma il tasso di 39 omicidi ogni mille abitanti è comunque lontano dalle stime che descrivevano il paese come più insicuro della vicina Colombia o dell’Irak. Quanto alla violenza di tipo politico, soprattutto dall’inizio delle guarimbas nel mese di febbraio, sono stati i sindaci dell’opposizione e le loro polizie municipali a porsi fuori dalla legge. Un esempio significativo, segnalato su Aporrea da Luis Britto García, fa notare che un agente del servizio di intelligence bolivariana è stato ucciso dalla polizia di Chacao, vicina all’opposizione, che aveva appena fermato un guarimbero. E ancora, la supposta sollevazione studentesca contro la “tirannia” di Maduro è facilmente smascherabile. Non solo, come detto, si trattava di gruppi minoritari delle università private, ma dei 1529 fermati dalla polizia bolivariana tra febbraio e marzo, solo 1/3 di loro è risultato essere davvero studente. Come dire: gli studenti cominciavano la protesta, ma il lavoro sporco, condito da aggressioni, minacce e atti di devastazione è stato condotto da uomini incappucciati che, una volta arrestati, dimostravano un’età non proprio da studentelli, segno che si trattava di manifestazioni tutt’altro che spontanee, come anche in Italia buona parte di Tv e giornali hanno cercato di propinarci. Da anni, ad esempio, si parla di gruppi paramilitari infiltrati  al confine tra Colombia e Venezuela, come è riportato nel libro La cuestión colombo-venezoelana, scritto, tra gli altri, dalla ex senatrice colombiana Piedad Córdoba, cacciata dal Parlamento del suo paese per essersi adoprata come mediatrice tra la guerriglia delle Farc e il governo ed Eva Golinger, intellettuale vicina al chavismo.

Superata la fase più acuta delle proteste, il primo compito di Maduro dovrà essere quello di difendere le conquiste del proceso in un contesto non facile, tra un potere d’acquisto dei salari in forte calo ed un’inflazione galoppante. Costretto a fronteggiare le continue emergenze create dall’opposizione, il Venezuela finora ha dimostrato di sapercela fare e di smascherare la contrainsurgencia promossa dagli Stati Uniti, dall’interno e da una stampa che risponde in gran parte alla Sociedad Interamericana de Prensa, impegnata in una quotidiana opera di denigrazione del chavismo.  

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it.
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