Ad undici giorni dal calcio d’inizio dei mondiali brasiliani, nel paese conosciuto come il gigante dell’America Latina non si sono ripetute le enormi manifestazioni esplose nel giugno 2013 in concomitanza con la Confederations Cup, una sorta di prova generale della Coppa del mondo.
Va detto che i cortei di protesta e le dimostrazioni di piazza proseguono, ma, almeno per il momento, sono rimaste legate alla parte più radicale dei movimenti sociali, anche se tutti i sondaggi segnalano che ben oltre la metà della popolazione esprime la sua contrarietà ai mondiali e alle sue spese pazze. Del resto, la stessa presidenta Dilma Rousseff, in un messaggio al paese all’inizio della massima competizione calcistica, da lei stessa definita come “mondiale per la pace, contro il razzismo, per l’inclusione e la tolleranza”, ha evidenziato che le proteste aiutano a crescere. Al tempo stesso, però, la polizia è intervenuta più volte anche nei confronti di manifestazioni pacifiche, commettendo la solita sfilza di abusi per i quali gode di una cattiva fama. Di certo, i brasiliani non esagerano quando definiscono la Fifa, organo supremo del calcio mondiale, come il governo de facto in Brasile per il mese del campionato del mondo, dall’occupazione territoriale delle aree intorno agli stadi (impianti sportivi compresi) alla mercantilizzazione del futebol fino agli sgomberi ai danni dei movimenti anti-coppa ed agli abusi nei confronti delle fasce sociali più povere della popolazione. Jorge Valdano, uno degli ex giocatori argentini più conosciuti, ha invocato maggiore responsabilità sociale. Le proteste contro le modalità di organizzazione della Coppa del mondo riflettono i limiti del modello di sviluppo brasiliano che, dall’arrivo del Partido dos Trabalhadores (Pt) al potere, è cresciuto riuscendo a far diminuire almeno in parte le disuguaglianze sociali e ad ampliare la classe media, ma non ha avuto altrettanto successo nel risolvere problemi cronici del paese, a partire dalla qualità dei trasporti (da cui sono derivate le manifestazioni dello scorso anno), passando per le numerose problematiche presenti nelle favelas, peraltro realmente di difficili soluzione. Diversi analisti politici evidenziano come le istanze di coloro che protestano sono giuste e condivisibili, ma provenienti da una società dinamica, sotto certi aspetti con interessi contraddittori, ma comunque in piena trasformazione. Ad esempio, su Adital, Rafael Cuevas Molinas sottolinea che, sia in occasione della Confederations Cup dello scorso giugno sia in occasione dei mondiali, le manifestazioni (sorte su un tema sacrosanto quale è quello del diritto ad un trasporto accessibile a tutti) sono state utilizzate a fini politici tanto dall’estrema destra quanto dall’estrema sinistra, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 5 ottobre, pericolosamente a ridosso dei mondiali. Sulle tematiche ormai da tempo entrate nell’agenda politica di tutti i paesi sudamericani, dall’estrattivismo alla tutela dei beni comuni, il Pt non ha fatto granché, anzi, spesso è andato a braccetto con le multinazionali, nel caso specifico dei mondiali quelle del settore edile, da Odebrecht a Camargo Correa, solo per citare le più note. Inoltre, se nel suo messaggio alla nazione in apertura dei mondiali Dilma Rousseff ha sottolineato che le manifestazioni popolari “aiutano a perfezionare sempre di più le nostre istituzioni democratiche”è proprio sotto questi aspetti che il Planalto rischia di cadere in contraddizione. Ad esempio, il Movimento Passe Livre di Rio de Janeiro ha denunciato i divieti della polizia che, in occasione di cortei regolarmente autorizzati, ha impedito l’esposizione degli striscioni e la libera circolazione delle persone (si parla di fermi arbitrari compiuti ai danni di operatori della comunicazione indipendente): lo stesso è avvenuto a Fortaleza in occasione della partita Brasile-Messico nei pressi dello stadio Castelão, dove era in corso di svolgimento una manifestazione. In quest’ultimo caso pare che i militari abbiano sequestrato e distrutto il materiale di un fotografo vicino ai movimenti che stava documentando la protesta. Di fronte alle organizzazioni popolari che cercano di sfruttare il mondiale per accendere i riflettori sulle questioni sociali più urgenti, dal diritto alla casa al razzismo nei confronti di afrobrasiliani e favelados, è emerso che agenti dell’FBI avrebbero impartito alla polizia brasiliana dei corsi sulle modalità per la gestione dell’ordine pubblico in occasione dei mondiali di calcio, secondo quanto ha ammesso apertamente lo stesso governo di Rio de Janeiro. Uno dei corsi, di 40 ore, organizzato direttamente in collaborazione con l’ambasciata statunitense in Brasile, non ha riguardato solo gli aspetti legati al contenimento delle manifestazioni di protesta che si svolgono durante i mondiali, ma anche le modalità di gestione della comunicazione a proposito del mantenimento dell’ordine pubblico. Lo stesso è avvenuto anche a Fortaleza, Brasilia e San Paolo. L’agenzia di notizie Adital riferisce che, secondo i dati in possesso del Segretariato straordinario di sicurezza per i grandi eventi, circa 800 poliziotti brasiliani sarebbero stati inviati presso il Centro de Entrenamiento Regional di Lima e la Academia Internacional para el Cumplimiento de la Ley di San Salvador per essere addestrati: entrambi i centri sono amministrati direttamente dal Dipartimento di Stato Usa. Il quotidiano Folha de S.Paulo riferisce che fin dal 2012 il governo statunitense ha deciso di investire sull’addestramento dei militari in vista dei grandi eventi in programma in Brasile, non solo tramite il Dipartimento di Stato, ma anche attraverso l’impresa militare privata Blackwater. Di fronte ai mondiali, le organizzazioni sociali hanno denunciato le malefatte delle transnazionali che gestiscono l’evento sportivo esclusivamente a fini di lucro, sottolineandone le contraddizioni e la loro bramosia di potere, ma la stampa, soprattutto quella occidentale, ha deciso di sfruttare l’agenda politica dei movimenti per mettere alla berlina un paese che sempre più, agli occhi del mondo, sta scalando posizioni tra le economie emergenti. I media, per primi quelli italiani, stanno tenendo un atteggiamento tra il paternalistico e il coloniale. Ad esempio, si parla dei bagni di alcuni stadi che non sono stati mai consegnati nonostante l’inizio dei lavori, si sottolinea che si è aperta una voragine non lontano dall’impianto sportivo dove domani l’Italia giocherà contro l’Uruguay, si descrivono usanze e tradizioni brasiliane con fastidiosa supponenza. Al contrario, in pochi hanno parlato del calcio d’inizio dei mondiali dato al pallone con un esoscheletro robot che Juliano Pinto, un giovane paraplegico di 29 anni, ha mosso soltanto con l’uso del pensiero. Purtroppo, a causa della mancata autorizzazione della solita Fifa, il tutto si è svolto a bordo campo dell’Arena di San Paolo, e non sul rettangolo verde, ma questo non giustifica lo scarso rilievo all’evento dato dalla stampa.
Solo alla fine del “mondiale dei mondiali”, come lo ha definito Rousseff, si potranno trarre delle conclusioni, ma è probabile che il bilancio del campionato del mondo finirà per influire, in un modo o nell’altro, anche sulle presidenziali di ottobre.
Note: Articolo realizzato da David Lifodi per
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