Argentina: l’omicidio del giudice Nisman irrompe sulle presidenziali di ottobre
La verdad, a quién le importa?, ha scritto di recente Horacio Verbitsky sul quotidiano argentino Página/12 a proposito dell’omicidio del giudice Alberto Nisman, trovato morto lo scorso 18 gennaio alla vigilia della sua deposizione al Congresso che avrebbe dovuto incriminare la presidenta Cristina Fernández de Kirchner, accusata di aver coperto, insieme al ministro degli Esteri Héctor Timerman, cinque iraniani ritenuti colpevoli dell’attentato contro l’Asociación Mutual Israelita Argentina (Amia) del 18 luglio 1994 che causò la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 300.
In Argentina, ma anche a livello internazionale, la stampa mainstream ha avuto gioco facile nell’indicare come principale indiziata dell’omicidio la stessa Cristina Fernández de Kirchner: è lei la mandante morale, hanno strillato i giornali di opposizione, a cui si sono ben presto allineati quelli di mezzo mondo. In realtà, quella che è stata definita una muerte dudosa para la democracia argentina, presenta molti lati oscuri e ancora da scoprire, ma è certo che la morte del giudice è da imputare al clima torbido nell’intelligence e nei servizi segreti, a cui la presidenta ha già annunciato di voler dare una radicale ripulitura. Nelle piazze argentine dove si è manifestato per chiedere verità e giustizia per Alberto Nisman, le poche centinaia di presenti hanno issato cartelli “Yo soy Nisman”, parafrasando lo slogan seguito ai tragici fatti di Parigi che hanno decimato la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, ma soprattutto ne hanno approfittato per chiedere la testa, non solo in senso metaforico, di Cristina Fernández de Kirchner, in un chiaro tentativo di compiere un’operazione di mera speculazione politica. Nisman aveva accusato la presidenta pochi giorni prima della sua morte, il 14 gennaio: secondo il giudice la difesa di Cristina dei cinque iraniani si sarebbe inserita nel quadro dell’avvicinamento diplomatico tra Iran e Argentina, dovuto alla crisi energetica del paese sudamericano che si sarebbe potuta risolvere attraverso lo scambio del petrolio per il grano. Questo esempio di cooperazione sud-sud, che giornalacci come il Clarín (che però dispone di un vero e proprio impero mediatico, oltre ad essere stato il principale sponsor della dittatura militare) hanno utilizzato per dare la notizia di presunte pressioni compiute dalla presidenta e da Timerman affinché non si indagasse sugli iraniani colpevoli dell’attentato, è stato trasformato nella prova evidente di colpevolezza di Cristina Fernández de Kirchner, ma nessuno ha sottolineato come il primo a lavarsi le mani del caso fosse stato Carlos Menem, presidente del paese dal 1989 al 1999 e uno tra i principali responsabili del default economico argentino avvenuto alla fine del Duemila. Inoltre, pare che dietro la posizione assunta da Nisman ci sia stata l’influenza dei servizi segreti, in particolare del direttore della Secretaría de Inteligencia Antonio Stiuso, peraltro rimosso dall’incarico lo scorso dicembre. I legami tra Nisman e Stiuso erano noti e pare che sia stato proprio quest’ultimo a sollecitare il giudice affinché tornasse anticipatamente dalle sue vacanze in Europa per accusare Cristina Fernández de Kirchner. Atilio Borón, ex segretario del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (Clacso) e analista politico su molti organi di controinformazione del continente sudamericano, evidenzia come l’omicidio del giudice Nisman nuocerà soprattutto al governo e alla presidenta ad un anno dalle elezioni presidenziali e legislative. Mentre l’Argentina si chiede a chi giova l’assassinio di Nisman, la presidenta non è rimasta con le mani in mano, si è difesa e, per prima cosa, ha dato vita alla nuova Agencia Federal de Inteligencia, che in primo luogo dovrebbe ripulire l’intero corpo da persone legate ai servizi segreti deviati. Sul caso Amia ci sono anche dei cablogrammi di Wikileaks che evidenziano la collaborazione di Nisman con gli Stati Uniti affinché l’Iran sia indicato come il principale responsabile dell’attentato, scartando altre piste altrettanto plausibili come ad esempio quella iraniana, ma nessuno si è mai occupato di prendere in considerazione la richiesta dei familiari delle vittime dell’Amia, che più volte hanno sollecitato la nascita di un’agenzia indipendente. A difesa della presidenta è intervenuta anche la Red de Intelectuales, Artistas y Movimientos Socialed en defensa de la Humanidad, che ha denunciato l’attacco a Cristina Fernández de Kirchner come l’ennesima prova della persecuzione contro l’Argentina e la sua sovranità territoriale, iniziata con il caso dei fondi-avvoltoio nel segno dell’offensiva di Washington contro i governi progressisti latinoamericani. Non solo: la Red si spinge oltre, ed evidenzia anche i legami di Nisman con la Cia e il Mossad non certo per giustificare l’omicidio del giudice, ma per far capire quanto complessa sia la questione e troppo facili (e generiche) le accuse alla presidenta da parte di un’opinione pubblica manipolata. A questo proposito, Página/12 segnala che l’ex direttore dell’intelligence Stiuso aveva un agente che lavorava in Iran sotto copertura mai menzionato né dallo stesso capo dei servizi segreti né da Nisman. Assai significativa e condivisibile anche l’analisi di Gennaro Carotenuto, che oltre a definire Nisman come “un cadavere eccellente per le presidenziali in Argentina”, fa notare che Héctor Timerman è membro della comunità ebraica e figlio di Jacobo, giornalista di rilievo torturato dalla dittatura militare proprio in quanto di origine ebraica.
Anche questo dovrebbe rappresentare un indizio sufficiente per scagionare la presidenta e il ministro degli Esteri, ma ormai il meccanismo per gettare fango su entrambi è stato messo in moto e non sarà facile fermarlo.
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