Messico: nuovo crimine contro un leader sociale
La barbara esecuzione di Gustavo Delgado Salgado, il dirigente del Frente Popular Revolucionario (Fpr) trovato decapitato nel municipio di Ciudad Ayala (stato di Morelos) lo scorso 6 febbraio, rappresenta l’ennesimo episodio del degrado della vita sociale e politica in Messico. Per tutti coloro che infastidiscono i narcos, lo Stato, i terratenenties e le oligarchie si passa all’azione: eliminazione immediata e un attivista sociale in meno.
All’orrore, in Messico, non c’è fine: dopo lo scempio sui corpi dei normalistas di Ayotzinapa, quello sul dirigente del Frente Popular Revolucionario: lo hanno decapitato e gli hanno tagliato le mani, non prima di averlo torturato. Delgado Salgado non era solo un militante dell’Fpr, ma si preoccupava di organizzare contadini e movimenti sociali negli stati di Morelos, Guerrero e Oaxaca. L’Fpr, un’organizzazione guerrigliera che gode di una certa simpatia tra gli studenti delle escuelas rurales e nelle poverissime campagne del Guerrero, aveva appoggiato le lotte bracciantili contro i cacicchi locali proprio grazie al lavoro politico svolto da Delgado Salgado. Dall’arrivo a Los Pinos di Enrique Peña Nieto, sottolineano le organizzazioni sociali, la repressione nei confronti di leader e militanti impegnati a svolgere un ruolo di sensibilizzazione nelle campagne è cresciuto notevolmente. Lo stesso Frente Popular Revolucionario aveva espresso fin dall’inizio il suo appoggio ai familiari dei normalistas desaparecidos di Ayotzinapa, associandosi alle manifestazioni che, in tutto il paese, esigevano la aparición con vida degli studenti, l’insediamento di una commissione indipendente che facesse luce sul crimine dello scorso 26 settembre e indagasse sui legami tra il crimine organizzato e la politica. Fue el Estado e Fuera Peña sono state le parole d’ordine condivise anche da Gustavo Delgado Salgado, un altro caso su cui probabilmente la giustizia messicana non perderà neppure tempo ad indagare. Del resto, il procuratore Murillo Karam considera chiusa la vicenda di Ayotzinapa, e lo stesso fa il presidente Enrique Peña Nieto: si cerca un’uscita strategica dalla crisi nel tentativo di mettere a tacere il clamore che ancora suscita, a distanza di mesi, la sparizione dei giovani normalistas. La verità ufficiale dice che la responsabilità del massacro di Ayotzinapa è stata opera di narcotrafficanti e poliziotti: poco meno di una novantina sono in carcere, quindi le indagini sono chiuse. E invece il caso dei normalistas è ben lontano dall’essere chiuso, non solo perché i loro familiari e la società civile insistono nel protestare (“Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo”), ma anche perché dal prezioso lavoro di controinformazione è emerso che i poliziotti e i narcos responsabili di aver indicato nella discarica di Cocula il luogo dove sono stati torturati e bruciati gli studenti, presentano evidenti segni di tortura. “Per ogni morto, scomparso o torturato, il popolo pareggerà i conti”, minaccia l’Fpr, che aggiunge ai 43 di Ayoztinapa il suo giovane dirigente Gustavo Delgado Salgado, il quale aveva partecipato in prima persona alle manifestazioni di solidarietà per i normalistas. Da un lato la crescita del livello di aggressione dello Stato nei confronti delle organizzazioni popolari, dall’altro l’istanza di un Mèxico para todos che sempre più accomuna la società civile in un contesto in cui criminalità organizzata, sequestri e atrocità sono in costante aumento. Il caso dei 43 più uno (Gustavo Delgado Salgado) è arrivato alle Nazioni unite, mentre il governo messicano è stato accusato dalla Commissione nazionale per i diritti umani di non essersi adoperato a fondo per la risoluzione dei desaparecidos di Ayotzinapa.
Una cosa è certa: per i movimenti sociali che difendono i loro diritti e i beni comuni, si battono per il rispetto delle comunità indigene e contadine, e nonostante tutto credono in una società antiautoritaria ed egualitaria, il caso Ayotzinapa e l’omicidio di Delgado Salgado sono tutt’altro che chiusi.
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