Latina

“Le sparizioni forzate in Messico sono una politica di Stato”

Ayotzinapa è soltanto la punta di un gigantesco iceberg
15 gennaio 2015
Giorgio Trucchi

In Messico non si fermano le proteste per esigere che ricompaiano, vivi, i 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa, scomparsi ad Iguala. Migliaia di persone, in preda alla rabbia, scendono in strada, riempiono le piazze, concordano parole d’ordine ed indicano lo Stato come diretto responsabile di quello che è successo. Accompagnano la lotta tenace delle famiglie di quei giovani, di cui si sono perdute le tracce il 26 settembre scorso.

Federico Mastrogiovanni, giornalista italiano che vive in Messico, è autore del libro sulla sparizione forzata “Ni vivos, ni muertos”. Con Luis Ramirez Guzmàn ha realizzato un lungometraggio documentario sullo stesso drammatico argomento. Entrambi sono il risultato di una lucida e approfondita ricerca, durata quasi 3 anni, che lo ha portato a percorrere il Messico da nord a sud, attraversando una dozzina di Stati.


Durante una lunga intervista con la Rel, Mastrogiovanni spiega che la cattura e la sparizione forzata dei 43 normalisti non è che la punta di un gigantesco iceberg, di cui nessuno conosce le dimensioni reali.

19 mila persone scomparse soltanto nel 2013
51 al giorno, e più di due sparizioni l’ora

Le organizzazioni per i diritti umani assicurano che le vittime di questo obbrobrioso crimine sarebbero non meno di 30 mila negli ultimi 8 anni. Tuttavia il numero reale potrebbe essere fino a dieci volte superiore. Solamente nel 2013 sarebbero quasi 19mila le persone scomparse, vale a dire 51 al giorno, più di due sparizioni l’ora. “Sembrano eventi isolati, addirittura casuali, con pochissimi elementi in comune, ma non è così, e la responsabilità dello Stato, per azione o per omissione, è più che evidente” ha detto il giornalista.


- Le strade e le piazze messicane continuano ad essere gremite di persone che esigono dallo Stato la ricomparsa dei 43 studenti. Si può dire che in Messico la sparizione forzata è una politica di Stato?
- Su questo non c’è alcun dubbio. A partire dal 2006, quando l’allora presidente Felipe Calderòn comincia una presunta guerra contro il narcotraffico, l’aumento delle sparizioni sale alle stelle come mai era successo prima. In particolare c’è un aumento di sparizioni forzate, in cui sono implicati in modo diretto funzionari o organi di Stato, per azione o omissione. Quello che è successo ad Iguala è un caso evidente di sparizione forzata.

- Quali sono gli elementi che portano a questa conclusione?
- Durante un’intervista che ho realizzato nei giorni scorsi, l’ex generale José Francisco Gallardo, prigioniero politico incarcerato per quasi 10 anni, ha dichiarato che la scomparsa dei 43 normalisti  è il risultato di una strategia militare. In Messico la Polizia è militarizzata e le Forze Armate, indipendentemente dal fatto che si dichiari lo “stato di emergenza”, vengono impiegate continuamente in compiti di pubblica sicurezza.
In questo senso, qualsiasi violazione commessa da questi organi repressivi è responsabilità diretta del Segretario di Stato, del Segretario della Difesa e del Presidente della Repubblica..
Inoltre, l’attacco contro gli studenti è avvenuto davanti al 27° Battaglione di Fanteria, e i militari hanno preso parte alla repressione. Non possiamo nemmeno credere che il Centro per le Indagini e la Sicurezza Nazionale (CISEN) non fosse a conoscenza di ciò che stava accadendo.
Infine non è un segreto per nessuno che Marìa de los Angeles Pineda, moglie del sindaco di Iguala José Luis Abarca – entrambi arrestati per aver fomentato e diretto la repressione-, è la sorella di tre membri del gruppo criminale Guerrieri Uniti. Tuttavia nessuno ha impedito che suo marito si presentasse come candidato a sindaco.
Pertanto non c’è nessun dubbio che lo Stato sia direttamente coinvolto nella tragedia di Ayotzinapa.

