Latina

Honduras: “Né le pallottole né i machete fermeranno la nostra lotta per l'acqua e la terra”

Grave attentato contro la dirigente indigena lenca Maria Domínguez e la sua famiglia
7 aprile 2014
Giorgio Trucchi

Poco dopo il vile attacco

Il 5 marzo scorso, María Santos Domínguez, coordinatrice del Consiglio indigeno di Rio Blanco e membro attivo del Copinh, è stata attaccata selvaggiamente da cinque individui armati con machete e bastoni, subendo gravi lesioni e amputazioni. Suo figlio di 12 anni e suo marito sono rimasti gravemente feriti.

La sua unica colpa: quella di difendere le acque sacre del fiume Gualcarque e il territorio ancestrale Lenca dalla minaccia del progetto idroelettrico “Agua Zarca”.

Promosso dall'impresa a capitale honduregno Desarollos Energéticos S.A. de C.V. (DESA) e realizzato tra gli altri, dalla compagnia a capitale cinese SINOHYDRO, il progetto di “Agua Zarca” è andato incontro al rifiuto delle comunità indigene della zona, la cui lotta di resistenza, che ha compiuto un anno il primo aprile scorso , è stata criminalizzata e brutalmente repressa.

Il 15 giugno 2013, i militari avevano aperto il fuoco contro una mobilitazione pacifica che si dirigeva verso le istallazioni dell'impresa, assassinando il dirigente indigeno Tomás García e ferendo gravemente suo figlio Allan.

Intanto, i dirigenti del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene d'Honduras, Copinh, Bertha Cáceres, Aureliano Molina e Tomás Gómez sono stati vittima di persecuzione giudiziaria, mentre gli abitanti della comunità di “La Tejera” e le altre comunità lenca sono state fatte oggetto di persecuzione, vessazioni e continue minacce, in una situazione di crescente militarizzazione della zona.

Un attacco “per uccidere”

Quando nel mese di agosto dello scorso anno, la Rel-UITA e altre organizzazioni internazionali si recarono nella zona di Río Blanco, Intibucá, per manifestare la propria solidarietà con la lotta delle comunità lenca, María Domínguez ci guardò negli occhi, ci ringraziò per la nostra presenza e prese la parola (guarda il video)

“Come è possibile che vogliano proibirci di andare al fiume e privarci delle nostre terre? Se un giorno dovessi morire per difendere la terra e le acque del fiume, per me sarebbe motivo d'orgoglio”, disse con forza e convinzione quasi profetica.

María Domínguez duranta la visita delle dselegazioni internazionali (Foto G. Trucchi)

Il 5 marzo scorso, María stava tornando a casa dopo aver collaborato nella preparazione della merenda nel centro scolastico comunitario, quando cinque soggetti - tre uomini e due donne - le tesero un'imboscata e la attaccarono con machete e bastoni.

“Adesso ti ammazziamo, brutta p... di un'indigena.... e il Copinh non ti potrà difendere. Sei una ribelle e adesso imparerai a non immischiarti in queste cose. E' sufficiente eliminare te per fermare le proteste", le urlò Fausto Vásquez, uno degli aggressori, mentre cadevano i primi colpi di machete, uno dei quali gli staccò di netto il pollice della mano destra, mentre gli altri le provocarono gravi ferite alla testa e al petto.

“Mi avevano già minacciato in passato e non ho il minimo dubbio che si tratta di una vendetta per la lotta che abbiamo iniziato contro il progetto idroelettrico. Tutte queste persone sono relazionate con l'impresa”, ha affermato María Domínguez alla LINyM.

Mentre la dirigente indigena veniva raggiunta da una serie interminabile di colpi e stilettate, Santos Roque Domínguez, marito di María, arrivò nel luogo dell'aggressione insieme a suo figlio Pablo di 12 anni. A nulla servì il suo tentativo di calmare gli aggressori. “Questi assassini non hanno avuto pietà. Con un colpo di machete hanno staccato un orecchio a mio figlio, che si era avvicinato per aiutarmi, mentre a mio marito quasi gli hanno staccato una mano e gli hanno inferto profonde ferite alla faccia e al corpo. Alla fine siamo riusciti a scappare. Abbiamo corso fino a quando abbiamo trovato persone della nostra comunità che ci hanno soccorso”, ha continuato María.

Il piccolo Pablo Nonostante le denunce presentate, solo uno degli aggressori é stato arrestato e si respira aria di totale impunità. Il Copinh ha emesso un comunicato nel quale esige alle autorità competenti “la fine dell'impunità, la violenza e le minacce contro il diritto alla vita, i diritti individuali e collettivi per il popolo lenca di  Rio Blanco”.

“Stanno criminalizzando la nostra lotta. Per questo vile attentato responsabilizziamo non solo gli autori materiali, ma anche quelli intellettuali che alimentano la campagna di odio contro il Copinh e le comunità che si oppongono alla centrale idroelettrica. Esigiamo l'uscita immediata delle imprese che vogliono privatizzare le acque del fiume e il territorio lenca” ha dichiarato Bertha  Cáceres, coordinatrice del Copinh.

La lotta non si arresta

María, Roque e Pablo stanno recuperando in maniera soddisfacente, anche se le ferite profonde e le mutilazioni segneranno la loro vita per sempre. Assicurano che non smetteranno mai di lottare.

“Questa gente pensa che ammazzandoci fermeranno la lotta, ma si sbagliano. Oggi più che mai, sono convinta che la lotta in difesa del nostro fiume e della Madre Terra è degna e giusta. Di questo viviamo e non indietreggeremo. Lo ripeto: se dovessi offrire la mia vita per la difesa delle nostre terre, per me sarebbe un orgoglio”, ha concluso la combattiva dirigente del Consiglio indigeno di Río Blanco.

Testo originale: LINyM (con altre foto) e Rel-UITA

Note: Traduzione: Sergio Orazi

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