Brasile: Igor Mendes e gli altri. Prigionieri politici per aver manifestato contro la Coppa del mondo
La consegna della medaglia “Chico Mendes” a Igor Mendes da parte della ong Tortura Nunca Más riapre ancora una volta il dibattito sulle manifestazioni di protesta contro i mondiali di calcio del 2014 che caratterizzarono l’estate brasiliana. I movimenti sociali scesero più volte in piazza, spesso subendo una violenta repressione della polizia, per contrastare i tanti aspetti ambigui della massima competizione calcistica, dagli sgomberi di interi quartieri popolari in chiave speculativa alla costruzione di grandi opere dai costi spropositati il cui denaro avrebbe potuto essere speso per le tante urgenze di cui necessita tuttora il paese. Al tempo stesso, i riots avvenuti nelle principali città brasiliane furono utilizzati e strumentalizzati dalla destra, sia a livello politico sia a livello di gruppi dichiaratamente fascisti responsabili di azioni violente: in entrambi i casi l’intento principale era quello di approfittare del caos nel paese per far cadere la presidenta Dilma Rousseff.
Igor Mendes è uno di quei giovani che avevano partecipato alle proteste per contestare le imposizioni della Fifa e la disarmante quanto discutibile complicità del Planalto con le multinazionali che intendevano lucrare sul paese tramite la Coppa del mondo: descritto come un “vandalo” dai media mainstream, Mendes si trova ancora in carcere, un prigioniero politico, come ai tempi della dittatura militare. Per la giustizia di Rio de Janeiro, Igor Mendes è una delle principali menti che hanno progettato gli scontri di piazza, nonostante le accuse nei suoi confronti siano quantomeno vaghe e lacunose: avrebbe messo il “mi piace” su facebook ad alcune foto in cui si fronteggiavano manifestanti e polizia, il suo profilo riporterebbe la maschera di Anonymous e presso la sua abitazione sarebbero stati individuati indumenti di colore nero, come quelli indossati dai cosiddetti black bloc. In realtà Igor, uno dei 23 giovani finiti sotto processo e arrestati per gli scontri verificatisi alla vigilia della finale dei mondiali, il 12 luglio 2014, è l’unico accusato ad essere in prigione, sebbene abbia sempre fatto politica alla luce del sole tramite la sua militanza nelle organizzazioni di sinistra. Su seimila pagine di accusa del Pubblico Ministero nei confronti dei 23 imputati, gran parte del materiale riguarda intercettazioni telefoniche, messaggi su facebook in cui poter comprovare, da semplici commenti, che si tratta di violenti, volantini con la scritta “Fifa go home” e copie del quotidiano di sinistra Nueva Democracia. Mendes appartiene al Frente Independiente Popular (Fip), un’organizzazione di area anarchica che, come tante altre sigle, contestava non solo la legittimità dei mondiali del 2014, ma anche di Rio 2016, le Olimpiadi che si svolgeranno nella città carioca. La Fip, insieme al Movimento studentesco rivoluzionario e al Fronte internazionalista dei senza tetto, è stato inserito in una lista nera composta da decine di organizzazioni sociali sospette, in buona compagnia di collettivi, movimenti femministi, comunità indigene, favelados e attivisti legati al mondo dei mezzi di comunicazione indipendenti. La maggior parte delle informazioni ottenute dalla polizia su Igor Mendes e, più in generale, sui movimenti sociali contrari alla Coppa del mondo, sono giunte da Felipe Braz Araújo, un collaboratore volontario della polizia infiltratosi tra le organizzazioni popolari come a suo tempo fece Alfredo Astiz con le Madres de la Plaza de Mayo in Argentina. Arrestato il 3 dicembre 2014, Igor Mendes non aveva alcuna prova che ne giustificasse l’arresto, anzi. La madre Jandira, sottoposta a quattro ore di interrogatorio in forma del tutto illegale dai poliziotti che attendevano il ritorno in casa del figlio, è stata costretta a ricorrere alle cure di uno psicologo poiché ancora ricorda con terrore l’irruzione dei militari presso la sua abitazione, dove peraltro non avevano trovato niente. Durante la sua detenzione, Igor Mendes ha trascorso gran parte dei suoi giorni in una cella in totale isolamento, senza avere nemmeno la possibilità di incontrare i suoi familiari o un avvocato. Inoltre, la persecuzione giudiziaria non è diretta soltanto contro gli attivisti sociali, ma anche nei confronti dei loro avvocati difensori, soprattutto se provengono da organizzazioni legate ai diritti umani e a partiti di sinistra: a molti di loro sono state registrate le telefonate e monitorati costantemente i messaggi su facebook. “Sono militanti politici ideologicamente allineati con le azioni violente”. Così sono stati definiti dalla giustizia e dai grandi mezzi d’informazione gli avvocati che difendono i 23 imputati, soltanto perché appartengono al Psol (Partido Socialismo e Liberdade), un partito legalmente riconosciuto. Tra loro Eloísa Samy, avvocata e storica militante per i diritti umani, che ha partecipato a tutte le manifestazioni contro la Fifa, tra cui quella del 12 luglio 2014, denunciando le violenze della polizia.
Nel Brasile che ha fatto tanti sforzi per tornare alla democrazia sembra impossibile che si costruiscano prove fondate sul nulla per incarcerare i dimostranti: al tempo del regime militare bastava avere un certo giornale in tasca o un determinato abbigliamento per finire automaticamente sotto il controllo della polizia o in carcere, oggi bastano alcune frasi o “mi piace” estrapolate da facebook per portare sul banco degli imputati gli attivisti dei movimenti sociali.
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