Latina

Sedici i campesinos ai domiciliari, nessuna indagine a carico della polizia

Paraguay: il 22 luglio nuovo processo per il massacro di Curuguaty

E il presidente Horacio Cartes autorizza la presenza di militari Usa nel paese
13 luglio 2015
David Lifodi

internet Il 22 luglio si terrà il nuovo processo per il massacro di Curuguaty del 15 giugno 2012, quando oltre trecento agenti di polizia in assetto antisommossa sgomberarono con violenza l’occupazione del terreno di Marina Kue, dove si erano stabiliti circa settanta campesinos. L’attacco della polizia contro l’asientamento di Marina Kue si concluse con un saldo di undici morti tra i contadini e sei tra i militari. I fatti di Curuguaty rappresentarono il casus belli che la destra dei colorados e l’oligarchia latifondista aspettavano per destituire il presidente Fernando Lugo e riportare il Paraguay nelle mani dei proprietari terrieri.

Nonostante fossero evidenti le responsabilità dei terratenientes e della polizia nello sgombero di Curuguaty, sedici contadini si trovano tuttora agli arresti, anche se domiciliari, dopo tre anni di lotta caratterizzati anche da uno sciopero della fame lungo e rischioso: i campesinos sono accusati di essere i responsabili della morte dei sei agenti. Inoltre, sui contadini pende l’accusa di occupazione indebita dei duemila ettari di terra di Marina Kue, di proprietà della Marina paraguayana fino al 1990, prima che se ne impossessasse, in maniera del tutto arbitraria, Blas Riquelme, imprenditore e senatore colorado adesso scomparso. L’occupazione contadina intendeva stimolare il governo del presidente Fernando Lugo, il vescovo dei poveri, ad intraprendere la strada della riforma agraria, ma l’ex monsignore in realtà fino ad allora non era riuscito a fare molto, in un paese dove poco più del 2,5% della popolazione possiede l’85% della terra coltivabile e spadroneggiano le multinazionali legate alla produzione della soia. In questo contesto, l’attuale presidente Horacio Cartes, colorado, ma soprattutto legato a doppio filo con il narcotraffico, ha sempre cercato di stroncare sul nascere i conflitti per la terra, una costante delle lotte sociali del più piccolo paese del Cono Sur latinoamericano. A questo proposito, è indicativo quanto accaduto a Vidal Vegas, un contadino tra i testimoni per il massacro di Curuguaty e per questo giustiziato da alcuni pistoleros rimasti impuniti senza che si sia celebrato alcun processo o indagine per fare luce su questo omicidio. Finora, sottolinea l’Asociación de Familiares y Victimas di Marina Kue, le numerose riunioni tenute con lo stesso Horacio Cartes e con l’Instituto Nacional de Desarrollo Rural y de la Tierra (Indert), si sono rivelate infruttuose per quanto riguarda la restituzione della terra ai campesinos, e del resto a Palacio de López sono più interessati a svendere la sovranità territoriale del paese. Di recente, Horacio Cartes ha firmato un patto di “cooperazione e sviluppo inclusivo” con gli Stati Uniti nell’ambito della cosiddetta “Dottrina di sicurezza nazionale”, che sancisce l’installazione di alcune unità militari del Comando Sur nordamericano nel dipartimento di San Pedro, uno dei più poveri del paese, ufficialmente per risolvere eventuali emergenze di natura climatica. L’accordo di cooperazione in realtà si può leggere come un do ut des: Cartes ha permesso che i militari Usa si stabilissero in territorio paraguayano per ottenere il ritiro del Paraguay dalla “Lista Especial de Observación  de la Oficina del Representante de Comercio de los Estados Unidos”, nella quale sono inseriti gli stati che rifiutano di rinnovare gli accordi di proprietà intellettuale con gli Stati Uniti, cioè come aveva fatto Lugo fin quando non era stato cacciato da un golpe “parlamentare” grazie ad una forzatura della Costituzione. L’accordo tra Stati Uniti e Paraguay, nel segno dello sviluppo sostenibile, della crescita economica e dello sviluppo di nuove opportunità in grado di giovare ad entrambi i paesi, ha come obiettivo principale quello legato al controllo del narcotraffico e del riciclaggio di denaro sporco. Se davvero fosse così, il primo risultato di questa intesa dovrebbe essere quello di mettere in arresto il presidente Cartes, ma invece la presenza militare Usa si spiega soprattutto con la volontà di tenere sotto controllo i paesi ribelli del continente che aderiscono all’Alba, con buona pace delle dichiarazioni di facciata secondo le quali il Paraguay si impegna a contribuire al mantenimento della pace nella regione. E così, dal 1 al 30 giugno scorso, sedici istruttori militari statunitensi appartenenti alle forze speciali hanno avuto libero accesso in Paraguay, con armi e munizioni, ufficialmente per operazioni di addestramento dell’esercito paraguayano. Ciò che avrebbe dovuto fare il presidente Cartes, invece, sarebbe stata un’azione di contrasto dei potenti imprenditori che sottraggono senza alcun problema le terre ai contadini, soprattutto dal vicino Brasile. Per fortuna l’imprenditore brasiguayo João Meurer, che si era impadronito illegalmente di circa 300 ettari dei 974 di proprietà di una comunità indigena guaraní nel distretto di Itakyry, è stato indagato dalla coraggiosa giudice Eresmilda Román Paiva. Quest’ultima, non solo ha restituito le terre agli indigeni, ma ha messo sotto inchiesta anche  gli avvocati difensori dell’imprenditore. Secondo la Pastoral Indígena si tratta in assoluto del primo verdetto della magistratura contrario ai potenti imprenditori della soia.

In linea generale, però, l’impunità per i conflitti agrari continua a dominare: il verdetto del 22 luglio dovrebbe restituire dignità e giustizia ai sedici campesinos incriminati ingiustamente per il massacro di Curuguaty, ma non sarà facile. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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