Sparizioni forzate in Messico
Nessuno si salva

- Di quante persone stiamo parlando quando ci si riferisce alla sparizione forzata?
- Le organizzazioni per i diritti umani parlano di non meno di 30mila persone scomparse tra il 2006 e il 2014.
In realtà solo una persona su dieci denuncia una sparizione. In questo modo, questa tragedia potrebbe coinvolgere più di 300 mila persone.


- Sono cifre spaventose…
- Molte volte abbiamo fatto riferimento alla “guerra sporca” che si è scatenata in Messico contro i movimenti di protesta, i dirigenti popolari, i movimenti guerriglieri durante gli anni 70, 80 e parte dei 90.
Si calcola che ci siano stati circa 1500 desaparecidos in quasi trent’anni. Ora stiamo parlando di 30 mila persone scomparse soltanto in 8 anni. E tutto questo senza considerare i migranti centroamericani.

- Di che dati si parla nel caso dei migranti?
- Il problema è proprio questo: non ci sono dati certi. Padre Alejandro Solalinde, fondatore dell’ostello “Migranti in Cammino”, parla di decine di migliaia di migranti scomparsi negli ultimi anni.
Anche se le statistiche sono approssimative, non mi sorprenderebbe se queste cifre si avvicinassero molto alla realtà.
Durante il mio viaggio attraverso il Messico ho assistito all’inseguimento e alla cattura di migranti da parte della Polizia. Portavano via gruppi di 50 e anche 100 persone ed era molto difficile sapere cosa succedesse dopo.
A questo bisogna aggiungere la presenza di bande criminali che sequestrano le persone migranti per chiedere un forte riscatto alle famiglie o per reclutarli. In entrambi i casi vengono assassinati e sepolti in fosse comuni.

Il fenomeno crescente della sparizione
E il fenomeno crescente della pirateria

- Perché tante sparizioni e chi ci guadagna in questa situazione?
- Nel mio libro prospetto un’ipotesi di cui sono convinto, cioè che esiste una relazione diretta tra le sparizioni, il terrore che si genera tra la popolazione e lo sfruttamento delle risorse naturali.
Lo Stato di Guerrero, ad esempio, è tra i maggiori produttori di papavero e marihuana. Inoltre possiede enormi giacimenti d’oro e d’argento. Secondo un articolo pubblicato di recente da “L’Economista”, l’impresa canadese Torex investirà 725 milioni di dollari per la costruzione di una miniera d’oro.
L’impresa stessa ha affermato che questa sarà tra le miniere d’oro più grandi e più a basso costo del mondo, e ha in programma di produrre una media annuale, tra il 2017 e il 2024, di 358.000 once d’oro. Stiamo parlando di un guadagno che si avvicina ai tremila milioni di dollari.
Ci sono altre zone, come per esempio la Cuenca de Burgos, tra gli Stati di Tamaulipas, Nuevo Leòn e Coahuila, dove si sono scoperti grandi gacimenti di idrocarburi. Qui si trova la quarta riserva mondiale di gas shale. A partire dal 2006, in queste zone hanno cominciato a sparire persone e attualmente è dove ci sono più desaparecidos.
Quello che si sta facendo, con l’appoggio di polizia e militari, è generare terrore e “ripulire” le zone e i territori che devono essere controllati e dati in concessione a favore di imprese nazionali e transnazionali.
L’obiettivo è che possano sviluppare, senza maggior opposizione, i loro megaprogetti, che molte volte sono il risultato di accordi commerciali nefasti come il Trattato di Libero commercio dell’America del Nord (TLCAN – NAFTA).
Allo stesso modo, il terrore generalizzato serve per occultare la repressione selettiva nei confronti di leaders comunitari, attivisti, membri dell’opposizione sociale e popolare. Non è un segreto per nessuno che la Scuola Normale di Ayotzinapa è molto critica contro il governo, e i suoi studenti hanno una formazione politica di sinistra.

