Latina

Alla vigilia dei mondiali di calcio, un viaggio nel Brasile che resiste alle grandi opere imposte dalla Coppa del mondo

“Ladri di sport. Dalla competizione alla resistenza”

Il libro di Ivan Grozny e Mauro Valeri racconta anche le tante pratiche di sport dal basso in Italia
3 giugno 2014
David Lifodi

internet A pochi giorni dal fischio d’inizio dei mondiali di calcio brasiliani, arriva in libreria una pregevole pubblicazione, Ladri di sport. Dalla competizione alla resistenza, edito dalla casa editrice Agenzia X e curato da Ivan Grozny, fondatore del progetto “Sport alla rovescia” e Mauro Valeri, sociologo impegnato a parlare degli eventi sportivi dal punto di vista dell’antirazzismo e delle discriminazioni. Si tratta di un libro che analizza il fenomeno calcio (e non solo, c’è spazio anche per gli altri sport) dal punto di vista sociale, ma l’aspetto più interessante riguarda i primi capitoli del volume, dedicati interamente al Brasile che attende gli imminenti mondiali.

Le grandi manifestazioni del giugno 2013, legate alla protesta per l’aumento del biglietto del trasporto pubblico e presto trasformatesi in riots contro la classe dirigente di un paese che aveva deciso di investire il denaro pubblico sulle infrastrutture per i mondiali 2014 piuttosto che per opere nel campo dell’istruzione, della sanità, e della povertà, si verificarono proprio durante lo svolgimento della Confederations Cup. Ivan Grozny le sintetizza così: “Le incisive modifiche dell’assetto urbano hanno pesanti effetti sulla vita della popolazione e sugli assetti di potere della città, che però hanno incontrato una decisa risposta da parte delle comunità di questa grande metropoli”. Ivan si riferisce alla città di Rio de Janeiro, ma il discorso è estendibile a tutte le metropoli (o megalopoli) brasiliane: gli autori tracciano una interessante quanto utile mappa delle resistenze urbane nel Brasile che attende i mondiali. Ne emerge un quadro in cui il paese non rifiuta l’evento sportivo in quanto tale, ma il sistema che ne regge e avalla l’organizzazione, dalla Fifa, massima autorità calcistica che ridisegna il territorio imponendo arbitrarie zone rosse, ai governatori di alcune città, tra cui il carioca Sérgio Cabral, che intendono approfittare della competizione calcistica per proseguire nella loro opera di pulizia sociale a scapito dei movimenti. A questo proposito, le parole del segretario della Fifa, Jérôme Valcke, sono significative e inequivocabili: “Dirò una cosa pazzesca, ma meno democrazia a volte è meglio per organizzare una Coppa del mondo”. E ancora, Ivan Grozny elenca le aziende che sponsorizzano la Coppa, da McDonald’s a Coca Cola passando per banche e compagnie telefoniche: “i vertici del capitalismo mondiale”. Uno dei maggiori meriti degli autori del libro è che non cadono nel tranello di porsi su posizioni “tifose”, per restare in ambito calcistico, pro o contro i mondiali, e nemmeno nella facile retorica della condanna del Brasile per le inesistenti condizioni di sicurezza degli operai impiegati nella ristrutturazione degli stadi (da cui pure sono derivate morti ricordate solo da pochissimi media), ma raccontano le tante sfaccettature di un paese ormai divenuto una potenza economica, sotto certi aspetti impegnato a tutelare i diritti dei più deboli, ma non in grado di rappresentare o difendere le fasce marginali del paese. La domanda di fondo che emerge dal lavoro di Ivan Grozny e Mauro Valeri, fatta propria dagli stessi autori e di cui sono portatori i “subalterni brasiliani”, è la seguente: “Come mai il governo di un paese che fa parte dei Brics, che da emergente sta diventando <<emerso>>, il governo guidato da una ex guerrigliera (Dilma Rousseff) e legato a un politico carismatico (Lula), che fu un grande leader delle lotte operaie nonché un amico di Socrates, reputa un valida proposta la costruzione di grandi opere appaltate a multinazionali straniere?” Alcuni esempi di questo Brasile a doppia velocità vengono dal mitico stadio Maracaná di Rio de Janeiro e dall’Arena Amazônia di Manaus. Sul primo impianto sportivo ha gettato i suoi tentacoli la multinazionale Odebrecht, che non solo si è occupata dei lavori di ristrutturazione dello stadio, ma anche della rivalutazione immobiliare di tutta l’area. Questo ha significato la demolizione dell’Aldeia Maracanà, descritta nei dettagli da Ivan Grozny. L’edificio sorge a poche centinaia di metri dallo stadio e si è trasformato nel tempo nell’Universidade Indígena, sede dell’osservatorio permanente sulla conservazione della cultura dei popoli nativi: gli indigeni hanno tentato di bloccare la demolizione nel dicembre 2013, ma, racconta Ivan, la polizia militare è intervenuta in forze sgomberando con violenza gli occupanti: per Blatter, presidente della Fifa, quello era il luogo ideale per un centro commerciale con tanto di parcheggio. Anche in questo caso la commessa per l’appalto è stata assegnata ad Odebrecht. Se ne deduce facilmente il motivo per cui “i brasiliani amano il calcio, ma non la Fifa”, per parafrasare il titolo di un capitolo del libro. Inoltre, in vista dei mondiali si teme una crescita esponenziale della violenza da parte della polizia. A questo proposito, Ivan Grozny cita uno slogan coniato dai movimenti in occasione di una delle manifestazioni del giugno 2013 a San Paolo: “Che coincidenza, niente polizia, niente violenza”. Per quanto riguarda l’Arena Amazônia di Manaus, la perplessità viene dal fatto che la città amazzonica non ha squadre di livello: lo stadio, probabilmente, servirà solo per le partite del mondiale, ma per il resto sarà destinato a rimanere una cattedrale nel deserto. Il rischio è che le spese per i mondiali brasiliani siano una riedizione di quelle di quelle di Italia ’90: il Delle Alpi di Torino, ad esempio, ospitò cinque partite della Coppa del mondo per essere demolito nel 2008 (oltre ad essere casa della Juventus e del Torino). La comparazione tra Brasile 2014 e Italia ’90 segna un po’ lo spartiacque del lavoro dei due autori. L’ideale seconda parte del volume racconta i tanti risvolti del calcio, e più in generale di altre discipline sportive, dal punto di vista sociale: lo sport come riscatto per delle fasce sociali spesso marginalizzate dall’opinione pubblica, dalla società e dalle stesse federazioni sportive, vedi il caso della Polisportiva “Assata Shakur” invisa perché intitolata all’omonima militante delle Pantere Nere. C’è spazio per la rete Fare (Football Against Racism in Europe), si denuncia l’omofobia imperante (soprattutto nel mondo del calcio), si parla della quotidiana battaglia contro le discriminazioni per permettere ai migranti di poter scendere in campo nelle serie minori, viene dato risalto ai Mondiali antirazzisti nel capitolo dall’appropriato titolo “In fuga dal paese lungo la fascia”, infine viene dedicata attenzione all’esperienza delle persone con disagio mentale che hanno individuato nel rugby uno strumento terapeutico.

In definitiva, Ladri di Sport rappresenta uno strumento utile per comprendere come sia possibile praticare lo sport dal basso senza barriere e discriminazioni, dal Brasile dei combattivi movimenti sociali ad un’Italia alternativa che resiste al modello imperante che intravede nello sport solo una pratica per uomini duri.

Ladri di sport. Dalla competizione alla resistenza

di Ivan Grozny e Mauro Valeri

Agenzia X, Milano 2014, pp.159

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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