La lunga marcia dei senza terra. Dal Brasile al mondo
I Sem terra sono arquitectos de sonhos (Ademar Bogo) e semi di altri mondi possibili, come scrive Frei Bretto nella prefazione del libro La lunga marcia dei senza terra. Dal Brasile al mondo, scritto da Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia e pubblicato da Emi. I contadini brasiliani senza terra sono dei sognatori, e per questo sono invincibili: dal 1984, il suo anno di nascita, il Mst lotta per una riforma agraria che renda il Brasile meno diseguale e più giusto. Al tempo stesso, i Sem terra sanno bene che la loro lotta per la terra si combatte contro un gigante, quale è l’agronegozio, e per giunta in una congiuntura politica tutt’altro che favorevole: eppure sono sempre lì, sulla breccia, nonostante i massacri e i tanti lutti dovuti alla morte di molti loro compagni ad opera di guardie armate, militari e sicari di latifondisti, madereiros e multinazionali.
Le autrici de La lunga marcia dei Sem terra ripercorrono la storia del Mst dalle origini ai giorni nostri: raccolgono i pensieri, le riflessioni e le esortazioni di molti compagni di strada del movimento, interpretano le loro istanze e se ne fanno portavoce. È così che il geografo Bernardo Mançano Fernandes, il frate domenicano Frei Betto, Frei Sérgio Görgen, dom Tomás Balduino (scomparso da pochi mesi), dirigenti storici del Mst come João Pedro Stédile e tanti altri, raccontano in parallelo la storia dei senza terra e quella del Brasile. C’è un evento che, più di ogni altro, simboleggia la persecuzione dell’agronegozio e dello stato nei confronti del Mst, forse più dei massacri di Corumbiara (9 agosto 1995), Eldorado dos Carajás (17 aprile 1996) e Felisburgo (20 novembre 2004), che pure hanno segnato la storia del movimento. Si tratta della storia dell’occupazione della fazenda Giacometti, che Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia raccontano nei particolari. È il 1986, siamo nello stato del Paraná, proprio quello dove, solo due anni prima, nel gennaio 1984, è nato il Mst. Secondo uno dei loro storici slogan, La terra a chi la lavora, i senza terra decidono di rioccupare la fazenda Giacometti, dove già un gruppo di famiglie si era stabilito nel 1980 prima di essere cacciato con violenza dai pistoleiros e dalla polizia militare. L’occupazione del 1986, a cui partecipa anche il fotografo Sebastião Salgado, da sempre amico dei Sem terra, tuttavia dura poco: l’avanzata delle tremila famiglie di contadini senza terra verso la fazenda, al grido di Riforma agraria una lotta di tutti, sarà pagata molto cara. Il governatore del Paraná Jaime Lerner è uno dei più acerrimi avversari del Mst e ordina la distruzione di quella che ritiene la “repubblica del movimento senza terra”. La storia dei Sem terra è questa: occupazioni, sgomberi e ancora occupazioni, ma soprattutto la forza d’animo per tornare a lottare ogni volta per rivendicare i propri diritti: Ocupar, resistir, produzir! All’interno del libro viene dedicato spazio anche al rapporto non semplice tra il Mst e il Partido dos Trabalhadores (Pt): i senza terra si sono mantenuti coerenti con il loro obiettivo, quello di promuovere la lotta sociale, anzi, l’aprile rosso che viene lanciato ogni anno per ricordare la strage di Eldorado dos Carajás ha fatto registrare un’impennata nell’occupazione delle terre proprio sotto governi in teoria amici. A questo proposito, le autrici del libro citano l’opinione del sociologo ed economista Immanuel Wallerstein: “Il Movimento Senza Terra ha sostenuto Lula nel 2002 e, malgrado le promesse non mantenute, ha appoggiato la sua rielezione nel 2006. Lo ha fatto con piena coscienza dei limiti del suo governo, nella convenzione che l’alternativa sarebbe stata evidentemente peggiore. Ma lo ha fatto anche esercitando una costante pressione sul presidente, incontrandolo, presentando denunce pubbliche e organizzandosi per combattere le sue politiche errate”. Un aspetto che ha sempre affascinato e, al tempo stesso, dato forza al Mst, è la mistica, che accompagna tutti gli eventi dei senza terra. Ademar Bogo evidenzia che “non può esistere socialismo se nelle coscienze non vengono operati profondi cambiamenti, producendo atteggiamenti nuovi di fraternità tra le persone”, ed è proprio qui che si rivelano la grandezza e la generosità del Mst, che non inneggia alla riforma agraria e al cambiamento sociale come parole d’ordine ideologiche, ma prova a mettere in pratica questi concetti nelle occupazioni, negli accampamenti e nelle scuole rurali del movimento. E allora, l’uomo e la donna che campeggiano, sulla bandiera del Mst in campo rosso, rappresentano la costruzione dell’uomo e della donna nuovi e della nuova società e, in questo senso, la mistica si estende alla relazione con la natura e con i frutti della terra.
La lunga marcia dei senza terra sulla strada della giustizia sociale, probabilmente, è tutt’altro che finita, ma il Mst resta saldo nei suoi princìpi e crede nell’utopia che “i lavoratori poveri possano diventare architetti del loro destino e partecipare agli indirizzi politici ed economici del paese”. Il sogno del mondo capovolto a cui aspirano i Sem terra, quello in cui sono i movimenti del sud del mondo ad insegnare come si fa autogestione di fabbriche o terre occupate o come si coltiva in modo agroecologico, prima o poi diventerà realtà.
La lunga marcia dei senza terra. Dal Brasile al mondo
di Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia
Emi, Bologna, 2014
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