La paura che paralizza
Uno Stato complice e paralizzato

- Perché la gente non denuncia le sparizioni?
- Sono vari i fattori. Da una parte c’è paura, e dall’altra i familiari si scontrano con un sistema istituzionale che genera omissione e impunità. Quando una persona vuole sporgere una denuncia presso un pubblico ministero, il minimo che può succederle è di sentirsi rispondere di lasciar perdere e di tornare a casa.
Molte volte viene addirittura spaventata o minacciata. Per questo parliamo di sparizione forzata.

- Qual è l’impatto sui familiari delle persone scomparse?
- Se moltiplichiamo la quantità dei desaparecidos per il numero di familiari e amici che soffrono l’impatto di una perdita, è evidente che parliamo di un numero molto considerevole di persone che vivono la sparizione come qualcosa di inconcluso, irrisolto, che non permette di elaborare il lutto, per cui il cerchio non si chiude mai
Parlando con i figli di Rosendo Radilla, un noto leader sociale del municipio di Atoyac che scomparve 40 anni fa, mi sono reso conto che per loro è stato impossibile elaborare il lutto.
Nonostante il fatto che oggi Rosendo avrebbe 100 anni e che, con molta probabilità sia già morto, i suoi figli continuano ad aspettare e non hanno un luogo dove piangerlo.
Quando questa situazione coinvolge molte persone, possiamo vedere intere comunità che vivono nel terrore, che non hanno fiducia in niente e nessuno e che vivono un  lutto incompiuto come comunità.

Governo, mafia e narcotraffico
Nello stesso fango, dalla stessa parte

- Perché per il caso di Ayotzinapa la gente continua a protestare?
- Il governo messicano ha sempre saputo vendere molto bene la propria immagine pseudo-democratica. Durante la “guerra sporca”, per esempio, con una mano faceva sparire i propri oppositori e, con l’altra, accoglieva i perseguitati delle dittature latinoamericane.
Inoltre cerca di vendere l’idea che si tratti del risultato di una guerra impari contro i grandi cartelli della droga. Ma la realtà è diversa, perché governo, mafia e narcotraffico sono la stessa cosa.
Non è che lo Stato non ha la capacità di combattere la criminalità organizzata, ma fa parte parte ed è protagonista di questo sistema mafioso, dove la droga è una cortina di fumo per deviare l’attenzione dal vero obiettivo, che come abbiamo detto, sono le risorse naturali.
In questo senso penso che la reazione della popolazione abbia molto a che fare con gli studenti scomparsi della Scuola Normale e come la gente mette in relazione questa tragedia con il massacro studentesco di Tlatelolco nel 1968, un lutto collettivo non elaborato dalla società messicana.
Non a caso la manifestazione degli studenti era per raccogliere fondi che servivano per il viaggio fino alla capitale il 2 di ottobre, per commemorare l’anniversario del massacro.
Si tratta di 43 giovani delle zone rurali e di poche risorse, di età compresa tra i 17 e i 21 anni, che studiano in una scuola percepita a livello collettivo come la loro unica possibilità di formazione. La gente si è identificata con loro e con i loro genitori e si è indignata.

- Che cosa succederà ora?
- Le istituzioni e i grandi sistemi corporativi faranno di tutto per spegnere e distruggere il movimento spontaneo che si è generato. Spero che possa essere l’inizio di qualcosa di molto importante, anche se non sarà facile.
In questo senso, “Ni vivos, ni muertos” sta contribuendo a sollevare il velo di silenzio…
Per il momento è l’unico documento di indagine che pone domande, che cerca un significato a quello che sta succedendo e che cerca di spiegare il perché di questa tragedia.
Gruppi di cittadini, organizzazioni, movimenti mi invitano per conoscere la mia opinione, e questo aiuta a rompere il silenzio e la cortina di fumo che circonda la sparizione forzata.

Fonte: Rel-UITA

Note: Traduzione di Elena Caruso
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